Salve! Mi chiamo Eve e non ho mai avuto una grande capacità di sopportazione, ma con immensa fierezza annuncio che questa volta ho ottimi motivi per essere inviperita. Il mio piano è di raccontare tutto al passato remoto, perché fa sembrare ogni cosa lontana e forse allontanerà anche la mia gastrite nervosa.
Passai una splendida nottata in ospedale, seduta sulla tipica sedia due pezzi di legno e stanghe di ferro con chiodini che strappano impietosamente capelli. La mattina dopo ero simile a un mollusco spiaccicato da scarpa umana al suono chic chac splatch. Se penso che a Grosseto ci eravamo andate in vacanza mi sbellico dalle risate, giuro. Dopo un lungo periodo di sfighe ripetute avevo pensato di rilassarmi un po', ma evidentemente un'idea così stravagante non poteva funzionare. Il risultato fu che quella mattina rinvenni il mio stress concentrato in un grosso brufolo rosso al centro della fronte. Ero così irritata che in un moto di rabbia mi chiesi se Sara se la fosse fatta venire di proposito quella dannata crisi maniaco-depressiva. Insinuazione infantile e cattiva, lo so, ma emotivamente giustificabile.
In verità la considero una ragazza piuttosto simpatica, è figlia di amici dei miei quindi ci conosciamo da quando eravamo piccole. Certo, di problemi ne ha un po', però le voglio bene. Fatto sta che quella mattina, quando Sara si svegliò, mi sedetti sul suo letto. Stavamo aspettando l'ambulanza che l'avrebbe portata in un ospedale vicino casa, dotato di un adeguato reparto psichiatrico, quando lei andò in bagno lasciandomi tutta sola. Caso volle che proprio in quel momento arrivassero i due infermieri addetti al trasporto. Quei babbei fecero l'arbitraria addizione donna + valigia + stanza d'ospedale numero 24 = Sara Spiazzi.
"Ci segua signorina", disse l'infermiere ben piazzato.
"Non sono io la malata", risposi secca come un calcio ben assestato nel didietro.
"Venga e non faccia storie", intervenne l'altro uomo, quello grassoccio.
"Vi ho detto che non sono Sara! Mi chiamo Eve dannazione".
"Che facciamo?" chiese il ben piazzato.
"Non ti preoccupare, quella a cui stiamo assistendo è la depersonalizzazione, tipica di chi ha problemi psichici. Il suo comportamento dimostra che è lei la signorina Spiazzi", rispose il grassoccio come se io non potessi sentirlo.
"E se invece fossi un'amica di Sara e lei fosse momentaneamente al cesso? Non sarebbe la mia reazione del tutto normale?" alzai un po' la voce, mi stavo arrabbiando.
"Signorina, si fidi di noi e ci segua", sorrise il ben piazzato senza nemmeno ascoltarmi.
"Ma allora siete deficienti! Come potete non capire che sono la persona sbagliata?" urlai in preda a un sacro furore.
"Andiamo", quello grassoccio mi afferrò per il polso e fece per trascinarmi, ma io gli mollai con la mano libera un sonoro schiaffo d'indignazione. La conseguenza fu che il ben piazzato m’afferrò l'altro polso.
"Lasciatemi! Siete pazzi! Violenti! Cosa volete farmi? La pagherete!" gridavo scalciando nel disperato tentativo di liberarmi.
Stavo combattendo con rabbia feroce, quando qualcuno chiamò il medico di guardia. Venni immobilizzata come un porcellino al macello e quello mi fece un’iniezione di forte sedativo. Che umiliazione! Ancora adesso brucia in me il forte desiderio di vendetta. Come potete immaginare non ho molti ricordi di ciò che accadde in seguito, ma so che mi caricarono sull'ambulanza. Ogni tanto mi riprendevo e loro giù con un'altra dose di sedativo per contrastare le mie reazioni "violente".
In seguito i babbei furono fermati alla stazione di Orte da una pattuglia dei carabinieri, vennero così a conoscenza dello spiacevole malinteso. Io riacquistai la mia libertà e non volli sapere scuse. "Questa è la conseguenza degli etichettamenti patologici e patogeni. Nel caso della nosografia psichiatrica tradizionale siamo davvero di fronte a quelle che Karl Popper chiama proposizioni autoimmunizzanti", sentenziai non appena fui lucida. Alzai il sopracciglio e schioccai persino la lingua per farli sentire profondamente inferiori. "Siete degli stupidi vermetti", aggiunsi senza riuscire a trattenermi, "vermettini". Quelli restarono muti e tremanti di rabbia. A che serve studiare psicologia all'università se non per prendersi questo tipo di rivincite? Forse a niente, dato che non si trova lavoro. Ho intenzione di fargli causa per diventare ricca.
Tratto da una storia vera.