Ciclicamente si torna a parlarne, è la creatività! Con questo termine si indica comunemente la capacità, che evidentemente non è di tutti e non è per tutti, di generare quello che non c’è.
I creativi sono perciò equiparabili agli artisti, o forse lo sono in toto. Riempire un foglio bianco con qualcosa di (veramente) nuovo quando la maggior parte di noi lo vive come un dramma, identifica una categoria di persone. Niente a che vedere con contabili e simili, lavoratori altrettanto rispettabili ma che operano in modo opposto: qui un preciso ed inderogabile rispetto di principi codificati, lì ogni regola viene (o dovrebbe essere) infranta. E’ difficile descrivere un’opera d‘arte, sicuramente non è un quadro economico.
A voler essere rigorosi, la creazione -quindi l’agire dei creativi- spetta solo a Dio, non per nulla chiamato il “Creatore”, quanto meno da chi crede. In questa sede non ha alcuna importanza disquisire su temi religiosi e simili, viceversa ci è molto utile ragionare sul fatto che generare quello che non esiste non è attività per tutti, anzi non lo è per nessuno che non sia trascendente.
Scendendo sulla terra, il mito della creatività andrebbe comunque ridimensionato. Una proposta che credo possa essere condivisibile potrebbe consistere nel giudicare “sufficiente” allo scopo l’avere ricombinato quanto esiste in un modo nuovo.
Rispetto alla definizione da etimo ci siamo declassati di molto ma l’asticella rimane alta, se non altissima. In un mondo come questo, pieno come un uovo e ricco di tutto, che ci bombarda di continuo con stimoli di ogni tipo, rovesciatici addosso a decine, è tutt’altro che semplice il riuscire a proporre qualcosa che non sia già stato visto, sentito o comunque “provato"!
La voglia (o il bisogno?) di creare a cosa lo attribuiamo?
La volontà di esprimersi è di certo il primo fattore in ordine di importanza, pur se è tutta da dimostrare la reale qualità ed originalità di moltissimi creativi in tutti gli ambiti, dalla pittura alla musica. Quante volte -purtroppo- abbiamo dovuto constatare che di (apparentemente) nuovo non erano le opere ma l’aspetto dell’autore, che abbiamo pure scoperto essere la riproposta del look di altri artisti, appena dimenticati o solo passati di moda. Quelli sì creativi, molto poco questi, copioni più che originali, non c’è dubbio!
Un altro aspetto rilevante è il bisogno di riequilibrare attività sbilanciate sul fronte opposto. Meglio non fare esempi ma credo saremo tutti d’accordo nell’affermare che moltissime persone sono costrette ad effettuare operazioni banali in modo ripetitivo per tutta la giornata lavorativa e per l’intero periodo di attività. Questi non possono che cercare di riequilibrare una situazione non felicissima, è un fatto di pura sopravvivenza: provare per credere.
Oggi “sembra”/”si ritiene” che metà delle competenze degli attuali lavoratori saranno trasferite all’intelligenza artificiale entro pochi anni per cui una grossa parte dei lavori odierni potranno essere delegati (o surrogati?). Questo spaventa molti -che potrebbero essere espulsi dal mondo del lavoro senza alcuna possibilità di rientrarci- rendendo interessantissimo il comprendere “cosa si salverà”, di conseguenza come potremmo farla franca.
Gli esperti sono concordi nel ritenere che saranno proprio le professioni “creative” quelle che resisteranno meglio all’offensiva, ridando un valore oggettivo al mito che stiamo trattando. E se non sarà l’intero lavoro ad essere “inventivo” lo saranno alcuni aspetti, infatti, chi già usa questo strumento -ed io sono fra questi- fa proprio questo: applica le proprie capacità facendosi aiutare dall’intelligenza artificiale, che coordina e soprattutto controlla. In una parola, il contrario di quelli che nulla sanno e nulla hanno provato ma sentenziano, come chi -giuro che è vero- ha basato il proprio ragionamento su un film. Non è troppo diverso dal considerare John Wayne un autentico criminale perché ha ammazzato un sacco di indiani…
Al giorno d‘oggi non possiamo non riconoscere l’incredibile livello raggiunto dall’intelligenza artificiale anche sul fronte definito “generativo”, quello -appunto- in cui, anzichè ripetere quello che su basi statistiche si ritiene corretto, la procedura si inoltra in territori meno noti per proporre qualcosa di (apparentemente?) inedito . I risultati alla data odierna sono ampiamente perfettibili, tiriamo gli occhi perché non siamo abituati a questo tipo di produzione, quanto meno nella maggior parte dei casi. Di sicuro il miglioramento è quotidiano, per cui rapidamente si raggiungeranno livelli impensabili. Allora, non oggi, molti saranno messi in difficoltà, sia che scriva (ad esempio i copywriter) che lavori con le immagini (dai grafici ai fotografi) ma anche chi calcola (che ne sarà di chi redige le dichiarazioni fiscali?) o programma (già oggi c’è chi -senza competenze specifiche- lo fa con la voce).
