Viviamo nell’epoca in cui il politically correct condiziona le scelte più del fato. Ormai è necessario accettare, no aspè, usiamo il termine esatto, prostrarsi a quello che comanda più di tutti, appunto il buonismo e l’ipocrisia. E, onestamente, non le ho mai sopportate queste imposizioni della società.
Con tutto il rispetto per chi viene a mancare, ma non ho mai sopportato neanche il fatto che chi muore, automaticamente diventa la persona buona che mancherà a tutti…
Per me, se in vita eri uno “str****” per usare una metafora ungarettiana, non è che se muori diventi una brava persona ai miei occhi…
No, passi da “Sei uno str****!"...
... ad “Eri uno str****!” sempre per usare metafore, leopardiane stavolta…
Ora infatti viviamo nell’epoca in cui tutti si offendono per qualcosa, tutti hanno da ridire qualcosa riguardo qualcuno.
L’altro giorno parlando con un bravo comico di Bergamo, Daniele Fiamma, venne fuori il fatto che molta gente si è lamentata di un personaggio che fa lui nei suoi video sui social e nei suoi spettacoli.
Ora, lui è un bravissimo imitatore. Il personaggio al centro della diatriba era “La ragazza bergamasca”, la Debby. Quindi lui imitava, ironizzava su un personaggio. E giù insulti e minacce perché è offensivo nei confronti di un popolo, di una categoria, di una ragazza. Andiamo a vedere la definizione di imitatore:
Persona capace di riprodurre o parodiare, con una contraffazione più o meno abile e divertente, gesti, voci o rumori caratteristici.
E questo succede continuamente, il che conferma purtroppo che Umberto Eco ci aveva visto lunghissimo con quella frase: “Con i social parola a legioni di imbecilli”.
Ovviamente tutto ciò è anche condizionato, non solo dai social, ma anche dai media.
Su tutte le scelte della Disney+, Netflix e di Prime Video nel rendere l’inclusività, quella che è diventata una corsa al più inclusivo ridicola e senza senso.
Ci troviamo quindi Biancaneve che non è per niente Bianca come la neve (a questo punto chiamatela Marisa, per esempio…), ed i sette nani che non sono nani perché è offensivo per chi soffre di “nanismo”, e ovviamente di etnie diverse. Ma dovrebbe essere la favola di “Biancaneve ed i sette nani”, non una storia di un appartamento studentesco subaffittato fino al limite umano. E poi non sia mai che l’antagonista, “il cattivo”, sia di colore, che poi è razzismo, però allora se lo fai biondo è offensivo per gli ariani, non vorrai mica lasciarli fuori dal discorso di inclusività?
Praticamente è diventata una gara a chi riesce ad essere più ridicolo, quando semplicemente basterebbe prendere le cose meno sul serio.
Se un comico, o un imitatore, fa la parodia di un personaggio, sapete che cos’è? Una parodia! Nient’altro!
Per chi scrive diventa sempre più difficile stare dietro a tutti questi parametri. Parametri che poi, in molti casi, ti limitano…
Questo tipo di ragionamento ci ha poi portato anche alla cancel culture, secondo la quale si dovrebbero eliminare le tracce del passato. Di un passato che non ci piace o che comunque non è in linea con il pensiero attuale. E sapete perché non è in linea col pensiero attuale? Perché è di un altro periodo.
Nell’antico Egitto, alla morte del Faraone, venivano uccisi e messi nella tomba i suoi servitori perché credevano che gli sarebbero serviti nell’aldilà. Non credo che, per questo motivo, dovremmo buttare giù le piramidi con il tritolo… o fare una damnatio memoriae di una delle civiltà antiche più importanti della storia.
Tempo fa stavo ascoltando un… non saprei come definirla perché non è una trasmissione, non è un podcast perché si può ascoltare solo live e non ci sono registrazioni, quindi lo definirei un incontro-scambio di opinioni su LinkedIn che si intitola “Le voci del mattino”, di Giovanni Mattiazzo, nel quale parlano di un argomento diverso ad ogni appuntamento. In questa occasione parlavano proprio del politically correct ed un intervento mi ha colpito, non so di chi, non sono bravo coi nomi… L’uomo che è intervenuto, ma per il politically correct vi dico che anche le donne hanno fatto interventi interessanti, disse che lavorava nel settore nel sociale. Ho detto sociale, non social! Comunque, la definizione che mi ha colpito riguardava le troppe parole dette, ma seguite dalle poche azioni. Ed è vero, si parla. Si parla solo, ma nel concreto non si fa mai molto, nel concreto. Soprattutto noi italiani…
Invece di stare sempre attenti al politicamente corretto, non guardiamo mai al politicamente concreto… Forse solo io ci ho visto una grande verità, ma sono completamente d’accordo con quell’uomo. (Attenzione, sono completamente d’accordo anche con le donne eh! Ma anche con i bambini, i cani, le tartarughe, i krill…).
Proviamo a fare un gioco: parliamo meno e agiamo di più… che ne dite?