Questa è la storia di una bottiglia. Non di una bottiglia di vino (o meglio, non solamente) bensì di una bottiglia per il vino. E anche del suo territorio. È il racconto di una bottiglia B.O.C.G. (Bottiglia di Origine Controllata e Garantita) dalla forma in apparenza semplice, eppure particolare: marchiata in rilievo sul vetro stesso per quattro volte all’altezza della spalla, per renderla facilmente riconoscibile.
Un segno distintivo alla vista e al tatto del contenitore, prima ancora che al naso e in bocca del contenuto. Una bottiglia non anonima, anzi, inconfondibile e proprio per questo con un nome ben preciso e identificativo, un marchio registrato: Albeisa in quanto specifica del territorio di Alba, nelle Langhe, patria di vini strepitosi.
Un nome e un simbolo stampato nel vetro
La storia enoica racconta che poche regioni vinicole al mondo possono vantare un contenitore che le caratterizzi. Accade in Francia, con il vino Châteauneuf-du-Pape, che si presenta nella bottiglia Mitrale, così chiamata per il vistoso stemma della tiara del pontefice e le chiavi incrociate emblema della Chiesa di Pietro. Accade in Italia nel Chianti, con il fiasco, di gran luna il contenitore più antico al mondo, e per il Verdicchio dei Castelli di Jesi, nelle Marche, contenuto nella sinuosa bottiglia a forma di anfora.
L’Albeisa, di suo, è una bottiglia meno pomposa, più discreta, ma ugualmente con natali antichi. La sua versione attuale compie quest’anno “solo” cinquant’anni e l’indovinata intuizione di reintrodurla all’utilizzo in cantina e, a domino, in tavola, si deve al produttore Renato Ratti di La Morra (Cuneo) che nel 1973 diede abbrivio al progetto “Albeisa” in collaborazione con l’industria vetraria di Dego, nel savonese. Naturalmente, stringendo alleanze con i produttori di vino della zona delle Langhe sensibili ad abbracciare l’idea. Per una regione così ricca di tesori enologici come le Langhe, disporre di una bottiglia tipica significa(va) poter conferire ai propri vini maggior classe e dignità, riallacciandosi a una tradizione secolare di imbottigliamento, operazione effettuata in tempi remoti unicamente per vini di alto pregio.
Albeisa, storia di una bottiglia
Storicamente, infatti, i primi vini a essere imbottigliati e smerciati nei contenitori realizzati da un artigiano vetraio, furono solamente quelli di altissima qualità, richiesti e remunerati dai consumatori in maniera tale da compensare il costo della bottiglia stessa, che superava di gran lunga quello del vino.
Nel XIX secolo il vino era generalmente commercializzato in recipienti di legno di diverse misure. In seguito, l’affermarsi sui mercati di certe tipologie di vino (come quelle delle colline intorno alla città di Alba, in particolare il Barolo richiesto sui banchetti dei monarchi più importanti d’Europa) portò un aumento della loro notorietà e del loro valore, tale da superare quello della bottiglia, fino a permetterne la vendita …imbottigliato. Si sviluppò così un artigianato vetraio locale – considerato che Alba era in origine un porto fluviale dove le rive erano spiagge con ricchezza di sabbia - che diede vita a una specifica forma di bottiglia nella quale imbottigliare i vini del luogo.
Verso la metà del 1700 nacque pertanto la bottiglia Albeisa in vetro scuro, mentre la vicina Francia esibiva bottiglie le bordolesi, borgognone e champagnotte. L’Albeisa è simile, per diametro e altezza alle cugine francesi, ma allo stesso tempo diversa. In seguito, per varie vicissitudini legate anche alla carenza di soffiatori di vetro, la bottiglia scomparve per 150 anni.
La visionaria intuizione di Renato Ratti
Fu il produttore di vino Renato Ratti, nel 1973, a portare questa bottiglia nuovamente alla ribalta. E tutto accadde per caso. Un giorno, visitando un infernotto (termine piemontese che significa locale sotterraneo come una cantina scavata nel tufo o nella roccia) Ratti si imbatte in alcune bottiglie piuttosto strane: le primissime Albeisa. Cosicché, insieme ad altri 16 produttori, sigla un accordo con le Vetrerie Italiane di Dego (oggi Verallia) l’unica incaricata a suo tempo di produrre la bottiglia Albeisa e tutt’oggi partner principale di questa interessante joint-venture.