Di nuovo, solo riuscire a stare davanti potrà consentirci di non affondare. Non lo potremo fare puntando sul numero delle competenze possedute, anzi ci dovremo abituare a non provarci nemmeno. Viceversa tale vantaggio può diventare nostro se ci facciamo affiancare da questo ed invece di combatterlo lo sfruttiamo!
Meglio se riusciamo ad utilizzare le nostre capacità di fare in modo se non creativo quanto meno non ripetitivo, coniugando i due aspetti: la creatività all’essere umano, la ripetitività alla macchina. Stiamo ripercorrendo il mito del trasferimento della fatica alla macchina? In un certo senso è proprio così, nulla di nuovo quindi?
Sì e no…
L’analisi di quello che è in corso proprio sugli aspetti meno rigidi, ci mostra con assoluta chiarezza come in realtà anche l’apparente creatività, se non l’arte intera con la sola eccezione dei maestri -cioè dei geni che hanno rivoluzionato il nostro mondo- non faccia altro che ripercorrere schemi codificati.
Quanto appena indicato comporta da una parte il ridimensionamento di molti sedicenti artisti, che se vengono raggiunti e superati da una macchina dovrebbero cambiare attività, o smettere del tutto di fare.
Dall’altra abbiamo la certezza che l’intelligenza artificiale crescerà e si avvicinerà sempre di più ai noti migliori esempi in ogni campo, senza però raggiungerli, con un andamento quasi asintotico, quindi riducendo sempre di più la distanza, senza però riuscire ad azzerarla.
Ovviamente a questo punto i non rassegnati -me compreso- si devono chiedere cosa fare, per diversi motivi: soprattutto non perdere il lavoro (inteso come mezzo per il sostentamento economico, non proprio un dettaglio) e non venire snaturati (perché non abbiamo solo il problema di affitto, mutuo e bollette ma molti si identificano nel proprio ruolo professionale, rischiando molto in caso di perdita irreversibile).
Non ho motivo per affrontare i corsi riqualificanti, quelli che in passato hanno fatto trovare lavoro solo ai docenti… abbiamo bisogno di ben altro!
Chi da impiegato è stato abituato ad applicare rigorosamente procedure e protocolli codificati, quelli che una volta erano i “colletti bianchi” ed oggi i “knowledge workers”, sono i lavoratori più a rischio. Anche perchè non è facile modificare il proprio atteggiamento, significa ammettere di aver svolto in precedenza un’attività definibile in tanti modi: lavoro sbagliato, superato, inutile, banale, meccanico o anche peggio! E a ruota ripartire, inseguendo chi è più avanti… persone e strumenti! Ancora una volta è solo la creatività a poterci tirare fuori dalle sabbie mobili!
Tutto bello, quindi? Purtroppo no se, come dovrebbe essere a questo punto chiaro, per non dire lapalissiano, per considerare qualcosa come “creativo” ne pretendiamo l’essere più di uno sberleffo. Corollario è il ridurre a ignobili cialtroni molti sempliciotti che solo si distinguono da quello che consideriamo ordinario, cioè normale. “Solo” perché non è scontato -ed ancor meno automatico- che nell’atto di differenziarsi lo si faccia in meglio, anzi, troppo spesso è vero il contrario: non avendo motivi per fare sfoggiare una creatività che latita molto meglio rientrare nei ranghi.
E le scuole? I docenti-insegnanti hanno lo scopo di innalzare il livello dei loro discenti-studenti, indipendentemente dall’età e dagli studi o dalla formazione pregressa. Non c’è dubbio che se siamo in presenza da entrambi i lati di persone di valore e desiderose di mettersi in gioco questo succederà sicuramente per le materie più “codificate”. Ma per quelle più vicine all’arte (e quindi alla creatività)?
Non sono pochi gli insegnanti che ritengono non sia impossibile per ciascuno di noi -quindi tutti, anche quelli che riteniamo e loro stessi si ritengono “non portati”- diventare artisti, senza se e senza ma... Il segreto è l’impegno, il darsi da fare (tanto)!
