C'è stato un tempo in cui per trovare un paradiso fiscale non bisognava andare in qualche isola sperduta dei Caraibi e neanche diventare sudditi di qualche principato europeo, bastava recarsi in una piccola Repubblica al confine tra Umbria e Toscana e, più precisamente, nella Repubblica di Cospaia.
La storia della nascita di questo microstato ha dell'incredibile: tutto nasce da un malinteso tra l'allora Repubblica di Firenze (solo in seguito diverrà Granducato di Toscana) e il Papa, un errore che verrà corretto solo 400 anni più tardi.
La storia di questa Repubblica inizia, in realtà, dieci anni prima della sua nascita. Nel 1430 circa, il papa Eugenio IV è impegnato in una lotta con il Concilio di Basilea, la battaglia è lunga e costosa e il pontefice è costretto a chiedere un prestito a Cosimo il Vecchio, noto esponente della famiglia Medici di Firenze. La somma è ingente, ben venticinquemila fiorini d'oro; Cosimo concede il prestito ma chiede una garanzia. Eugenio IV dà in pegno il Borgo di Sansepolcro e il suo circondario. Allo scadere del decimo anno il Papa non saldò il suo debito e quindi, come da accordi, il territorio di Sansepolcro venne annesso ai possedimenti dei Medici. Si decisero i nuovi confini e i cartografi si apprestarono a redigere le nuove carte topografiche.
L'accordo era chiaro, o almeno così credevano, il nuovo confine era determinato dal torrente Rio. Dovete sapere che in quella zona vi erano due fiumiciattoli paralleli, entrambi nascevano presso il monte Gurzole e si gettavano nel Tevere. Quello più a nord si chiamava Gorgaggia e quello più a sud Riascone, gli abitanti della zona, però, chiamavano entrambi Rio. L'errore era dietro l'angolo.
I funzionari di ciascuno dei due Stati lavorarono ognuno per conto proprio, senza consultarsi. Il risultato fu esilarante. I fiorentini tracciarono il confine presso il Rio più vicino a Sansepolcro, mentre gli emissari papali usarono come riferimento il Rio nei pressi di San Giustino. Rimase fuori da entrambi gli Stati una striscia di poco più di 300 ettari, due chilometri di lunghezza per circa 550 metri di larghezza, una collinetta con alcuni terreni alle sue pendici. Su quella collinetta dimenticata da tutti era abbarbicato il villaggio di Cospaia, con i suoi 350 abitanti. I Cospaiesi, accortisi presto dell'errore, ne approfittarono immediatamente e nel febbraio del 1441 proclamarono la Repubblica di Cospaia, i cui cittadini non erano sottomessi ad alcuna autorità. Eugenio IV e Cosimo Il Vecchio giudicarono quel territorio poco importante dal punto di vista strategico e decisero di non modificare né il trattato né le carte geografiche appena redatte. Venne, semplicemente, preso atto dello status quo. La nuova mappatura fu sancita in una bolla del 1441 conservata presso gli Annali Camaldolesi e, nel 1448, l'autonomia del territorio venne formalmente riconosciuta dagli stati confinanti.
I Cospaiesi scelsero come forma di governo la repubblica, una repubblica che potremmo definire anarchica (letteralmente, dal greco antico, senza governo). Non vi erano tasse, esercito, leggi, tribunali o carceri: i cittadini di Cospaia dovevano essere e sentirsi totalmente liberi. L'unica norma scritta era “Perpetua et firma libertas” ed era incisa sull'architrave del portone della chiesa dell'Annunziata, dove dal 1718 al 1826 si riuniva il Consiglio degli anziani e dei capi famiglia, l'organo incaricato di dirimere eventuali questioni. Il presidente del consiglio era il curato di San Lorenzo, scelto perché l'unico del paese a saper leggere e scrivere. Fino al 1718 la carica era condivisa anche con un esponente della famiglia Valenti, la più influente nel paese, in quanto ospitava in casa propria le assemblee. Il curato aveva anche la funzione di “ambasciatore” presso i vescovi di Città di Castello e di Sansepolcro e di curare i rapporti con il vicino paese di San Giustino, a cui i cospaiesi si rivolgevano per le cure mediche e la molitura del grano.
Cospaia si dotò sia di una bandiera, composta dai colori bianco e nero divisi diagonalmente e corredata da quattro denti all'estremità destra, sia di uno stemma: un borgo tra due fiumiciattoli con a destra due pesci e a sinistra la pianta di tabacco, in alto campeggiavano il motto e gli anni di durata della Repubblica. Anche se inizialmente basata solo sul baratto, l'economia di Cospaia cresceva, aiutata dal fatto che non erano dovuti tributi o gabelle né a Firenze né allo Stato pontificio. Nella Repubblica la merce transitava senza alcun dazio dovuto e ciò attirò l'attenzione dei mercanti confinanti nei confronti di questa zona franca.
