La famiglia Sackler, classificata da Forbes tra le più ricche famiglie d’America, è fortemente rinomata per diverse ragioni: da una parte, in virtù del business controverso della compagnia privata Purdue Pharma, dall’altra, per il proficuo e dedito interesse che la famiglia ha coltivato nel tempo nei confronti della promozione artistica.

Ottenendo sempre più ricchezze dalla vendita dell’antidolorifico OxyContin, i Sackler si aprono al mondo del patronato artistico e cominciano ad elargire cospicui finanziamenti a musei americani, europei ed asiatici, oltre a supportare la ricerca scientifica con scuole ed istituti, vedendo il loro nome venir inciso sulle mura di sempre più istituzioni culturali.

Tuttavia, dopo la scoperta del legame tra i Sackler con Purdue Pharma e il caso legato alle prescrizioni dell’OxyContin, l’attività filantropica della famiglia ha subìto un forte arresto, e numerosi sostenitori dell’arte si sono mossi affinché le stesse istituzioni artistiche beneficiarie dei fondi ne rinunciassero e rinominassero gli spazi espositivi.

Ma come hanno fatto due aspetti così diversi tra loro a convivere per così tanto tempo? E inoltre, quali sono state le conseguenze per le istituzioni culturali che hanno beneficiato delle donazioni dei Sackler?

Nel 1995, i fratelli Arthur, Raymond e Mortimer comprano l’ancora piccola azienda Purdue Pharma, stanziata a Stamford, in Connecticut, e diventano presto produttori dell’antidolorifico OxyContin. La sua produzione è inserita in un sistema fortemente integrato, a partire dalla scoperta del medicinale fino alla massiccia campagna pubblicitaria che, estremamente efficace, ha portato ad una forte impennata nel numero di prescrizioni e di consumi giornalieri.

Tuttavia, le informazioni veicolate nelle pubblicità erano talvolta poco trasparenti e hanno causato disinformazione presso la comunità medica circa i rischi che l’assunzione regolare di tale farmaco potesse comportare: si credeva falsamente, infatti, che l’ossicodone, l’unico ingrediente attivo del farmaco, fosse più lieve della morfina.

In totale, tra il 1999 ed il 2017, sono stati stimati all’incirca 400.000 decessi per overdose in seguito a prescrizioni ed assunzione di oppioidi illeciti. In seguito ad approfondite indagini, una grande fetta di quegli stessi decessi è stata collegata alla poco responsabile assunzione di OxyContin, riconosciuto come la causa principale della “Crisi degli Oppioidi”. Nonostante ciò, data la natura privata di Purdue Pharma, il nome Sackler è sempre stato all’oscuro del business della casa farmaceutica, fino a pochi anni fa.

L’accordo stipulato nel 2020 tra il Dipartimento statunitense di Giustizia e Purdue Pharma prevede che la compagnia riconosca la sua responsabilità per la commercializzazione di OxyContin. Questa decisione ha comportato conseguenze importanti per la famiglia Sackler, la quale è stata condannata a pagare penalità per un totale di $8,3 miliardi. L’evento ha avuto una forte risonanza, ma già da qualche tempo le istituzioni culturali che beneficiavano dei fondi elargiti dai Sackler hanno fatto un passo indietro e adottato misure in linea con le richieste della collettività.

Ad oggi, diversi decenni dopo la morte di Arthur Sackler, l’immagine pubblica della famiglia si sta progressivamente deteriorando e ciò sta fortemente minacciando il lascito culturale dei Sackler. Ciononostante, la capillarità della famiglia rende più complessi i problemi di rinnovo o cambio di nomina degli spazi espositivi, soprattutto in seguito ad ingenti donazioni.

Sono molte le istituzioni culturali che, in seguito allo scoppio della crisi hanno dovuto rivalutare attentamente la continuità dei rapporti con i Sackler: tra queste, quelle che hanno avuto ruolo più centrale, sono state lo Smithsonian, il Solomon R. Guggenheim e il Metropolitan Museum of Art.

Il caso dello Smithsonian

Arthur Sackler è venuto a mancare quattro mesi prima dell’apertura della galleria Sackler presso lo Smithsonian, al quale ha donato 1.000 opere per un valore totale di 50 milioni di dollari, più 4 milioni per la costruzione dell’ala museale che le avrebbe ospitate. Una volta completata, la Sackler Gallery è diventata un polo fondamentale e mondiale dell’arte asiatica e della cultura.

