Il corpo umano liberato dall’assonometria canonica dell’abito regala l’assonometria del corpo ideale, figlio del pensiero e dell’immaginazione che dal canone incede in altre forme. Rei Kawakubo, di Comme des Garçons, da sempre ragiona in tale direzione e pensa alla sua moda con questo sentimento.
Nello specifico l’uomo della primavera-estate 2024 attraversa la sapienza della tradizione sartoriale occidentale e la composizione della medesima come risignificazione dei ruoli tra teatralità e condizione di natura, in senso ambientale e artificiale.
Le membra dell’anatomia umana si trasmettono come espressione comunicativa nel coprirsi o, meglio ancora, nel narrarsi attraverso l’azione creativa che concede di portare oltre che indossare, manifestare oltre che occultare.
Lo stile di CDG è figlio del “ripensamento” che favorisce la rappresentazione antropomorfa contemporanea nelle sue più necessarie qualità, una su tutte: la “distrofia”.
Per trovare un nuovo mondo, dobbiamo andare oltre la realtà.
(Rei Kawakubo- Cdg)
La collezione SS 2024 Homme Plus partecipa delle proporzioni degli stati di natura come una composizione sincronica tra flora e fauna, artificio e biosfera, dove l’una enuclea l’altra e la trascende per l’etere e per il neoplasticismo umano che si raccontano nel processo cubista della raffigurazione della terza dimensione. Ad esempio, il crine, contraltare luministico-cromatico tra volto e busto umano, interviene, filiforme, selvaggio, liscio e lucente, sotto il collo di una giacca e lungo le scapole, sulle aree lombari, dal petto al ventre, come protesica ed infestante infiorescenza: spontanea e naturale quanto l’arto di una giacca, oltre il ruolo sociale.
La giacca stessa si presta al gioco della emersione da luoghi insospettabili ed entra nella sfera della rimembranza poetica. Il capospalla che appare di ¾, onirico, cucito di tutto punto, ma ancorato al dorso di un’altra giacca (una sorella?), come una mantella, rappresenta i ricordi che lasciano il loro strascico nella memoria, sorta di Watteau maschile del XXI secolo, retroattiva dalla schiena virile, a regalare memorabilia all’occhio del suo pubblico: scia escrescente quanto un’impressione.
Ecco, dunque, che il capospalla e le sue parti sono chiamati al ruolo di mantello proustiano. Nell’abbandono che il tessuto e la foggia manifestano nella loro caduta, dalla spalla al fianco, dalla schiena ai glutei, tracciano il percorso di un tempo passato, ricordo di forma dannunziana, tra Brummel e Wilde avvolto da un decorativismo dal bucolico abbraccio e Albertiniana memoria.
Pantalone, colletto, polsi, orli e supporti, sono comprimari di un montaggio cinematografico che fa della fine l’inizio e viceversa. La piega flirta con l’aria nella preziosa tela di cui si compone ed affonda, di contralto, nel bianco ottico che grafico racconta surreali memorie a contorno di ogni nuca o caviglia.
Cascate di foglie su Savile Row, filamenti di scalpi primordiali per primati emergenti da una gamma linfatica ed animale, inespugnabile che irretisce le fasce muscolari di un gentleman senza frontiere. Come la vegetazione s’impossessa del costrutto artificiale-antropomorfo dell’abito, così le forme sartoriali più sofisticate emergono spontanee sulle colture chirurgiche del vestire maschile come dono e riflessione. Celato nelle trame delle giungle di Henri Rousseau (espressione dell’influenza dei “Jardins des Plantes” della Parigi delle Grandi Esposizioni Universali, a cavallo tra XIX e XX secolo), il taglio sartoriale è apertura, oltre gravità ed ingegneria, decoro e accessoriazione, oltre il crudo sentimento della vita addomesticata nelle vitree e metalliche gabbie metropolitane della “Città dei Lumi”: interruzione allo stereotipo e libera interpretazione di una neofisicità progettuale dell’Homme Plus.
La perfezione delle forme, il rigore acromatico che fa esplodere la lussuria dei verdi fogliami sono il giusto trampolino alla creazione della sorpresa: alla disvelazione. Rei Kawakubo arreda l’anatomia maschile di tutto punto, applicando un canone cavalleresco e al contempo tangente ai rilievi più trasversali che la storia ci ha regalato alla definizione di genere. Con sapienza incornicia attraverso tagli e grafiche il luogo del respiro umano, del sentimento, della digestione e della pulsione riproduttiva, con aperture teatrali su quinte di maglia e tela, dallo spirito bohémien quanto psicanalitico, dove il drappeggio è il chiaroscuro di tendaggi disvelatori dei luoghi dell’anima tra le pieghe dell’esistenza.
Al rever, (termine inglese che significa contrario, un tempo più riferito a orli e polsi: memoria di una foggia del cappotto accollata e montante che dalla seconda metà del XIX secolo comincia ad essere portata aperta, risvoltata, appunto “al contrario”), CDG attribuisce la stessa funzione del sipario, esso si apre, accostandosi, e così facendo si accascia sul cuore, cerca conforto sulle spalle sino a cavalcarne il dorso oltre la memoria di un ruolo protettivo ed occlusivo che un tempo rivestiva. Oggi la sua apertura realizza quello squarcio scenotecnico sul respiro e sul sentimento dell’uomo che è ritenuto patrimonio formale del vestire maschile e femminile.
In questa primavera-estate 2024 il tema del sipario è uno dei protagonisti della collezione: si apre e si chiude, sul davanti o sul dietro, graficamente impresso in terza dimensione sulle t-shirt, raccontando di prospettive, o solo suggerendole, che superano le leggi fisiche della sartorialità per entrare nella visione surrealista di un vano con poltrona, o di un tendaggio sovraimpresso su una giacca oltre la logica del rever nella logica del trompe l’oeil.
Dall’apertura del proscenio alla divaricazione del cammino dell’essere umano il passo è breve, forse doppio, meglio ancora diramato in un delta. CDG lo rappresenta nel piede gemellato a sé stesso in una biforcazione, o sovrapposizione, sorta di addizione siamese, che ci parla di una calzatura Oxford, arrotondata, in vitello nero che, come un antico mito, presenta due teste: due punte.
Da antropomorfo a zoomorfo, da cubista a surrealista, il corpo fisico di questa collezione SS 2024, rappresenta i multipli dei soggetti tracciati e li racconta dalla medesima radice che si moltiplica nell’atmosfera, come in uno specchio. Dal medesimo pensiero si dipana, libera, verso la sua naturale condizione creativa.
Dove stia il passo, quale direzione assuma, poco importa, ciò che conta è che si esprima come biforcazione formale verso l’infinita esperienza del doppio che da sempre rappresenta l’umana natura.