Chitarrista di formazione jazz e rock, dedito anche allo studio della chitarra classica, Paolo Sala ha cominciato l'attività di docente all'Accademia Musicale Lizard di Fontanetto Po. In seno alla Lizard ha partecipato, insieme ad altri colleghi, alla stesura del metodo La chitarra Rock Vol.1 (Edizioni Berben).
Come performer ha all'attivo tante collaborazioni sia in studio che dal vivo, a partire dai primi anni '90, con Black & White (che hanno supportato gli Africa Unite e che, scoperti da Pier Michelatti, sono stati scritturati da BMG); Mc'Allan (finalisti a Rock Targato Italia e autori dell'album Herpes per Ariston), che hanno anche collaborato con Lele Melotti e Fabrizio Consoli; infine Carisma, Energetica, Lopez, Roberto Malerba (anche all'estero).
Finalista – su ottocento partecipanti – del contest Emergenza Chitarre nel 2003, avvia i suoi concerti con la chitarra classica nel 2006.
Il debutto arriva nel 2015 con Solitude, un album di composizioni originali per chitarra sola. Nel 2024 Banksville Records pubblica il secondo album: si intitola Semplice-Mente.
Semplice-mente esce a otto anni di distanza dal debutto Solitude. Che differenze ci sono tra questi album?
Molte, in quanto la ricerca della forma con un solo strumento, come nel caso di Solitude, richiede una capacità di gestione della polifonia di un certo calibro. Quando questa manca, il risultato può apparire acerbo. Nel caso di Semplice-mente invece si è reso necessario per la sua concezione uno studio rigoroso dell’improvvisazione jazz e limitrofi, ecco spiegato il grande intervallo di tempo fra i due. Semplice-mente non esisterebbe senza lo studio della musica classica e del jazz.
Se restiamo sul significato dei titoli, il primo disco alludeva a una dimensione solitaria, mentre Semplice-Mente ci fa pensare a un equilibrio tra la immediatezza e la ricercatezza... è corretto?
Corretto, immediatezza mascherata da apparente semplicità è il fulcro di questo album. Non esiste cosa più difficile che creare una linea melodica perfetta, ovvero non modificabile se non a discapito della medesima. Questa è l’idea di fondo della ricerca contenuta nei brani. Ci sono riuscito? Non sta più a me giudicarlo. Io ho dato il massimo, di più non posso.
Hai coinvolto tanti musicisti e hai scritto i brani in funzione dei partecipanti. In base a cosa hai scelto il gruppo?
Ovviamente alle loro peculiarità stilistiche. In Vaffunky ad esempio per valorizzare gli ospiti contenuti nella traccia, si è reso necessario sforare in un genere che forse è il più lontano dalla mia sensibilità, ma era la cosa migliore che potessi fare per valorizzare i musicisti in questione. Idem per tutti gli altri brani.
Un altro elemento forte è la sua varietà: spazi tra jazz, funk e blues con eleganza, qual è il segreto?
Il segreto è riconoscere il proprio talento ed ammettere che in sé è poca cosa. Mi spiego: senza una enorme volontà di sacrificio il talento da solo non basta. Io ho capito di amare la buona musica, ovvero quella che mi sa emozionare, e che i “generi” per la mia persona rappresentano un limite alla felicità. Insomma, molto semplicemente mi sono fatto davvero in quattro nello studio, per comprendere il più possibile le sfumature che i vari sound sanno donare all’ascoltatore. Ciò mi ha reso abbastanza poliedrico.
La tua dimensione jazz e rock non contraddice la ricerca pluriennale nel mondo della chitarra classica: quanto è stata importante nella tua composizione?
Enorme. Nello studio del repertorio classico ho compreso la differenza fra una via di fuga risolutiva nella creazione di un’idea e la difficoltà nel dare ad essa gli elementi di cui davvero necessita per essere autentica nel rappresentare chi la compone.
In passato hai frequentato il mondo del pop sia in studio che dal vivo: cosa hai imparato da quell'ambiente musicale?
Ad arrangiare un brano principalmente. Fra le cose più complesse che ho vissuto musicalmente, vi è quella di trasformare in musica POP una idea, chi non ci è passato non può comprendere. Per quanto riguarda i live, in quell’ambiente ho imparato la professione: creazione di suoni, gestione dello spettacolo nel suo sviluppo e non ultimo il far parte di un suono che mette raramente al centro la chitarra, rendendo il suo operato complementare al tutto.
Semplice-mente resterà chiuso in studio o salirà anche sui palchi?
Decisamente deve salire sui palchi! Solo nei live si può attestare con certezza la caratura dei musicisti e l’emozione che possono trasferire nell’ascoltatore. Diciamolo pure, oggi far bella figura da dietro un PC è piuttosto semplice. Non è quello che sto cercando.