In una Faggeta fitta e scura vivevano due Faggi straordinari, così antichi che si credeva fossero vissuti sempre lì. Dominavano su tutta l’area forestale con i loro rami elegantemente rivolti al cielo e il fusto eretto come una colonna. Si poteva immaginare fossero le colonne portanti di una cattedrale gotica, un rifugio per anime in cerca dell’essenza di Dio. Avevano una forza enorme perché sapevano assorbire e utilizzare l’energia del sole. Le loro foglie, disposte su un piano per captare quanta più luce possibile, facevano passare verso il suolo pochissimi raggi.
Questi due esemplari di Faggio gettavano un’ombra molto fitta, talmente densa da impedire che altre specie crescessero nel sottobosco. Non che volessero essere signori incontrastati del bosco, ma sentivano la missione d’accogliere nella penombra delle loro chiome i viandanti solitari e bisognosi di intimità. Diritti e imponenti, con belle capigliature fitte e regolari, esprimevano un’idea di forza e solidità, affascinando il bosco con la loro dignità, con il loro divino dare protezione ai compagni Abeti Bianchi, ai Tigli, Tassi e Aceri che convivevano nel loro ambiente. Eppure anch’essi emettevano un lamento, un gemito sommesso impercettibile nelle ore più luminose, un pianto che s’innalzava nel silenzio della notte quando i viandanti si tenevano lontani dal buio cupo della foresta. Vi doveva essere nei corpi di queste piante monumentali un oscuro dolore, una sofferenza antica e celata dietro al loro splendido portamento, ai loro meravigliosi colori, alla struttura imponente, alla forte personalità. Tutta questa bellezza esaltata dai rami allungati e sottili come morbide braccia di gentili signore, dalle foglie ovali e appuntite che brillavano nella bella stagione come il sorriso delle vergini, dai tronchi lisci e affusolati ricoperti delle macchie biancastre e misteriose dei licheni, nascondeva un’arcana inquietudine che talvolta riempiva di tristezza l’intera Faggeta.
Il lamento dei due Faggi sembrava affievolirsi in primavera, quando il verde chiaro e scuro delle foglie creava una barriera ai raggi solari che filtravano tra i radi spazi dando la suggestione delle nebbie mattutine. In estate questo gemito scompariva allorché il fresco ombreggiamento delle piante attraeva scoiattoli e volpi, fagiani e piccioni che annusavano il profumo dei fiori attendendosi gustose faggiole. E tornava timidamente a farsi udire il pianto in autunno quando i frutti bruni e lucenti spuntavano dal loro involucro legnoso e spinoso come la veste di una castagna. Si intensificava il guaito quando i boscaioli giungevano a raccogliere legni che sarebbero serviti nella fabbricazione di mobili, pannelli, giocattoli e ciotole, rastrelli, mangiatoie e recipienti per il latte. Ed esplodeva il piagnucolio nelle lugubri giornate d’inverno quando i rami spogli confondevano gli animi dei viandanti con i loro sinistri intrecci.
L’aspetto dei Faggi mutava di stagione in stagione, affascinante in ogni momento, per la loro tipica struttura se erano spogli, per il verde tenerissimo delle foglie se si rigeneravano, per tutta la loro imponenza in piena calura estiva, ma soprattutto per il loro fogliame autunnale se assumeva tutti i luminosi toni del giallo, del rosso, dell’ocra e della terra di Siena. Tuttavia nessuno avrebbe mai conosciuto la verità se non fosse passata una sera per quella via un’orfanella coraggiosa. Mentre rincorreva un delizioso volpino rosso che scomparve al crepuscolo nella sua tana, la piccola Neilla si trovò all’improvviso di fronte a queste due splendide creature vegetali. Il disco di fuoco era già calato dietro le montagne e ancora per pochi istanti un filo di luce faceva capolino tra le teste rosse delle piante.
Il rosseggiare dell’autunno non rendeva meno spaventoso il calare delle tenebre in quel cielo velato di tristezza e di struggimento. Neilla si trovò da sola ai piedi dei due enormi Faggi, nel silenzio assordante del buio, e subito percepì un’immensa pena che ingigantì la sua solitudine. Al buio assoluto quella mole ingombrante di dolore la attraeva, come se nascondesse un segreto che la riguardava. Invece di fuggire o cercare aiuto affrontò tutta la sua paura e, accarezzando i tronchi della pianta più vicina, domandò: “Perché piangete così forte o creature del mistero? Avete una voce familiare, un suono che si fa dolce alle mie orecchie. Lasciatevi guardare bene in faccia affinché io possa osservare la vostra anima”.
In quel momento cominciò a sorgere una pittoresca luna rossa che pian piano creò un tenue chiarore. Neilla poté così vedere quei corpi avvolti nella nebbia della notte come grandi fantasmi imprigionati nei rami del tempo. Dal tronco che accarezzava uscì un velo luminoso, un volto di donna splendente come un raggio di luna.
Neilla chiese con curiosità: “Perché mi somigli così tanto? Mi sveli il segreto della mia famiglia?”. In quel momento dall’altra pianta si staccò un velo più scuro, una chioma di capelli canuti, un volto maschile nell’argentea luce tra le tenebre e parlò così: “Noi siamo i tuoi antenati, i primi nonni della stirpe, imprigionati in queste piante per scontare la nostra pena. Eravamo ricchi e fortunati, avevamo una grande famiglia, possedimenti, terre e tanta felicità. Un giorno ci chiesero d’aiutare i bimbi di un orfanotrofio, ma noi abbiamo pensato solo al nostro bene. Uno spaventoso incendio uccise quei bambini e su di noi ricadde una maledizione che pietrificò le nostre anime in un grande egoismo. Per secoli abbiamo protetto le altre piante, abbiamo dovuto sopportare la sfortuna che ha colpito i nostri discendenti, ma non potevamo che lamentarci in silenzio. Solo un’orfanella della nostra stirpe avrebbe potuto sciogliere l’incantesimo. Cara Neilla hai liberato le nostre anime, la maledizione che incombe sulla nostra famiglia ora svanirà”.
I due antenati improvvisamente divennero luce intensa e salirono in alto in alto salutando la piccola fino a scomparire tra le altre luci dell’universo. Neilla si ritrovò nella Faggeta sotto i Faggi al chiarore della luna che penetrò vivamente a scaldare lo spazio sotto le chiome che cingevano quel lembo di bosco. La bimba ebbe la sensazione d’essere adottata da quella stretta generosa e gioiosa. Non sentì il freddo della notte e la mattina, quando la luce della luna svanì, un sole luminoso e caldo sorse nella sua vita mostrandole la via per raggiungere la tana del volpino. Da quel momento Neilla e la volpe rossa sono rimasti sempre insieme e vagano per la foresta trovando ogni notte un caldo e accogliente abbraccio.
Nella Faggeta è cessato il lamento
ogni animale ride contento
Aceri e Tigli sono radiosi
gli Abeti Bianchi sembrano sposi.
Se un’orfanella si sente sola
chiede un aiuto e qualche parola
ma se poi conta sul suo volpino
tutti i traguardi le sono vicino.