Grande affluenza di pubblico alla ventiduesima edizione del Florence Korea Film Festival (cinema La Compagnia, Firenze). Si presenta ricco di Masterclass tenute da registi venuti di persona a presentare i loro film ad un pubblico, salvo eccezioni, giovane ed entusiasta. E a svelare come svolgono la loro professione. Descriviamo tre di queste, che sono la metà di quelle svoltesi durante il Festival.
Film di apertura Concrete Utopia (2923), di Um Tae-hwa, vincitore come miglior regista ai Blue Dragon Film Awards e premiato al festival di Cannes 2023. Il doppio senso del titolo, come sottolinea il regista, è legato all’attuale diffusa abitudine dei governanti coreani di buttar giù e ricostruire più volte intere parti di città, creando sempre la stessa tipologia di condomìni.
Nel film un tremendo terremoto distrugge una parte della città di Seul. Rimane in piedi soltanto un enorme condominio, chiaramente l’unico costruito a regola d’arte, con un ben miscelato concrete (calcestruzzo).
“Non è un film del tipo L’inferno di cristallo - precisa Um -, bensì ho creato un presupposto per scavare nelle reazioni di uomini e donne normali in presenza di un enorme disastro: rimanere senza casa e senza poter recuperare qualcosa per paura di crolli, vista la totale mancanza di aiuti dalla protezione civile. Gli inquilini dell’unico condominio rimasto in piedi si organizzano. Ma ben presto i senzatetto cercano di entrare per trovare un riparo. E da qui si genera una lotta sempre più feroce fra diseredati e potenti (una metafora della società di oggi?). Il regista rivela che, dopo aver costruito con le riprese la situazione in 4 mesi, ha impiegato un intero anno di lavoro al computer per costruire effetti speciali. Per i personaggi non ha dato indicazioni stringenti agli attori, in modo che essi rispondessero spontaneamente agli eventi che via via si creavano sul set”.
Oggetto di una Masterclass è stata la coppia Kim Jee-woon, regista e Song Kang-ho, attore, premio Oscar per Parasite. Si sono trovati insieme nell’ultimo film di Kim, Cobweb, che ha avuto grande successo in patria. Sono venuti a Firenze in occasione della proiezione in anteprima in Italia. La coppia si è mostrata molto affiatata. Durante la Masterclass Song ha lodato ironicamente se stesso per le risposte brevi alle domande, in confronto con le lunghe risposte di Kim. Quest’ultimo ha rivelato la passione che ha per il suo lavoro e descritto il metodo con cui procede in caso di blocchi sul set. Passeggia in su e in giù nel camerino, e prima o poi trova una soluzione.
Di passeggiate deve averne fatte parecchie durante la creazione di Cobweb, perché è un film molto complicato, pieno di racconti che si intrecciano, ed ha addirittura tre finali diversi. È ambientato negli anni ‘70 e proprio il finale del film, nella trama, non convince il regista, Kim Ki-yeol, interpretato da Song. Ne vuole, in soli due giorni, girare un altro, contro il parere della produzione. Kim Ki-yeol lo fa di nascosto, ma non trova pace, tormentato da ricordi di un set andato in fiamme. La censura governativa incombe, pretende che siano inserite scene di uccisione di comunisti, la prima donna fa le bizze, la produttrice lo scopre e ferma le riprese. Alla fine ci sono scene horror, per cui chiamare commedia questo film è un po’ avventato.
Altro argomento trattato è la critica ai critici. In linea con la definizione condivisa da molti registi “Il regista crea il film, chi non sa creare fa il critico”.
Cobweb è un film girato durante il Covid, quando era facile pensare che l’industria cinematografica avrebbe potuto subire un tracollo. Questo può contribuire a spiegare una trama così complessa.
Song, l’attore, ha spiegato al pubblico come sceglie di fare un film. Leggendo il copione, individua l’aura del personaggio, ovvero tutti i dettagli che lo caratterizzano. Però ha bisogno di capire più in profondità la personalità del personaggio. E solo quando quella gli corrisponde, acconsente ad accettare la proposta. Il metodo gli deriva dalla sua formazione di attore di teatro. Il suo successo può avere a che fare con questa formazione, diversa da quella degli attori di Cinema. Ci ha pure raccontato che si è lamentato con un regista che gli danno sempre le parti da povero. Per inciso, il suo personaggio del film questa volta è sì tormentato, ma è un borghese.
Al sesto giorno di festival c’è stata la Masterclass tenuta dal critico cinematografico coreano Jeon Chanil e dall’Italiano Federico Frusciante. Le domande a Jeon sono fatte da Federico su una retrospettiva di film coreani degli anni ’60. Grazie al direttore del Festival Gelli siamo riusciti a vedere per la prima volta queste specialissime pellicole.
Un Cinema potente non molto visto neppure in Corea, perché tratta problemi politici scottanti. Alla domanda di Frusciante sull’uso del bianco e nero, Chanil spiega: “Non era per una scelta stilistica ma per il momento storico, la guerra fra le due parti della Corea, iniziata dieci anni prima. Frusciante chiede poi al critico coreano come mai erano film di argomento vario, ma sempre plumbei. E di nuovo la risposta è che la guerra fratricida, non voluta dai Coreani, lasciava vivo, a dieci anni di distanza, il ricordo del dolore che l’ha accompagnata.
A seguire è stato proiettato il film The North and South (1965) di Kim Kee-duk. Tratta il tema della guerra e del rapporto tra Corea del Nord e del Sud, in una vicenda drammatica, pervasa di umanità, che vede protagonisti un maggiore dell’esercito e sua moglie. Il film è di modernità sorprendente ed è in grado di trasmettere quanto le guerre siano decise contro i popoli che si armano gli uni contro gli altri per ideologie astratte.
Una Masterclass, intitolata Dall’arte digitale al trionfo online, verteva su Webtoon, il fumetto digitale di gran moda, pensato per essere letto su smartphone.
Il cinema coreano ha subito un’evoluzione notevole negli ultimi decenni, diventando un punto di riferimento per il cinema mondiale. Parasite, ha affrontato temi complessi con grande maestria e ha ottenuto più di un premio Oscar nel 2020.
La proposta cinematografica del ventiduesimo Festival fiorentino (unico festival in Italia di Cinematografia coreana) è densa e tratta temi molto differenziati. Ma ha soprattutto il merito di aver mostrato, per la prima volta in Italia, una retrospettiva di film coreani degli anni ’60. Quegli anni sono stati un periodo d’oro della cinematografia della Corea del Sud, ed hanno fortemente influenzato la generazione seguente di registi e attori, e in modo indiretto quelle successive.
In un panorama così variegato, fra periodi di tempo diversi e differenti trame, rimane però sempre presente l’insorgere nei film coreani, quando la tensione sale, di grande violenza fisica, spesso messa in scena con particolari agghiaccianti. I film anni ’60 visti erano però spesso pervasi anche da una forte carica affettiva nei rapporti umani, mentre quelli attuali scelgono piuttosto la via dell’ironia e della comicità condite dall’improvviso manifestarsi di horror.
Che sia questo il principale motivo del grande successo fra le giovani generazioni?