Si discetta sulla crisi della moda come se la moda fosse l’abbigliamento o gli accessori.
La moda non conosce crisi ma maniere e le maniere possono essere la stessa crisi che per tale che sembri è un punto di vista ed osservazione di un sistema complesso e infinitesimale.
Non credo nell’oscuro tempo della crisi, credo nella qualificazione delle forme.
La qualità funzionale al vero, al buono e al bello è un aspetto della maniera.
La forza di questo frangente storico è nel suo processarsi verso un’autonomia dai dettati economici per entrare in quelli personali ed etici.
Non è la Direzione Creativa o la Direzione Artistica, di un marchio di moda, in questione ma perché viene impiegata: lo scopo escatologico della medesima.
La breve durata delle teste pensanti dell’abbigliamento, e affini, non corrisponde alla lunga durata di uno stile sempre più privato dalle influenze generaliste di ciò che un tempo rappresentava l’esclusività.
Oggi è “l’escludente” a permeare l’atmosfera emotiva e quando esclude non lo si sente ma non per questo non esiste, è l’iper-mondo dell’immaginazione quotidiana di ognuno.
Le persone non ripescano dal passato perché hanno bisogno di conforto da un domani incerto (quando mai v’è certezza?), ma scelgono privatamente come impaginarsi secondo il sentire personale, mentre quelli che si “devono” occupare di stile lo “devono” al denaro e non alla loro urgenza creativa. Dopo l’impero del dettato dall’alto, che si è sempre ammantato di qualità estrinseche ed intrinseche, si è giunti all’imbastardimento della forma e all’affrancamento del pubblico come naturale conseguenza di una erudizione formale fuori schema che possiamo definire “il falso contenuto di un messaggio”. Negli ultimi 30 anni la moda, come dettato patinato, ha talmente dilagato da informare, nel bene e nel male, delle sue dinamiche estetico-produttive un universo intero, estremamente allargato che si è affermato, ingravidato di una distanza dalla tossicità del sistema costruita nell’armonia della morale.
L’esempio evidente del ricorso al vintage è solo uno dei percorsi intrapresi, da una fetta del mercato, per rappresentarsi autonomamente. Scoperti i contenuti e lo scarso valore che hanno oggi raggiunto uno può guardare alla qualità che ritiene necessaria al suo quotidiano senza cercarla in progetti di scarsa coscienza che sono mal celati da “grezze” operazioni di marketing.
Un grande fotografo, un grande chef, un grande direttore creativo… sono grandi di forma e contenuto, guardano al progetto e al suo valore oggettivo di forma e funzione.
Per essi il binomio “Tutto per tutti” è legato alle acquisizioni qualitative dietro il loro operato.
Il come è fatto e realizzato, la finalità che va a rivestire non è trasferibile in una copia, non in stato cosciente di ciò che è il valore del proprio saper fare. Non è una questione economica ma di idea e sua originalità.
Il copista, l’emulatore, il riproduttore seriale ha altra visione e scopo e il suo “Tutto per tutti” possiede il valore della quantità e non del servizio originario, e quando tale servizio viene svolto dalla copia non contempla i medesimi requisiti progettuali e visivi perché nella copia vi è la larga diffusione e decade la coscienza della qualità verso l’umano.
Un ragazzo del nostro tempo non deve chiedersi se ha spazio per esprimersi ma quale spazio vuole costruire, di questo suo tempo che forma gli vuole donare. Non necessariamente, dunque, serve il dettato ma dal dettato veniamo influenzati e questo non significa che si è predefiniti o predestinati ma che si ha un territorio di partenza su cui poggiarsi per librarsi in volo e occuparsi della propria maniera, del proprio sentimento immaginativo e edificativo.
Non rientra in alcuna utopia l’impiego dell’immaginazione, è applicata in ogni dove ed in qualunque situazione.
L’immaginazione è il ponte tra noi e la realtà.
La lirica esperienza dell’uomo è inesauribile ed è questo l’unico dettato che conti.
Nessuno ha il diritto di privarsene in nome di preconcetti assolutisti di una porzione storica.
La maniera e la moda sono coincidenti e le possibilità di espressione di oggi valgono il punteggio di “uno a uno”. Da questo parametro ci si esprime con manovalanza formale senza ordini architettonici da rispettare. Quando il tempo ci diceva che la presenza di un agire era influente su grandi masse ora ci dice che ognuno vale per l’altro come modello espressivo e ispirazionale.
Le multinazionali sono per definizione multiple, mentre il sentimento sociale che filtra dagli anfratti del rumore comunicativo della metastasi di un certo processo finanziario è rivolto all’intimo.
La dismissione della realtà è di per sé fuori luogo rispetto al singolo individuo che da essa parte e in essa vive, si strugge e gioisce in maniera a noi contemporanea, evidente tra chi ha anagrafica acerba o giovinezza neurologica che si raccoglie in piccole o grandi comunità umane per leggere e confrontarsi nella medesima atmosfera di aria, luce e termica e sul medesimo piano d’appoggio che è il luogo fisico per la cura dell’eterico, in un neoumanesimo di matrice amatoriale che trascende il “multi” e lo dribbla in favore del non calcolo, della differenza tra forza e materia, dell’espediente economico ma semplicemente la vive come ricchezza, senza tracciabilità alcuna, perché selezionata nello spazio di natura del progetto e non nella sua sclerosi.
Chi ha raccontato la forma e l’ha ritracciata non ha seguito il tempo ma il suo modo di viverlo e respirarlo portandolo in evidenza epidermica.
Spetta ancora alla Filosofia il ruolo fondamentale del fare ispirato:
Non tutti gli incantesimi volano
al mero tocco della fredda filosofia?
C'era un terribile arcobaleno un tempo nei cieli:
conosciamo il suo ordito, la sua trama; è riposto
nel catalogo ottuso delle cose comuni.
La filosofia taglierà le ali di un Angelo,
conquisterà tutti i misteri con leggi e linee,
svuoterà la spettrale aria, e la miniera degli gnomi –
disferà un arcobaleno.(John Keats - Poesia "Lamia" – 1820)