Tralasciamo gli aspetti economici, quelli per cui sarebbe interesse degli insegnanti non mollare per nessun motivo chi volesse diventare artista, magari dopo aver fatto il contabile per tutta la vita lavorativa… il che non osta ma serve tanta applicazione e soprattutto altrettante lezioni.
Il ragionamento si accompagna a quello sul Design Thinking, tecnica recente che asserisce di far produrre nuove idee anche a chi di solito proprio non ne ha. Non è divagazione, studiare senza risparmio il lavoro dei maestri non può che essere più che positivo così come non possiamo criticare l’acquisire le tecniche capaci di scardinare i nostri blocchi mentali, che non ci possono far peggiorare, anzi.
Qualche riserva invece non può non essere rivolta ai corsi –e purtroppo anche ai corsisti- che pensavano (davvero?) di potersi riciclare con poche lezioni. Al massimo possono essere trasmessi alcuni piccoli trucchi da usare in ogni probabile occasione, il che però nulla ha in comune con la vera creatività, o qualcuno riesce a trovare dell’innovazione oppure altro tipo di valore in questo repertorio di banalità?
Che sia un problema di metodo? Oggi tutto è codificato, abbiamo protocolli per ogni aspetto della vita. Il sapere come comportarci di fronte pressoché a qualsiasi cosa ci possa capitare ha enormi vantaggi, evitando gli esperimenti deleteri del passato. Di contraltare non abbiamo spazi di manovra, nessuna discrezionalità, tanto che siamo disabituati a prendere iniziative di alcun tipo, con buona pace del problem solving e soprattutto di quanto più ci sta a cuore qui. Più che “creativi” siamo spesso -in termini numerici quantitativi (la maggior parte di noi) e temporali (per la stragrande parte della giornata lavorativa, e non solo quella...) -dei semplici “compilatori”, dal riempitore di moduli in su, al massimo dei calcolatori, quindi applicatori di procedure completamente prive di incognite, figlie della tavola pitagorica, utili ma non interessanti, affatto creative.
La negatività impera, quindi? Pensiamoci, prima di sentenziare. Questo evitare di affrontare l’ignoto, perché questo è la pratica della creatività, ci fa comodo, evita di farci esporre al rischio di errare, e di essere giudicato negativamente. Questo sembra essere un dettaglio ma oggi sembra non ci sia nulla di più importante che assecondare il comune sentire, esattamente il contrario di quello che fanno i veri creativi, che non lisciano il pelo, anzi!
Il nostro nemico sembra essere a questo punto la standardizzazione, che è cosa diversa dall’omologazione. Quest’ultima nasce ed ha senso per la certificazione, si pensi ai veicoli che -appunto- vengono omologati, cioè dichiarati conformi alle specifiche norme in vigore e possono per questo circolare. Lo stesso -ripeto: lo stesso- senza alcuna differenza può valere per Ie persone? Che dire dei giovani, molto diversi nell’aspetto dai genitori e dai nonni, apparentemente originalissimi ma in realtà uguali tra loro? In una parola: stereotipati! E di certi impiegati, che sembrano ciclostilati, ovviamente tanto uguali da avere ciascuno il bisogno di un segno che li distingua, come se si potesse essere originali per un colorato fazzoletto nel taschino della solita giacca o le basette fuori ordinanza…
Sono solo esempi, di facile comprensione perché relativi a quanto vi sia di più semplice da percepire, ma lo stesso vale per aspetti meno visibili, dalla lettura di “strani” ed originali testi al coltivare particolari passioni, tanto singolari che lo fanno in molti. Creativo è in questo caso solo l’autore delle opere fruite, caratteristica di sicuro non trasferibile per osmosi.
Il rischio è che il dibattito si riduca alla discussione, sicuramente interessante -ma non solo!- come fanno i geni della statistica da bar quando scelgono i numeri su cui scommettere: da una parte chi ritiene che si debba puntare sui numeri meno frequenti, dall’altra chi sostiene il contrario, meglio affidarsi a quelli più assidui. I motivi sono legati al fatto che se un numero “non esce” deve farlo (come attesta la legge dei grandi numeri, che però nello specifico caso si ferma a dieci unità, direi non molto…) ma anche che se questi antipatici non si fanno vedere non potranno che continuare a starsene dove sono (è evidenza -secondo i nostri- inoppugnabile). Non sarà che sono questi aspetti tecnico-scientifici la nuova creatività?