Tuttavia, in tempi presenti, lo Smithsonian è una delle istituzioni culturali blue-chip ad accusare il contraccolpo della reputazione dei Sackler a riguardo della crisi degli oppioidi. Tuttavia, nonostante la tempesta venutasi a creare, gli ufficiali dello Smithsonian hanno asserito quanto il contratto stipulato nel 1982 con Arthur Sackler includesse il diritto di nomina perpetuo, il che non lascia loro molte possibilità, se non quella di conservare il nome, senza rinunciare ai soldi o all’arte donati.

Dalla morte di Arthur Sackler, l’ultima moglie, Jillian ha continuato ad effettuare generose donazioni al museo, contribuendo con più di 6 milioni di dollari. Altre donazioni effettuate dalla famiglia includono una di 1.4 milioni da parte della Arthur M. Sackler Foundation, gestita dalla figlia di Arthur, Elizabeth, e 88.000 dollari da parte di Theresa Sackler, vedova di Mortimer, la quale ultima donazione corrisponde al 2016, secondo lo Smithsonian.

Ad oggi, il museo non accetta più contratti di nomina perpetua ma ha adottato una politica che limita la finestra di nomina fino ad un “termine di 20 anni o fino al seguente rinnovo dello spazio museale”, come comunicato da Linda St. Thomas, portavoce del museo.

Il caso del Solomon R. Guggenheim

Diversamente da quanto scelto dallo Smithsonian, nel 2022 il Solomon R. Guggenheim si è silenziosamente allontanato dai Sackler, cancellando il nome della famiglia dal Center for Arts Education e rinominandolo. Come comunicato dal portavoce Sara Fox qualche giorno dopo, “noi crediamo che questa decisione sia stata effettuata nei migliori interessi del museo”.

Probabilmente, alla decisione del Guggenheim ha contribuito la protesta contro Purdue Pharma che si è svolta, nel 2019, proprio all’interno della rotonda di Wright, nella quale sono stati lanciati in aria tubetti finti di medicinale e prescrizioni fasulle. La protesta è stata capeggiata da Nan Goldin, fotografa che ha partecipato a numerose manifestazioni per rivendicare le vittime da dipendenza dell’antidolorifico.

La ratio dietro alla manifestazione consisteva nell’aumentare la consapevolezza sul fatto che il museo avesse beneficiato dalle donazioni della famiglia Sackler. Che, inoltre, sia improponibile che entità che si propongono di compiere il bene nei confronti della società, come i musei, beneficino delle ricchezze che Purdue Pharma ha accumulato grazie alla commercializzazione massiccia di OxyContin.

Il caso del Metropolitan Museum of Art

Sempre Goldin ha partecipato attivamente, nel 2018, alla protesta che si è tenuta al Met, occasione nella quale l’ala Sackler è stata riempita di flaconcini di pillole vuoti. Nel 2021, anche il Metropolitan Museum of Art, questa volta congiuntamente in presenza dei Sackler, ha annunciato che, in poco tempo, il nome della famiglia sarebbe stato rimosso dagli spazi espositivi, inclusa l’ala che presiede il Tempio di Dendur, regalo da parte dell’Egitto agli Stati Uniti d’America, la cui costruzione è stata possibile grazie all’ingente finanziamento di tre milioni e mezzo di dollari da parte dei Sackler.

Come affermato dai discendenti di Mortimer e Raymond, la decisione del board del Met di rimuovere il nome della famiglia corrisponde alla scelta migliore negli interessi del museo ed è in linea con la sua missione di promozione dell’arte. Questo evento si rivela un punto di rottura tra una tra le più importanti e globali istituzioni culturali al mondo e una tra le famiglie di benefattori più rinomate di sempre.

Le difficoltà incontrate dalle istituzioni culturali circa l’allontanamento o meno dai Sackler è derivata soprattutto dall’importanza che il pubblico ha per un museo. Tendenzialmente, molte istituzioni museali godono di fondi erogati dal governo, e la gratuità del servizio offerto viene compensata con donazioni monetarie compiute dalla comunità artistica, che decide su base volontaria di effettuare investimenti più o meno continuativi e più o meno consistenti per contribuire alla vita del museo stesso.

