L’evoluzione della gastronomia procede di pari passo con l’evoluzione generale dell’umanità, allo scopo di soddisfare costantemente, ed al meglio, un bisogno primario dell’essere umano: la nutrizione. La risposta a questo bisogno è in continuo aggiornamento fin dalla notte dei tempi per cui, ai giorni nostri, mangiamo in maniera del tutto diversa dai nostri antenati nel corso della storia. Il fattore che accomuna le diverse generazioni è il quesito fondamentale alla base dell’alimentazione: cosa si può mangiare? Perché non tutto è commestibile.

Si è dovuto procedere per gradi, provando e riprovando. Così, ad esempio, si è riusciti a capire quali funghi siano buoni da mangiare e quali no. Ed è un esempio che dimostra quanto sia importante l’accurata conoscenza di ciò che si va a mangiare. In questo caso, anche il più piccolo errore può portare a conseguenze estreme.

In questa ottica, la Puglia si distingue per spunti innovativi, avendo inserito nel proprio patrimonio gastronomico, tutta una serie di prodotti “regalati” dal territorio, semplici prodotti spontanei, come i funghi cardoncelli, le cicorielle (che completano al meglio le fave), la salicornia (anche conosciuta come asparagi di mare), ma soprattutto le cozze di terra, le lumache con chiocciola, suddivise in Munaceddhe e Cuzzeddhe. È una tradizione che affonda le radici nella comunità rurale, che aveva la necessità di integrare l’apporto proteico in maniera economica, dovendo rinunciare, per scarse disponibilità economiche, ai tagli di carne più pregiati. E le lumache soddisfacevano appieno tale necessità. Bastava, infatti, una giornata di pioggia, perché i campi si riempissero di lumache, che sembravano essere lì solo per essere colte.

Fino a qualche anno fa nelle campagne immediatamente vicine alla città si vedevano ancora tante persone intente nella ricerca di lumache dopo ogni pioggia. Posso dire, anche con qualche rimpianto, di aver partecipato più volte a queste raccolte, grazie alla nonna paterna, che abitando in un quartiere ai margini delle campagne, mi ha coinvolto in quello strano rito, il cui frutto mi sembrava un vero e proprio regalo della terra.

Ovviamente, scene simili si vedono sempre meno, soprattutto perché i ritmi medi della vita sono diventati sempre più frenetici e strappare un discreto lasso di tempo per cercare lumache dopo una bella pioggia, non è comprensibilmente da tutti. Inoltre, bisogna considerare il peso di cambiamenti climatici e inquinamento ambientale. L’uso di intensivo di antilumache e altri pesticidi nei terreni coltivati, ha notevolmente ridotto la presenza di questi molluschi, oltre a rendere poco sicura l’atavica pratica. Per fortuna, con gli anni, ha preso sempre più piede l’elicicoltura, che assicura che questo preziosissimo alimento continui ad essere presente sulle tavole dei pugliesi, anche se ormai è diventato un prodotto talmente di nicchia da avere spesso costi molto alti.

Le Munaceddhe sono quelle più ambite. Sembra che il loro nome derivi dal colore della chiocciola, marrone, che ricorda il saio dei monaci. Appartenenti alla specie Helix aperta, sono anche chiamate cozze con la panna, per via di una pellicola bianca che si crea quando vanno in letargo e che ha la funzione di proteggerle dagli sbalzi di temperatura, mantenendo il metabolismo ai limiti. Stessa funzione protettiva ha la famosa bava, utilizzata da secoli nella cosmesi e nella farmacologia.

Sono un po’ il corrispettivo pugliese delle famose escargot francesi, una prelibatezza unica che accumuna due paesi diversi. Più piccole rispetto alle sorelle francesi hanno comunque un gusto sopraffino che il pugliese, specialmente quello di “ritorno” aspetta sempre di ritrovare, come si attende di ritrovare un vecchio amico: è un carattere marchiato a fuoco nel DNA gastronomico del pugliese.

Da consumare rigorosamente cotte, le Munaceddhe offrono carni tenere e gustose, estremamente magre, ricche di acidi grassi polinsaturi come il pesce, con un alto contenuto di vitaminaB12 e sali minerali, ricche di proteine e con albumina che favorisce la digestione. Insomma, un moderno elegante toccasana proteico per ogni regime dietetico.

La cottura tipica salentina prevede un fondo di olio e cipolla, al quale vanno aggiunte le “cozze”, dopo averle bollite e private dell’opercolo, con una generosa aggiunta di alloro ed un bicchiere di vino, col quale si crea un sughetto che chiama assolutamente alla scarpetta.

Altro tipo di cottura è arrosto in padella. In questo caso, sempre dopo averle lavate bene, le cozze vanno lasciate con l’opercolo e cotte direttamente in padella a fiamma vivace. A cottura ultimata, dopo averle estratte dal guscio, servendosi di uno stuzzicadenti, si intingono in un mix di olio, sale e pepe messo a margine del piatto o in una ciotolina, in un rito conviviale dalla manualità esagerata. Ogni singolo pezzo è un’esplosione di gusto al palato e, come con le ciliegie, una tira l’altra.

Parenti strette, ma meno nobili delle Munaceddhe, ma pur sempre gustosissime, sono le Cuzzeddhe, conchiglie dal guscio caratterizzato da striature bianche e marroni, che si trovano assiepate sui vari arbusti nelle campagne. In passato erano fondamentalmente usate per ingannare lo stomaco, data la scarsa capacità di fornire nutrienti essenziali, per cui se ne mangiavano grandi quantità. Oggi sono un regalo che ci si fa di tanto in tanto.

La ricetta tipica salentina è semplicissima. Sempre dopo un accurato lavaggio, si fanno bollite e condite con olio, sale e origano e, a piacimento, un odore di aglio. Qui bisogna stare attenti perché troppo aglio potrebbe nascondere del tutto il sapore etereo delle cozze.

La presenza di questi piatti nella tradizione gastronomica pugliese, per quanto non si trovino tanto spesso nei vari ristoranti, sta a dimostrare quanta diversità ci possa essere da un luogo all’altro: quello che per noi è un piatto regale, ad altri farà magari storcere il naso. La capacità del vero viaggiatore sta nel non pretendere di trovare ciò che è abituato a mangiare nella propria zona, ma aprirsi alla scoperta di pietanze nuove, vincendo anche la naturale ritrosia, senza demonizzare alcunché. Anche in questo caso, la Puglia si propone come ponte fra diverse culture e sensibilità, regalando al fortunato viaggiatore che avesse la possibilità di assaggiarle, un’esperienza di gusto memorabile.