I tentativi d’integrazione in Europa sono già in atto e procedono celermente. Il problema però non è se gli immigrati si integreranno, perché è sicuro che ciò avverrà, ma capire in che modo e in quanto tempo ciò potrebbe avvenire in maniera completa e accettabile e se nelle more dell’integrazione si possano innescare fenomeni sociali pericolosi tali da mutare la nostra civiltà e soprattutto se questo fenomeno possa avvenire favorendo una reale inclusione sociale. Le tensioni e le preoccupazioni generatrici di paura, che si stanno diffondendo in quasi tutta l’Europa, sono, a mio avviso, frutto della poca conoscenza di alcuni aspetti sociali strettamente legati al fenomeno dell’immigrazione, tanto da far emergere dubbi importanti e diffusi: l’inserimento di nuove popolazioni cambierà la nostra cultura e la nostra civiltà? La nostra società potrà essere sostituita dalla loro? E se ciò dovesse avvenire cosa sarà di noi? Proviamo a leggere con attenzione il fenomeno.
Da dove emerge la paura
Una delle cause che generano paura è la difficoltà delle popolazioni europee di accettare ciò che è differente dalla loro cultura e dalla loro civiltà. Quando in Europa si parla di mancata integrazione e di diversità, il nostro pensiero si indirizza involontariamente verso i musulmani, che in Europa mantengono forti le loro radici comuni, con tradizioni che variano da una comunità all’altra e da un Paese all’altro di lor provenienza. Le contestazioni ai loro usi e costumi, legate ad aspetti sociali e soprattutto religiosi, sono tante e alcune sono anche di difficile giustificazione sociale.
Di seguito saranno evidenziati le loro tradizioni oggetto di maggiore contestazione indicando, ove ritenuto opportuno, delle informazioni minime di carattere normativo, religioso e civico.
Tradizioni legate alla religione
Indumenti religiosi
Rappresentano sicuramente uno degli aspetti più vistosi e in alcuni casi di maggiore contrasto con la civiltà ospitante, ma ciò che non viene accettato non è l’aspetto estetico e funzionale per chi indossa gli indumenti, quanto il fatto che l’indumento non può e non deve nascondere il volto della persona che l’indossa rendendola irriconoscibile. Tale aspetto è spesso motivo di preoccupazione e comunque in netto contrasto con le norme di legge dei Paesi europei. Tra gli indumenti più discussi ci sono due veli islamici: il niqab (che copre il viso tranne gli occhi) e il burqa (che copre completamente il viso). Alcuni sostengono, e chi scrive è tra costoro, che questi due veli sono incompatibili, oltre che con le norme di sicurezza dei Paesi europei, anche con i valori occidentali di uguaglianza di genere e laicità. Il principio di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale è chiaramente riportato nelle normative europee e dei diversi Paesi dell’UE.1 Ciò significa che nessun veto è messo per l’uso del velo quando il volto della persona che lo porta è ben riconoscibile.
Preghiera pubblica
L'uso di spazi pubblici per la preghiera è stato oggetto di discussione in alcune comunità, specialmente quando si tratta di occupare spazi pubblici come strade o piazze per le preghiere di massa durante eventi religiosi. Questo aspetto potrebbe essere regolamentato con adeguate disposizioni locali. In genere, le preghiere islamiche quotidiane possono richiedere una breve pausa durante la giornata lavorativa, della quale già alcuni datori di lavoro tengono conto e altri sarebbe opportuno che ne tenessero, non sono di grave disturbo per la comunità, altri ancora cercano di trovare un compromesso.
Educazione religiosa
La presenza dell'educazione religiosa islamica nelle scuole pubbliche e la questione della separazione tra religione e istruzione sono state fonte di dibattito in diversi paesi europei. Per potere commentare e/o criticare alcuni aspetti legati al rapporto religione/immigrati è opportuno avere contezza delle relative norme già esistenti e consolidate sia in Europea, che in alcuni Paesi europei. Il primo comma dell’art.10 della “Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea” così recita:
Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.
Dunque, ogni individuo in Europa ha pieno diritto a manifestare il proprio credo religioso e agire in armonia alle relative disposizioni dei singoli Stati.