Partendo dal presupposto che la missione di un museo dovrebbe essere di divulgare l’arte ad un pubblico più ampio possibile e solleticare l’interesse anche delle fasce che hanno meno accesso all’arte, l’istituzione museale deve operare cercando di adempiere e di soddisfare le necessità ed i bisogni del suo pubblico, continuando a nutrirne il dialogo. Ora, siccome la crisi degli oppioidi è stata una forte cassa di risonanza all’interno del paese, numerosissimi cittadini si sono rivolti contro i Sackler.

La difficoltà di istituzioni culturali grandi e centrali come il Met risiede nel fatto che lo stesso abbia dovuto contemperare gli interessi dei portatori di valore principali, ovvero il pubblico, e la necessità di ottenere i fondi ingenti elargiti dai Sackler, senza i quali probabilmente l’offerta attuale non sarebbe la stessa.

Inoltre, la centralità del Met nel campo delle istituzioni culturali ha aggiunto ulteriore pressione alla scelta da compiere riguardo il legame con la famiglia Sackler. Infatti, qualunque sarebbe stata la scelta del Metropolitan, questa avrebbe avuto una forte influenza sulle decisioni prese da altre, organizzazioni e fondazioni museali più o meno importanti, come la National Gallery o il Victoria & Albert Museum. Questo ruolo centrale deriva dal fatto che l’ala Sackler è particolarmente rinomata ed iconica, e che il Met è stato uno dei primi beneficiari dell’azione filantropica della famiglia.

La posizione del Met è molto delicata: come affermato da Dan Weiss, presidente e CEO, il ruolo dei Sackler è stato centrale nell’espansione del museo.

C’è, però, da notare che il legame con la famiglia non è stato radicalmente interrotto, dato che i due spazi Arthur M. Sackler Gallery e Marietta Lutze Sackler Gallery, rispettivamente nell’ala asiatica e nell’ala moderna e contemporanea, continuano ad esistere, probabilmente fino ad un futuro rinnovamento.

In conclusione, i due aspetti hanno per lo più convissuto sino alla rivelazione del ruolo che i Sackler hanno avuto nel business controverso di Purdue Pharma, il quale ha inevitabilmente portato in rovina il mecenatismo promosso dalla famiglia.

D’altro lato, il ruolo del pubblico è di vitale importanza per le istituzioni culturali, motivo per il quale le proteste condotte negli spazi museali hanno giocato un ruolo fondamentale nella decisione riguardo la continuità dei rapporti con i Sackler. Soprattutto in ultimi tempi, con lo spostamento della natura dei musei da product-oriented a public-oriented, il visitatore è posto all’estremo centro delle istituzioni, perciò, il loro operato deve necessariamente allinearsi, in un modo o nell’altro, con quello che il pubblico ricerca quando usufruisce del servizio museale. Nel contesto odierno, notevole pressione è posta sulle spalle delle istituzioni culturali, che le limita nel perseguimento della loro missione sociale e culturale.

Riferimenti

Patrick Radden Keefe (2017). The Family That Built an Empire of Pain. The New Yorker.
McGlone, P. (2019). The Sacklers have donated millions to museums. But their connection to the opioid crisis is threatening that legacy. Washington Post.
Zachary Small (2024). Guggenheim Removes Sackler Name Over Ties to Opioid Crisis. The New York Times.
Valentina Di Liscia (2022). The Guggenheim Museum Finally Drops the Sackler Name. Hyperallergic.
Sarah Cascone (2022). The Guggenheim Museum, Which Long Resisted Calls to Drop the Sackler Name, Has Finally Quietly Removed. Artnet News.
Robin Pogrebin (2021). Met Museum Removes Sackler Name From Wing Over Opioid Ties. The New York Times.
Porterfield, C. (2022). Here’s Whose Name Will Replace The Sackler’s At The Guggenheim After A $15 Million Donation. Forbes.
Seymour, T. (2022). London’s Victoria and Albert museum announces it will ‘no longer carry the Sackler name. The Art Newspaper - International art news and events.
Beaulieu, R., Salerno, D., Gold, M. and Etc, M. (n.d.). The State of Museums Voices from the Field.