Tempo fa in un viaggio in Irlanda, mi fermai a Galway, bellissima città nella quale nacque Nora Barnacle, moglie di James Augustine Aloysius Joyce, uno dei più grandi scrittori del XX secolo e della letteratura di ogni tempo. In una piccola piazza veniva proiettato, a ripetizione, tutti i giorni, il film Gente di Dublino. Il film, tratto dal racconto di Joyce The Dead (1916), contenuto appunto nella raccolta “Gente di Dublino”, fu realizzato da John Huston nel 1987 all’età di 81 anni, nel pieno della malattia che precedette la sua morte.

La proiezione, in quella piazzetta, era ed è il modo degli e delle irlandesi di onorare la memoria di James Joyce, che pur abbandonando prematuramente l’Irlanda continuerà a portarsi dietro tutta l’essenza della sua terra.

In questi giorni anche Ravenna avrebbe potuto proteggere la memoria della città risparmiando l’abbattimento delle 2 torri Hamon, simboli, tra l’altro, del film di Michelangelo Antonioni Deserto Rosso girato 60 anni fa nella zona industriale ravennate, Leone d’oro al miglior film nel 1964. Desidero ricordare qui che il testo di Joyce fu accarezzato dai progetti di Antonioni. C’eravamo quasi.

Infatti, nel nuovo Piano urbanistico generale del 2021, a proposito delle Torri si legge:

(…) e i due straordinari monumenti di archeologia industriale delle torri di raffreddamento (…) che si fronteggiano a poca distanza dal Canale Candiano suggerendo la prefigurazione di una piazza alberata (…) capace di ospitare grandi eventi culturali, artistici, musicali, sportivi, sociali, e ludici all’aperto per donare alla città un luogo da sempre ‘ostile’ attraverso un radicale capovolgimento di senso.

Nel “capovolgimento di senso” sarebbe stato possibile rivedere anche il film Deserto Rosso; ci saremmo accontentati anche di semplici proiezioni, non a ripetizione come accade in Irlanda. Ma c’è di più.

L’accostamento dei due film Gente di Dublino e Deserto rosso ha preso forma nella mia mente dopo essere andata ad assistere ad un Consiglio comunale nel quale veniva trattata la richiesta da parte del consigliere Ancisi di mantenere almeno una torre, dato che nell’altra era già in atto la demolizione. Di fronte alle giustificazioni dell’assessora -scuse, prive di senso alcuno- ho provato un tale stato di avvilimento che uscita dal luogo prestigioso del Palazzo Comunale, sono volata all’Orto botanico. Ed è proprio lì, guardando le piante e il profilo del Duomo e del suo campanile, in compagnia di un tè verde e in lontananza di un giovane babbo con un calice di vino bianco e una piccola bimba un po’ annoiata, che la mente ha iniziato a scrivere.

Questi pensieri quindi nascono da un profondo stato di sconforto di fronte ad una città da troppo tempo distratta da altro e senza più memoria. Eccone l’immagine del poeta:

L’improbabile in cerca di mistero
la malraccontata di mura costruita
in carceri chiuse, cade a pezzi
e intanto vendono al sole, nelle saline
storiche d’un tempo degli occhi
ciecati, appena appena letti in rilievo,
ambre solari, lavande familiari, abluzioni
amare, ramarre.

(Tommaso Di Francesco, CLINICHE).

Ravenna infatti se ne va allo sbando tra demolizioni, rotonde, palazzetti dello sport, centri commerciali, gasdotto e muri in mezzo al mare per proteggere il rigassificatore, che farà di Punta Marina non più una cittadina balneare ma un nuovo polo industriale.

Invece io ritorno a James Augustine Aloysius Joyce e a Michelangelo Antonioni, tento così di rendere visibile la narrazione prodotta dalla mia mente.

E finalmente ci sono arrivata. Da quando scrivo ho una maggiore affinità con le parole e mi disturbano in modo particolare quelle usurate. Ci sono parole che in periodi alterni esplodono. In questo momento è tutto un proliferare di “narrazione”, ovunque e per qualsiasi argomento; apparentemente nobilita scrittura e interventi.

Non si sfugge; viene usata dal politico, dall’intellettuale, dal teatrante, dal giornalista, per poi allargarsi e dilatarsi fino ad arrivare al luogo comune dove risiedono già da tempo i trecentosessanta gradi, di tutto di più, l’assolutamente si, l’assolutamente no, e simili. Il più delle volte vengono usate come sospensioni, per riprendere il respiro, per riempire un vuoto. Passi da gigante, in questo senso, sono stati fatti dai politici. Ricordo quando iniziavano l’intervento con “Il problema è a monte” e ora sono arrivati alla “narrazione del problema” che presuppone una pur vaga lettura anche da parte dell’attuale ministro della cultura. Tra poco, me lo sento, arriverà nei nostri dialoghi il termine “iconico”. A proposito delle torri Hamon -è già presente in articoli e in interviste. Sì, le torri erano iconiche.

La mente è ragionevole, mantiene saldo il significato di quel che vedo e lo fa moltiplicando le mie strade. Soprattutto non dimentica l’origine, non dimentica da dove, una settimana fa, ero partita. Oggi ad esempio è il 23 aprile e dal caldo estivo delle settimane scorse il clima è precipitato a temperature invernali che neanche nei mesi invernali è stato così freddo -all’orizzonte gli Appennini sono innevati- ma la mia mente non demorde e viaggia dalla piazza di Galway in Irlanda alle torri Hamon qui a Ravenna. E con fermezza desidera che io concluda il suo viaggio dando voce e scrittura al racconto che mi ha descritto quel giorno all’Orto botanico.

Le mie giornate, così, procedono per intuizioni, per ricordi sepolti da anni che ritornano improvvisamente in superficie. Anche ora, mentre guardo una pioggia pesante -quasi neve- scendere impetuosa, la mente, alla sorgente delle mie emozioni, scrive.

Scrive epifanie.