In Italia, ad esempio, la Chiesa cattolica è riconosciuta dallo Stato attraverso i Patti Lateranensi, sottoscritti nel 1929 tra Regno d’Italia e Chiesa, che contengono una convenzione e un concordato. L’articolo 7 della Costituzione italiana2 stabilisce che lo Stato e la Chiesa sono enti indipendenti e sovrani. Questo Concordato è stato poi aggiornato con l’Accordo di revisione del 18 febbraio 1984, riconoscendo alla Chiesa un ordinamento giuridico autonomo, lo Stato della Città del Vaticano. Inoltre l’art.8 della Costituzione1 garantisce l’eguaglianza in materia, mentre l’art. 19 Cost4 garantisce la libertà di fede religiosa. La Chiesa Cattolica in Italia gode di alcuni privilegi speciali, come l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e la possibilità per i sacerdoti di celebrare i matrimoni civili con valore legale, ecc. Ho ritenuto essenziale le superiori precisazioni perché si possa potere formulare un corretto giudizio sui dubbi sopra evidenziati e non emettere critiche superficiali e sterili che potrebbero risultare fortemente falsate e dannose per la sicurezza ambientale.
Simboli religiosi e festività cristiane contestate
Gli esempi più eclatanti sono il ben noto rifiuto, da parte musulmana, dei simboli religiosi cristiani e le richieste di annullamento di festività religiose cristiane o la modifica dell’attività lavorativa di lavoratori musulmani in funzione di loro feste religiose. Sono evidenti, ad esempio, le manifestazioni di protesta di studenti musulmani e dei loro genitori perché non accettano che in scuole italiane venga appeso alla parete il Crocifisso e si è assistito alla condivisione di tale richiesta da parte di qualche insegnante, come della chiusura della scuola nel periodo di Ramadan o la richiesta di fermare attività lavorative nel periodo del Ramadan o comunque di esonerare i lavoratori musulmani dall’obbligo contrattuale assunto, ecc.
Sul Crocifisso in aula scolastica
In Italia, il problema relativo all’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche è stato sancito dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite Civili n. 24414 del 6 luglio - 9 settembre 2021, secondo la quale non c’è un obbligo di esporre il Crocifisso nelle aule scolastiche, ma la sua presenza non è considerata discriminatoria perché rappresenta "l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo". Nel comunicato che la Corte di Cassazione ha reso è così scritto: «L’affissione del Crocifisso, al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo, non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione».
Sul Ramadan e il lavoro
Il Corano nel mese di Ramadan prescrive che i musulmani digiunino dall’alba al tramonto. Pertanto, i lavoratori musulmani, durante tutto il mese, hanno l’esigenza di conciliare il diritto al credo con le esigenze della produzione, ma soprattutto devono salvaguardare la salute e la loro sicurezza. Per potere far ciò vanno supportati per i loro adempimenti religiosi, poiché il loro digiuno potrebbe portare a seri rischi durante l’attività lavorativa per possibile disidratazione, perdita di coscienza, ecc. Il datore di lavoro, già sin dall’assunzione del lavoratore musulmano, ha l’obbligo di valutare tutti i rischi compresi quelli legati alle differenze di genere, all’età, alla religione e ad eventuali atre limitazioni per usi e costumi che i lavoratori stessi intendono immodificabili.
L’azienda assuntrice dovrebbe dunque valutare, al momento dell’assunzione, se il lavoratore, con la relativa assistenza medica, potrà espletare nel periodo di Ramadan i lavori a lui assegnati e, in caso negativo, se la sua attività lavorativa potrà essere sostituita temporaneamente da altro lavoratore e, in tal caso, se è possibile affidargli lavori temporanei compatibili con l’attività della stessa azienda. Infine, il datore di lavoro dovrà valutare preventivamente se l’eventuale sospensione temporanea del lavoratore, per la sua impossibilità di espletare correttamente il suo lavoro o un altro in alternativa, potrà arrecare danni all’azienda stessa. Sono valutazioni da fare assolutamente prima dell’assunzione del lavoratore e riportali nel relativo contratto di assunzione.