Quando nel 1973 fu costituita l’Unione Produttori Vini Albesi, erano poche decine i seguaci del visionario Ratti. Oggi, 23 milioni di bottiglie Albeisa veicolano nel mondo, attraverso le rispettive cantine di riferimento, un messaggio di coerenza e di qualità.
L’attuale unione dei produttori di vini albesi è naturalmente confluita e formalmente organizzata in Consorzio ed è l’organismo che gestisce l’utilizzo del contenitore tipico con l’impiego costante a diffonderne l’uso nel rispetto di regole ben precise contenute in un rigido disciplinare. Il Consorzio Albeisa – che non ha scopo di lucro – ha imposto ai suoi iscritti che non è sufficiente essere produttore di Langa per poter utilizzare la bottiglia, ma servono speciali requisiti: usarla almeno per un prodotto, usarla almeno una volta l’anno, usarla solo per vini derivanti da vigneti coltivati all’interno della zona denominata Langhe.
Consorzio Albeisa, un impegno per il territorio delle Langhe
Il Consorzio Albeisa conta 314 soci, tutti interni alla denominazione Langhe. La sede è in centro ad Alba, a Palazzo Caratti-Govone, e vede alla carica di presidente la produttrice Marina Marcarino della cantina Punset di Neive.
Dal 2007 la bottiglia Albeisa viene prodotta anche in una versione che ha un peso di circa il 22% inferiore rispetto al modello tradizionale, per un totale di 125 grammi in meno. Negli ultimi anni, inoltre, Albeisa ha registrato un incremento nell’utilizzo del formato tappo a vite soprattutto per vini freschi, giovani e di pronta beva e in particolare per le esportazioni nei Paesi del Nord e negli Stati Uniti.
“La scelta di far parte del Consorzio e di usare la bottiglia Albeisa – spiega Marina Marcarino - significa volersi dimostrare coesi e profondamente identitari, disponendo di un contenitore tipico e di antico uso, capace di aggiungere ai propri vini maggior classe e dignità, riallacciandosi a una tradizione secolare di imbottigliamento, operazione effettuata in tempi remoti unicamente per vini di alto pregio”.
Salvare il tartufo e recuperare vigne rare
Tra le altre attività del Consorzio Albeisa, spicca anche il premio alle aziende giovani e innovative e il sostegno, nel territorio, alle realtà impegnate a diffondere le tipicità delle Langhe, come ad esempio Save The truffle, salviamo il tartufo bianco di Alba con il ripopolamento ambientale, piantando nei punti di confine e nelle vecchie rive delle piante tartufigene in modo naturale. “Abbiamo messo a dimora più di 500 alberi quercia – precisa Marina Marcarino – arbusti di pioppo e tiglio dei quali il tartufo è un parassita del loro apparato radicale principale. Siamo impegnati anche su altri temi, perché fondamentalmente il Consorzio Albeisa vuole parlare di territorio senza essere un ufficio turistico. Il nostro focus è dare comunicazione al consumatore finale su cosa il territorio offre dal punto di vista turistico ed enogastronomico. Non facciamo vendita ma assaggi, con degustazioni a tema. Diffondiamo messaggi senza spinta alla vendita”.
Infine, il Consorzio Albeisa collabora con la Collezione di Vitigni Sperimentali di Grinzane Cavour che ai piedi del castello che fu parte della proprietà di Camillo Benso conte di Cavour, raccoglie più di 500 varietà di vitigni minori e rari, per recuperare quelli più remoti e in via di estinzione. Conduce il certosino lavoro di censimento e monitoraggio delle piante il dott. Stefano Raimondi, in collaborazione con l’istituto IPSP del CNR (Istituto protezione sostenibile delle piante) e il responsabile scientifico Giorgio Gambino. Oltre ad Albeisa come finanziatore di questa operazione green ci sono anche progetti regionali e la FAO.
Un altro esempio di patrimonio di inestimabile valore biologico, storico e scientifico. Una micro educazione a tutto tondo che, anche in questo caso, parte, si relaziona e riconduce a una bottiglia.