Per chi venga dalla Sardegna è sorprendente notare come, in provincia di Messina, i paesi che guardano sulla costa tirrenica si sviluppino lungo la strada nazionale uno dopo l’altro senza soluzione di continuità: Torregrotta, Rometta Marea, Verdesca, Valdina, Venetico Marina, Spadafora e tutti gli altri sono praticamente attaccati gli uni agli altri.

Se provieni da Palermo e prendi il treno verso Messina, i cui binari corrono paralleli alla strada provinciale, puoi vedere anche la spiaggia e il mare, se hai l’accortezza di sceglierti un sedile accanto al finestrino. Le spiagge migliori della provincia si trovano sulla costa jonica e nel resto della Sicilia non mancano certo le spiagge belle. Non è quindi nelle bellezze naturali che bisogna cercare la differenza tra le due più grandi isole del Mar Mediterraneo.

Entrambe sono bellissime, o quantomeno, io le amo entrambe allo stesso modo: una perché ha dato i natali a mio padre, la seconda perché ci son nato io (oltre che mia madre).

Pur avendo una superficie quasi uguale (la Sicilia è solo leggermente più grande) gli abitanti della Sicilia sono più del triplo di quelli della Sardegna (un milione e mezzo di residenti a fronte di quasi cinque milioni). Inoltre, ho l’impressione che nonostante la presenza dei Catalani ad Alghero, dei Tabarchini a Carloforte e nonostante le peculiarità anche linguistiche dei Galluresi, la Sardegna, forse a causa del suo maggiore isolamento, sia rimasta più omogenea sia da un punto di vista culturale, sia da un punto di vista socio-antropologico.

Per contro, però, occorre sottolineare, da un altro punto di vista, che la Sicilia ha giocato e gioca un ruolo politico più importante rispetto alla Sardegna (a discapito dei tre Presidenti della Repubblica che quest’ultima ha saputo esprimere contro l’unico, quello attuale, espresso dalla Sicilia).

Credo che il motivo di questo più significativo ruolo che la Sicilia svolge a livello nazionale, non sia da attribuire soltanto al maggiore peso elettorale che essa esercita su Roma, ma risieda piuttosto nella capacità, tutta siciliana, di unire le forze e superare le diversità, in nome dell’interesse comune. Per cui messe da parte le antiche e le nuove rivalità, palermitani, catanesi, messinesi, siracusani e agrigentini, si ritrovano coalizzati a Roma nel nome del superiore interesse siciliano.

Laddove i Sardi, forse più chiusi e diffidenti, sicuramenti meno uniti e decisi dei Siciliani, non sono mai riusciti ad esprimere una fattiva unità d’intenti nei confronti di Roma. Mi sovviene al proposito un ricordo personale: una mia conoscente, morta quasi centenaria, che era di Pavia, si sposò qui in Sardegna con un illustre concittadino. Essa mi onorava della sua amicizia, a dispetto della nostra differenza d’età. Un giorno mi disse: “Basile, se qui in Sardegna non ci fosse l’invidia, sarebbe la terra più bella del mondo!”

Una dimostrazione emblematica di questo differente atteggiamento tra Sardi e Siciliani, ce l’abbiamo all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando i Siciliani si affrettarono con tempismo e capacità ad approvare il proprio Statuto Speciale (che non a caso delinea una specialità più marcata e incisiva rispetto a quello sardo), mentre i Sardi si divisero e litigarono tra loro al punto che Emilio Lussu, quando lo Statuto vide finalmente la luce, lo definì “un gatto che sostituisce il leone che ci aspettavamo).

Adesso ci accomuna l’accusa, che proviene da un certo federalismo nordista di ultima e nuova matrice, di essere due Regioni che vivono di assistenzialismo e di fannulloni annidati nel pubblico impiego. Bella faccia tosta, dopo essersi aggregati al Regno Sardo-Piemontese e dopo che il riscatto della italianità e la liberazione dal giogo straniero è partito proprio dalla Sicilia con Garibaldi e i Mille.