Il problema grave si riscontra principalmente con i lavori edili, ma non mancano gli esempi in agricoltura. Basta ricordare quando, diversi anni fa, scoppiò il caso dei braccianti impegnati nella raccolta dei meloni nel periodo di Ramadan in pieno agosto. I lavoratori si rifiutavano di bere. I datori di lavoro provarono a imporglielo, nacquero delle forti tensioni e polemiche. E quanti digiuni e assetati non hanno il coraggio di manifestarlo e quanti non chiedono neanche una pausa per pregare, per non avere riscontri negativi col datore di lavoro, ed è così che continuano a riempire cassette di frutta in maniera quasi automatica, perché ogni cassetta contribuirà alla sopravvivenza della loro famiglia.
Tradizioni legate agli aspetti sociali
Pratiche alimentari
Alcune pratiche alimentari islamiche, come il divieto di consumare carne di maiale e il metodo di macellazione rituale “halal” (che significa “lecita”), secondo la quale gli animali possono essere abbattuti senza essere precedentemente storditi, a condizione che l'abbattimento abbia luogo in un macello, sono ormai inammissibili in Europa. È una pratica di macellazione che oggi ci scandalizza, magari perché non ricordiamo che tale pratica era in vigore alcuni decenni fa anche nei nostri Paesi occidentali. Tali aspetti hanno suscitato giuste controversie riguardo soprattutto la loro difformità nel rispetto delle normative sanitarie, inoltre hanno destato preoccupazioni per gli aspetti economici e commerciali legati al calo di vendita delle carni suine.
Separazione tra uomini e donne
Alcuni aspetti della segregazione di genere all'interno delle pratiche musulmane, come la separazione tra uomini e donne in moschee o in eventi pubblici, hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla parità di genere e all'integrazione sociale. Non si comprende quale preoccupazione si debba avere di tali usanze, soprattutto perché risultano ben gradite alle stesse donne e nessun nocumento porteranno mai né agli uomini, né alle persone non musulmane.
Poligamia
L’Unione Europea, sebbene proibisca ufficialmente la poligamia, lascia ai singoli Stati la relativa decisione. La legittimità o la proibizione della poligamia negli Stati europei dipende direttamente dai singoli Stati e non da norme comunitarie generali. Tale aspetto è stato chiaramente espresso in diverse occasioni ed è stato confermato a seguito dell’interrogazione scritta presentata da Mme Marielle De Sarnez (ALDE) alla Commissione parlamentare europea il 30.4.2010. La risposta scritta, a nome della Commissione Parlamentare, è stata presentata il 2.7.2010 da Mme Reding. Per una migliore comprensione dell’argomento si riporta di seguito una parte importante della risposta:
La Commissione ricorda all'Onorevole Parlamentare che continua a perseguire, nei limiti delle competenze concesse dai Trattati, una politica di lotta contro ogni forma di discriminazione tra uomini e donne, indipendentemente da qualsiasi credo religioso o da qualsiasi convinzione morale personale. La poligamia è vietata in tutti gli stati membri dell’Unione Europea. La questione del riconoscimento dei matrimoni poligami celebrati al di fuori dell'Unione non è regolata dal diritto dell'Unione, ma dalle norme di diritto internazionale privato di ciascuno Stato membro. In materia di diritto di famiglia, la maggior parte degli Stati membri applica la legge personale delle parti in materia di matrimonio o divorzio, nella misura in cui l’applicazione di tale legge non sia contraria all’ordine pubblico dello Stato in questione.
Tuttavia, ci sono situazioni in cui la poligamia può esistere in Europa, specialmente nelle comunità immigrate da paesi dove la poligamia è legale o socialmente accettata. In questi casi, può essere un problema complesso per le autorità nazionali affrontare la questione, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne e dei bambini coinvolti in tali situazioni.
