Non serve più andare in Messico per mangiare i tacos. Una mezza verità a cui sempre più persone credono. Vorreste, però, scambiare l’esperienza di un vero tacos messicano, preparato da mani esperte che ne cucinano centinaia, se non migliaia ogni giorno? Magari mangiato in quei caratteristici piatti ricoperti da sacchetti di plastica per non perdere tempo in lavaggi, a discapito dell’inquinamento. O, meglio ancora, ricoperti da quella miriade di salsine piccanti o meno, i cui segreti non fuoriescono dai confini dello Stato? Bene, se siete fedeli alla cultura gastronomica messicana, eccovi la ricetta del tacos perfetto.

Da dove arriva il taco

La ricetta perfetta del taco prevede un disco di masa di mais, farcito con qualsiasi cosa la vostra mente possa portarvi a immaginare di poterci infilare dentro. Sembra facile, ma la storia dei tacos è ben più complessa di così. Quello che, però, non è mai cambiato, è il suo essere considerato fra i piatti più democratici del mondo. Non si viene giudicati per averci messo delle formiche chicatana piuttosto che dei gamberi scottati alla piastra. Qui vige la più completa libertà di espressione, almeno per ora.

Torniamo alle origini e possiamo vedere come il mais sia sempre stato alla base dell’alimentazione messicana. Economico, facile da reperire e versatile nelle preparazioni. Il re azteco Montezuma era solito consumare tortillas cotte su dischi di pietra, accompagnate da ciò che era disponibile in natura. Ma la tortilla risale a ben prima di questo ufficiale riconoscimento. Le prime testimonianze si attestano, infatti, attorno al 500 a.C., quando il mais era venerato come cibo sacro da Maya e Aztechi. Pare fossero stati gli Olmechi, ancor prima, a cucinare i primi tacos come fonte di sostentamento. Questa popolazione fu la prima civiltà mesoamericana a porre le basi per le successive, ma a sancire anche l’inizio del culto del taco.

Come cambia la visione del prodotto

Con l’arrivo dei conquistadores la storia del taco non cambia, anzi fu l’unico esempio di ‘conversione al contrario’ a cui si è assistito. Il condottiero Hernan Cortés fu il primo ad organizzare un vero e proprio taco party a Coyoacàn per celebrare questo piatto. I tacos sono rimasti immuni all’attacco delle etnie straniere che sono arrivate in Messico nel corso dei secoli e, ancora oggi, mantengono il loro carattere fiero ed originario. Alcune modifiche e aggiunte son ostate apportate, come, ad esempio, l’aggiunta del riso bianco al ripieno nella versione di taco acorazado brevettata nel 1908.

Anche l’impasto ha subito alcuni rimaneggiamenti. Con l’arrivo degli europei, sono giunte in Sudamerica anche farine diverse dal classico mais. Nasce così la tortilla azteca, a base di un mix di farinacei. Se a livello locale le modifiche non sono così ingenti, è negli Stati Uniti che il fenomeno tacos dilaga e si evolve maggiormente, talvolta con pieghe molto distanti dalle originali. Il taco nasce come cibo pratico, un contenitore trasportabile al cui interno è possibile inserire qualsiasi tipo di ripieno. Inizialmente, nel 1880, quando i tacos giunsero in Texas e California dagli immigrati messicani, questo principio venne rispettato. Nel 1952, però, Glen Bell decide di friggere le tortillas, trasformando il morbido impasto in un guscio duro. Quel Bell, all’inizio tanto criticato per questa drastica scelta, oggi possiede la più grande catena statunitense dedicata al taco.

L’uomo del taco

Il taco è così importante nella cultura mondiale che un uomo, Jeffrey M. Pilcher, ha deciso di dedicare la sua vita alla scoperta di questo prodotto. Docente di storia all’Università del Minnesota, ha pubblicato il libro ‘Planet Taco: a global history of mexican food’ in cui narra le storie legate ai tacos che ha appreso girando il mondo degustando questo piatto. Come lui stesso afferma nelle sue interviste, il cibo non si limita ad un fattore alimentare, ma fa parte della cultura di un popolo. Per questo ha intrapreso i suoi studi sul taco, per comprendere meglio la cultura messicana.

Fra le righe non esita a far trasparire il messaggio che i veri tacos si possano mangiare solo in loco. Tanti viaggi e tanti assaggi lo hanno portato alla conclusione che: luogo che vai, cibo che trovi. Pertanto, così come una vera carbonara si mangia in Italia, un vero taco si mangerà in Messico. Da non fanatico dell’autenticità, tende a precisare che non esistono regole per un ripieno perfetto, ma non è neanche detto che qualsiasi accozzaglia di ingredienti possa stare bene all’interno di un taco. L’unica regola da rispettare è che sia buono e che il gusto ne sia elevato.

Taco tradizionale o Taco fusion?

Se dici tacos, dici Pastor. La versione più conosciuta, e forse anche amata del taco è proprio questa. Nato dall’influenza libanese, è ripieno di una sorta di kebab, ma di maiale, le spezie variano in funzione del luogo, resta invariato l’utilizzo dello spiedo per la cottura. Oggi, con il dilagare della cucina gourmet, sono cambiati anche i tacos. Prendiamo l’esempio del food truck Kogi, dove Mark Manguera e Roy Choi hanno fuso la cultura messicana dei tacos con quella coreana del barbecue. Il risultato è un successo sconfinato lungo le strade di Los Angeles.

Non è una battaglia, non si vince nulla, ma pensate a una cosa. Immaginatevi in Messico, con una cerveza in mano dinnanzi a un chioschetto di tacos. Con il vostro piatto in mano, state scegliendo quale salsa aggiungere per completarlo: roja piccante, all’avocado, pico de gallo o verde. I mariachi suonano in sottofondo e siete felici.