Spesso i gruppi di persone che la pensano allo stesso modo, che ascoltano la stessa musica o che apprezzano la stessa letteratura vestono anche allo stesso modo.

Pensate agli ormai mitici raduni di mods e rockers che si contraddistinguevano non soltanto per la musica che amavano ascoltare ma anche e soprattutto per il modo di vestirsi.

I mods indossavano giacche e cravatte naturalmente di taglio slim fit ma anche polo Fred Perry con jeans e bretelle e le immancabili loafers ai piedi; i rockers, di contro, data lo loro anima da easy riders, portavano giacchette di pelle, jeans e anfibi.

La musica, la moda e lo stile li allontanava così tanto che, quando capitava che si incontrassero finiva sempre in rissa, come quella gigantesca, ricordata ancora oggi, che successe a Clacton nel 1964.

Dopo di loro sono arrivati i punk, che della trasandatezza facevano il loro dress code, e poi i new bohemiens, i dark, i metallari, gli skinheads e tutti avevano un genere musicale e uno stile da rispettare. Se questo non significa che in effetti l’abito faccia il monaco allora non saprei cos’altro supporre.

Paninari e yuppies negli anni ‘80, ma anche hippies negli anni ‘60; non c’è mai stata una generazione che abbia mancato di riunirsi sotto uno o più codici di stile che si attagliavano perfettamente alle loro idee o, per meglio dire, le loro idee delineavano lo stile con cui si presentavano, dato che, prendendo come esempio gli hippies, il loro modo di vestire era naturalmente trasandato e costituito da vestiti multicolore e molto lontani dalla moda che primeggiava al loro tempo e tutto ciò perché dovevano dimostrare di essere diversi dalla massa ed essere identificati come gruppo che viveva ai margini della società.

Il codice non è soltanto un modo per contraddistinguersi all’esterno, per indicare appartenenza come se fosse una divisa ma è anche un sistema di avvicinarsi a un pensiero comune che sia politico o anche sociale. Basti pensare a come si vestivano i gruppi giovanili durante la protesta studentesca del ‘68 o quanto sia evidente la differenza sociale ed economica dei colletti bianchi e di quelli blu, che in pochi termini facevano passare il concetto di padroni in giacca e camicia incravattata dal colletto bianco inamidato e di operai in tuta blu da lavoro.

Forse l’abito non farà propriamente il monaco ma ci si avvicina molto. Oltre al fatto che i monaci un abito specifico lo devono necessariamente indossare.

Ogni strato della società ha un suo dress code e ogni età ha il suo, checché se ne voglia dire nel cercare di confondere le acque presentando anziani tatuati o vestiti come i giovani. Ogni età porta in dote il suo modo di addobbarsi ed ogni gruppo in modo più o meno evidente ha il suo sistema comportamentale che prevede anche un suo stile di abbigliamento. Non è possibile fare a meno di tutto ciò, perché anche se si cerca di tirarsene fuori dichiarandosi anticonformisti si cade immediatamente nella stessa trappola, poiché si entra comunque a far parte di un gruppo in questo caso proprio quello degli anticonformisti che pensano di essere diversi e originali ma che in fondo non lo sono, rientrando come tutti in una categoria.

L’abito, signori, fa il monaco, eccome se lo fa. L’uomo è allo stesso tempo padrone e servo del proprio stile poiché decide come abbigliarsi, ma lo stile che ne deriva lo inquadra immediatamente in un gruppo; perciò, certamente siamo liberi di scegliere se portare una cravatta o se chiuderci la camicia fino all’ultimo bottone senza che nessun paramento la copra, ma non possiamo sfuggire all’etichetta che si chiama così proprio perché ci stampa sulla fronte chi siamo da come vestiamo e da come ci comportiamo. Inoltre, spesso, non serve neppure che indossiamo il nostro codice di abbigliamento per essere riconosciuti come appartenenti ad un dato gruppo, perché non possiamo evitare che il nostro stile sia evidente dato che, quando si diviene monaci, monaci si resta per sempre.