Sui quartieri musulmani di alcune città europee
Sono quartieri dove è difficile l’accessibilità e la convivenza per i non musulmani. Questo argomento merita una trattazione a parte, poiché tante sono le motivazioni, non sempre giustificabili, che in detti quartieri fanno chiudere gli abitanti in una sorta di autodifesa. Sono quartieri abitati esclusivamente o prevalentemente da musulmani, dove è significativa e visibile la causa di atteggiamenti derivanti da vari fattori storici, sociali ed economici. Quando poi a tali atteggiamenti non segue un adeguato e immediato controllo delle forze dell'ordine la situazione può degenerare, come in alcuni casi è degenerata, facendo innescare dei fenomeni malavitosi, che talvolta si presentano all’esterno anche sotto false giustificazioni religiose. Il fenomeno può comunque essere messo sotto controllo facilmente e riaprire questi quartieri alla pacifica convivenza.
Aspetti demografici
L’Islam sta crescendo in Europa, e nei prossimi anni la cultura giudaico-cristiana potrebbe essere a rischio. Ecco alcune delle maggiori contestazioni mosse alle usanze musulmane in Europa. La popolazione musulmana, che dal 2010 al 2016 è aumentata di circa il 32% (in Italia del 38%), si prevede che nel 2050 possa triplicarsi. Questo aumento solleva preoccupazioni riguardo all’integrazione e alla sicurezza. Da evidenziare che gli immigrati irregolari musulmani hanno un’età media di circa 13 anni in meno rispetto chi non è musulmano e le donne musulmane hanno in media maggiori figli di quelle dei Paesi europei (il doppio delle donne italiane). Gli attentati terroristici in Europa sono stati causati con forte prevalenza da islamici. Pertanto questa crescita, se non seguita da una corretta integrazione, può sollevare preoccupazioni sulla sicurezza e sulla gestione della stessa immigrazione.
I grandi investimenti economici del mondo arabo in Europa
Desta anche preoccupazione il fatto che diversi Paesi arabi hanno investito ingenti risorse nelle grandi aziende europee e in particolare in quelle italiane, comprese quelle sportive, come Emirati Arabi Uniti, Qatar e Arabia Saudita che hanno investito in aziende industriali, commerciali e nel calcio e hanno sponsorizzato squadre di calcio in tutto il mondo, detenendone in diverse di esse il pacchetto di maggioranza e in alcuni casi forse anche la proprietà assoluta. Come semplice esempio basta citare la vistosa pubblicità che viene riportata sulle magliette dei giocatori. In queste occasioni non bisogna trascurare l’irresistibile fascia islamista che, con forti economie, ha creato in Europa organizzazioni di pressione per promuovere i loro specifici interessi attraverso il crescente peso della loro forza politica. Tutto ciò, legato alle continue sfide per ottenere una vera integrazione, ancora non raggiunta anche se raggiungibile, che mina le basi della società civile alimentando le nicchie di sconforto e preoccupazione.
Le basi interpretative del dissenso
Poiché cultura e civiltà sembrano le note vibranti su cui si poggiano dissenso, reazioni e rifiuto del cosiddetto “diverso”, per potere valutare se quanto sopra descritto può rappresentare un rischio reale o teorico per la nostra cultura e la nostra civiltà, si ritiene opportuno richiamare, ancorché brevemente, cosa si intende per cultura e per civiltà, due concetti complessi che possono variare significativamente a seconda del contesto, due sostantivi femminili la cui differenza è talvolta confusa, aggiungendo così al dissenso ulteriori incertezze che alimentano poi la preoccupazione generale.
La cultura è ciò che concorre alla formazione dell'individuo sul piano intellettuale e morale e comprende l’insieme delle esperienze acquisite ai fini di una specifica preparazione in uno o più settori del sapere umano, consentendogli anche la l'acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società. La cultura comprende conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e altre abitudini acquisite dagli individui come membri di una società ed è un processo attraverso il quale le persone migliorano la propria condizione e passano da uno stato di ignoranza a uno colto.5
La civiltà è strettamente legata alla cultura, ma si concentra sulla società nel suo insieme. Rappresenta il complesso degli aspetti culturali spontanei e organizzati relativi a una popolazione in una data epoca e indica i valori in cui crede una società, i grandi ideali che definiscono un popolo. Nel suo insieme comprende dunque il complesso degli aspetti sociali, materiali e spirituali che identificano una popolazione in un certo periodo storico e in un preciso territorio. In particolare, la forma in cui si manifesta la vita materiale, sociale e spirituale di un popolo. Pertanto si parla di civiltà araba, babilonese, greca, romana, medievale, ecc. In modo forse più generale possiamo affermare che il concetto di "società di un popolo" si riferisce alla struttura sociale e organizzativa di un gruppo umano che condivide una serie di caratteristiche culturali, linguistiche, storiche o territoriali.6
In sintesi, la cultura influenza la civiltà, ma quest’ultima va oltre l’individuo e coinvolge l’intera società. Il cambiamento di una civiltà può dunque derivare da molteplici fattori, tra cui innovazioni tecnologiche, movimenti sociali, conflitti o cambiamenti di mentalità. Tuttavia, ogni popolo ha la sua storia unica e il suo percorso di sviluppo. Ciò non esclude la possibile coesistenza di popoli di differente civiltà e l’armonizzazione tra popolazioni con differente civiltà.
Considerazioni finali
Da quanto sopra descritto è ora possibile dare risposta alle domande in premessa, dopo avere aggiunto qualche semplice riflessione preliminare. L’Italia è uno Stato laico7 e riconosce la libertà religiosa a tutti (cittadini, stranieri e apolidi), senza alcuna discriminazione. Ciò spiega, perché, oltre all’eguaglianza organizzativa delle singole religioni (art. 8 Cost.)8 è garantita anche la libertà di fede religiosa dall’art. 19 Cost.9 In concreto, per la Costituzione italiana tale libertà consiste:
- nella possibilità di scegliere ognuno il proprio credo religioso, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di rito contrario al buon costume e all'ordinamento giuridico italiano;
- nella libertà di potere anche non avere un proprio credo religioso, la cosiddetta libertà di ateismo.
- nella libertà di non essere costretti a professare una particolare fede religiosa;
- nel fatto che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Pertanto, quanti avanzano proteste di vario genere relativamente ai contrasti tra la sfera musulmana e quella cristiana nel rapporto con gli immigrati è opportuno che prima di scrivere assumano le necessarie informazioni. Si renderanno così conto che spesso si tratta di proteste sterili e superate da norme e disposizioni vigenti, pertanto utili solo ad alimentare un pericoloso odio verso gli immigrati. Popoli a noi vicini anche nelle antiche tradizioni non possono essere oggetto di banalizzazione e minimizzazione del loro vissuto storico, civile e religioso.
Sull’eliminazione dei simboli sacri e sulle festività religiose
La questione del Crocifisso nelle aule scolastiche in Italia è stata oggetto di dibattito e di decisioni giuridiche. Secondo le informazioni disponibili, un insegnante non ha il potere unilaterale di decidere sulla rimozione del crocifisso. La Corte di Cassazione ha suggerito che dovrebbe essere trovato un “accomodamento ragionevole” che rispetti le diverse posizioni e sensibilità presenti all’interno della comunità scolastica. In generale, l’esposizione di simboli sacri nelle aule scolastiche non è imposta da leggi, ma da regolamenti storici, e la sua presenza non è considerata lesiva dei diritti inviolabili della persona o fonte di discriminazione.
Allo stesso modo è stato evidenziato che non esistono veti normativi per quelle usanze e quei costumi, religiosi o no, che nessun nocumento portano alla popolazione residente e non contrastano con le vigenti disposizioni di legge. Questo è uno degli indici del vero alto livello umanitario raggiunto dalla nostra civiltà.
Sugli aspetti religiosi in generale
Chi tenta di modificare la nostra cultura giudaico-cristiana, tentando di eliminarle i nostri simboli o di imporre che le feste religiose islamiche possano diventare feste nazionali nel nostro Paese ho la vaga impressione che commetta un errore e non sarà mai un portatore di pace. Ma chiediamoci perché lo fa. Sono motivi partitici? Rappresentano il desiderio di chi tali idee sostiene solo per fare notare che esiste anche lui in questo mondo? È un gesto spinto dal suo diverso credo religioso? Se le spinte sono politico-partitiche il commento è inutile perché sarebbe fortemente degradante. Se dovute per fare emergere e pubblicizzare la propria persona, ciò potrebbe essere l’effetto di un senso di frustrazione, che non siamo certamente gli ospitanti ad alimentare, comunque sono azioni che non daranno mai alcun contributo positivo per l’armonia e la pace tra i popoli. Se spinto da un diverso credo religioso, ciò è legittimo poiché, in un paese democratico, esterna i propri pensieri in difesa del proprio credo, ma non si giustifica se, ancorchè involontariamente, tenta di prevaricare e imporre al popolo ospitante alcuni propri usi. A tal proposito devo ammettere che, nei miei pluridecennali rapporti con i miei fratelli ebrei e musulmani, così come spesso mi piace chiamarli, non ho mai riscontrato sentimenti di odio verso le nostre tradizioni cristiane, anzi, in alcuni Paesi arabi ho potuto scoprire tanti valori che ci legano e magari senza che ce ne accorgiamo.
La campagna di odio contro il crocifisso cattolico venne fondata da Adel Smith, nato ad Alessandria d'Egitto da padre italiano e madre egiziana musulmana e morto nel 2014, che nel 2001 quando definì il Crocefisso «un cadavere in miniatura», che dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverata la madre lanciò in strada il crocefisso, paradossalmente dallo stesso ospedale dove poi egli morì. Certamente Smith dimenticò le sue origini materne. Sicuramente dimenticò o fece finta di non sapere cosa sarebbe potuto accadere ad un cattolico se nel suo Egitto o in qualche altro Paese arabo (non in tutti) avesse detto analoghe cose contro simboli musulmani, probabilmente avrebbe subito una pesante condanna in carcere e i in qualche Paese forse anche una condanna a morte. Si, sicuramente dimenticò questo piccolo particolare quando mise in atto una campagna che invece della pace ha alimentato odio da parte di tantissimi cattolici verso i musulmani. Per fortuna molti Imam, che si erano mostrati inizialmente interessati all’iniziativa di Smith, nella loro saggezza, non lo seguirono, anzi ne presero le distanze.
Il nostro è un Paese laico di tradizione cattolica che ha feste religiose, ufficialmente inserite nel calendario delle feste nazionali, per le quali sono previste sospensioni di attività lavorative e chiusura delle scuole. Chi viene nel nostro Paese non può chiedere di modificare la nostra cultura e la nostra civiltà di cui si è nutrita la storia europea. Chi viene ospitato ha dei limiti nelle richieste e sono in genere gli stessi limiti che hanno gli ospiti non musulmani quando vanno in quasi tutti i Paesi Arabi. Con senso cristiano dico agli ospiti musulmani: noi vi accogliamo proprio con l’alto senso cristiano che ci contraddistingue, siamo felici di potervi essere utili e di avervi con noi, ma non andate a calpestare il nostro seminato. Se queste sono le vostre intenzioni il nostro Paese difficilmente sarà ospitale con voi. Sono queste azioni che inducono all’intolleranza e che in alcuni casi possono poi stimolare un senso di repulsione e di odio verso i musulmani, invece di fare svanire la concezione del “diverso” che ancora in alcuni esiste.
Sarebbe opportuno che gli abitanti musulmani, non ancora integrati nella nostra cultura e civiltà e i loro simpatizzanti, si rendessero conto che per noi la nostra religione è intoccabile e se non è una religione di Stato fa comunque parte della civiltà del nostro Paese e tale desideriamo che resti. Oggi si constata con sempre maggiore forza che nonostante le spaccature e le trasformazioni sociali e culturali, emerge pur sempre che l’identità dell’Europa affonda le sue radici nel patrimonio spirituale e morale del cristianesimo, quel cristianesimo che ha accomunato dal loro sorgere i popoli che la compongono, quel cristianesimo dove le Chiese hanno costituito e continuano a costituire un forte elemento di coesione morale e spirituale, oltre che il servizio di adattare i valori tradizionali alle nuove esigenze della nostra epoca di rapido progresso scientifico e tecnico. Alcuni problemi per essere meglio compresi hanno bisogno di essere valutati ipotizzando situazioni estreme. Nel caso in esame basta chiedersi: Quante sono le religioni nel mondo? È difficile dare una risposta tout court, ma, secondo alcune stime, queste potrebbero essere anche più di 10000. E se in una città si stabilissero abitanti di tante religioni, non di 10000, ma ad esempio di quelle più note, che sono circa 10, e tutti avessero desiderio di avere inserite nel calendario del nostro Paese ospitante le loro feste religiose con le relative sospensioni di lavoro, la chiusura delle scuole, ecc.? Sono certo che qualche sapientone risponderebbe: e cosa ci sarebbe di male? No comment.
L’integrazione prevede un'integrazione delle civiltà, ma certamente non lo stravolgimento di ciò che rappresenta uno dei valori fondanti della nostra civiltà, pertanto, mettetevi il cuore in pace, non credo che ciò sarà mai accettato. Purtroppo i passi fatti hanno già creato disarmonia e spinto tanta gente, con la rabbia in corpo, verso sentimenti di netta repulsione e talvolta di odio. Credo che i nostri governanti avranno la saggezza di porre in atto gli interventi necessari per alimentare la serenità e l’armonia tra tutti gli abitanti dei Paesi europei.
La ricerca che ho effettuato non ha portato a risultati specifici riguardo a nuove leggi o regolamenti in Italia o in Europa che impongano la rimozione dei simboli giudaico-cristiani a seguito di istanze da parte di comunità musulmane. Tuttavia, è importante notare che le discussioni sul riconoscimento delle radici giudaico-cristiane dell’Europa sono presenti e attive nel dibattito pubblico in tutta l’Europa.
Una proposta di risoluzione presentata al Parlamento Europeo sottolinea l’importanza del riconoscimento dei valori giudaico-cristiani con oltre duemila anni di storia, che hanno contribuito alla creazione dell’Europa come casa comune di popoli differenti. Questo tipo di dibattito riflette la complessità delle questioni relative all’identità culturale e religiosa in Europa e il desiderio di alcuni di preservare e riconoscere il contributo storico delle tradizioni giudaico-cristiane.
La questione dell’inserimento ufficiale di nuove feste religiose nel calendario italiano è un tema che può suscitare dibattiti e discussioni. In Italia, le festività riconosciute ufficialmente sono generalmente quelle che hanno radici storiche e culturali profonde nel paese, spesso legate alla tradizione cristiana. Le festività religiose italiane sono parte integrante del tessuto culturale e sociale del paese, e ogni cambiamento in questo ambito richiederebbe un ampio consenso e un’attenta valutazione da parte delle autorità competenti. Inoltre, eventuali modifiche al calendario delle festività ufficiali potrebbero avere implicazioni pratiche e logistiche, come l’organizzazione del lavoro e dei servizi pubblici.
La risposta ai dubbi formulati in premessa
Per le azioni contestate, alla luce delle superiori informazioni e fatti salvi eccezionali casi particolari, le giustificazioni sopradescritte evidenziano la compatibilità della presenza musulmana con l’attuale civiltà europea. Infatti, come riportato in premessa, l’integrazione degli immigrati e gli aspetti sociali, materiali e spirituali identificano la civiltà di una popolazione in un certo periodo storico e in un preciso territorio. L’interazione tra popoli e culture influenzerà certamente il cambiamento delle civiltà e in particolare di quella europea, perché gli immigrati portano con sé le proprie culture, tradizioni e storie, ma ciò, se correttamente gestito, arricchirà la diversità culturale dell’Europa e potrà portare a una maggiore comprensione reciproca. Inoltre non si vedono veti o potenziali azioni impositive che possano incidere sulle reciproche civiltà in maniera sostanziale e tali da potere definire una compromissione dell’attuale civiltà.
Premessa la ben nota forte carenza di personale lavorativo di cui soffre l’Europa, è certo che gli immigrati potrebbero contribuire alla crescita dell’economia europea attraverso il loro lavoro e le loro tasse e potrebbero occupare posti di lavoro, oltre che nell’edilizia e nell’agricoltura, in settori come l’assistenza sanitaria, la tecnologia, ecc., ma ciò potrà avvenire in maniera stabile e armonica.
Sappiamo già che si tratta di processi sociali difficili, infatti, l’arrivo di immigrati alimenterà comunque discussioni sull’identità europea e sui valori condivisi e la discussione sarà sempre aperta, anche perché ancora oggi molti vedono gli immigrati come una minaccia, mentre altri li accolgono come parte della società. Non si può dimenticare che la storia europea è stata plasmata da migrazioni e interazioni culturali e gli immigrati continueranno a essere parte di questa narrazione. Per quanto sopra dobbiamo essere noi a predisporre le migliori condizioni perché la nostra civiltà, che ha fortemente bisogno degli immigrati, possa subire modificazioni positive e ciò, non potrà che essere anche l’obiettivo degli immigrati stessi che punteranno a vivere e crescere nel nuovo Paese in armonia con quelli che li hanno accolti.
L’Europa multietnica rappresenta un processo storico ormai inevitabile e inarrestabile
L’integrazione, che non potrà mai rappresentare l’annullamento delle reciproche civiltà, non dovrà consentire né un’ostentazione di superiorità da parte degli ospitanti, né una prevaricazione degli ospiti nel tendere, tal volta anche involontariamente, a modificare le usanze del popolo ospitante. A nulla varranno leggi e disposizioni per impedire i flussi migratori, perché da sempre l’uomo tenderà di andare verso Paesi dove gli potranno essere garantite una vita di migliore qualità economica e sociale e una maggiore sicurezza per la personale sopravvivenza. Occorrerà dunque rafforzare sempre più la regolamentazione dei flussi, concordandoli nella quantità e nella qualità con i relativi Paesi di origine perché siano compatibili con le esigenze dei Paesi ospitanti. Ciò non esclude che per ragioni umanitarie dovranno comunque essere ostacolati, attraverso un accordo con i Paesi di provenienza, tutti i trasporti di essere umani che avvengono con alto rischio delle persone trasportate. I flussi migratori si ridurranno naturalmente o a seguito dell’avvenuto riequilibrio delle forti diseguaglianze economiche oggi esistenti o quando cesserà la richiesta di mano d’opera da parte europea.
Concludendo, si può affermare che l’aumento della popolazione musulmana in Europa solleva sfide legate all’integrazione che potranno essere vinte se affrontate in maniera organica e nel massimo rispetto delle reciproche culture e civiltà e in un’Europa libera da condizionamenti culturali e religiosi. Anche perché la strada che l’Europa ha iniziato a percorrere, verso la formazione di una società multietnica rappresenta un processo storico ormai inevitabile e inarrestabile, sta a noi percorrerla nel modo migliore per trarne i massimi reciproci vantaggi derivanti dalle conseguenti modifiche delle originarie civiltà e annullare quel senso di paura che spesso viene manifestato nelle pubbliche contestazioni.
Note
1 In Italia nel D.Lgs. 9-7-2003, n. 261 (recante “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”).
2 Art. 7. - Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti non, richiedono procedimento di revisione costituzionale.
3 Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
4 Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
5 La cultura rappresenta un insieme di valori, credenze, conoscenze, norme, linguaggio, comportamenti e oggetti materiali condivisi da una collettività e trasmessi socialmente da una generazione all'altra. È dunque naturale che, nel significato scientifico-antropologico sono incluse tutte quelle credenze, valori, comportamenti e capacità che vengono imparate. Nel linguaggio comune, la cultura è spesso associata alle arti, alla letteratura e al teatro, ma in antropologia ha un significato più ampio.
6 La civiltà di un popolo può essere dunque definita dalle sue istituzioni, dalle sue norme culturali, dalle sue tradizioni e dalle relazioni interpersonali che si sviluppano all'interno di essa. La società di un popolo potrebbe riferirsi anche alla struttura sociale e politica di una nazione o di una comunità specifica, oppure potrebbe essere utilizzata per descrivere la complessità delle relazioni e delle interazioni tra i membri di un gruppo etnico, religioso o culturale, ecc.
7 Per lo Stato italiano la laicità è espressa attraverso una rigida separazione tra lo Stato e la Chiesa regolamentata da un concordato, con una protezione esplicita della pratica religiosa cattolica, ma senza discriminazioni tra le diverse confessioni religiose.
8 Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
9 Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché' non si tratti di riti contrari al buon costume.