Ma in una mattina del 1574, un altro inaspettato e casuale evento cambiò la storia e l'economia di questo territorio. Il vescovo di Sansepolcro, l'abate Alfonso Tornabuoni, ricevette un regalo dal cardinale Niccolò Tornabuoni, suo nipote e, al tempo, nunzio del Papa e ambasciatore dei Medici a Parigi. All'interno del pacco giunto dalla corte medicea c'erano alcuni semi di una pianta considerata medicinale e proveniente dal Nuovo Continente: il tabacco. Il vescovo, ignaro che un secolo più tardi il tabacco sarebbe stato additato dalla chiesa come “pianta del demonio”, piantò quei semi nel giardino del vescovado, che distava poco più di 4 chilometri in linea d'aria da Cospaia. Distanza irrisoria e facilmente colmabile. In poco tempo nella piccola Repubblica si iniziò a coltivare “l'erba tornabuona”, chiamata così in onore del nipote del vescovo. In poco tempo questa coltivazione divenne la più redditizia e l'economia di Cospaia si reggeva sul tabacco da fiutare e da fumare. In questo periodo venne anche costruita una diga per dar vita a un laghetto ai piedi della collina per irrigare i campi di tabacco nei periodi di siccità. Una forte accelerazione si ebbe, inoltre, quando, nel 1642, papa Urbano VIII scomunicò tutti i fumatori e proibì la coltivazione del tabacco nel suo territorio. Cospaia, però, era indipendente, qui il proibito era lecito e ancora oggi alcune varietà di tabacco vengono definite cospaia.
La Repubblica incrementò la propria produzione fino a diventare la capitale indiscussa del tabacco e il suo primato non fu scalfito neanche quando, nel 1724, papa Benedetto XIII, visti i problemi economici del Vaticano, decise di imporre un dazio sulla coltura. Il tabacco divenne merce di contrabbando in tutti i regni italiani e Cospaia, rimasta porto franco, fu immediatamente il centro nevralgico dello smercio, oltre che della produzione.
Se da un lato l'economia era sempre più florida, dall'altro però il piccolo stato stava diventando sempre più ricettacolo di contrabbandieri e rifugio per ricercati. Per questi aspetti iniziò ad essere sorvegliato speciale del Granduca di Toscana e del Papa. Riguardo a questo periodo, abbiamo una testimonianza scritta di Filippo Natalini: “Cospaia nel 1815 era divenuta un emporio di commercio. Case commerciali, ditte le più importanti, in specie nel ceto degli israeliti, da Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Ancona ecc. stabilirono ivi i loro magazzini, ed ogni più modesto vano della villa, adibito fino allora ai più umili uffici dell’agricoltura, si cangiò in fondaco di mercanti, che vi tenevano agglomerate le loro mercanzie, specialmente in tessuti e coloniali, che vi penetravano immuni da qualunque dazio doganale.”
La Repubblica di Cospaia, però, resistette al periodo napoleonico e rimase una Repubblica anche dopo il riassetto dell'Europa dopo il Congresso di Vienna. Risolte le grandi questioni a scala internazionale, però, papa Leone XII, noto per le sue severe prese di posizione, era deciso a mettere fine anche al mercimonio di Cospaia. In accordo con Firenze, il pontefice prese per fame il piccolo borgo, e il 26 luglio 1826 quattordici rappresentanti della Repubblica firmarono un “atto di soggezione”. Ogni cittadino, ricevette un papetto di risarcimento, una moneta d'argento chiamata così perché aveva l'effigie del pontefice in carica, e l'autorizzazione a continuare la coltivazione del tabacco, ma con quantitativi contingentati (“fino ad un massimo di mezzo milione di piante”) e con tasse e dazi sulla merce. Si decise che amministrativamente, nonostante avesse un proprio sindaco, ricadesse sotto la giurisdizione di Città di Castello. Ora che il mercato era stato regolato, si inserirono con capitali due grosse famiglie i Collacchioni e i Giovagnoli che comprarono gran parte dei terreni per continuare la coltivazione del tabacco, che imposero al resto della valle. Dopo 385 lunghi anni finiva l'indipendente e anarchica Repubblica di Cospaia, uno stato reale che sembrava uscito dalle utopie di Platone e Tommaso Campanella.
Oggi di quel tempo felice rimane ben poco. Ogni giugno si celebra la festa della Repubblica di Cospaia e, in quell'occasione, vengono rispolverate la bandiera e lo stemma. Attualmente Cospaia è un piccolo borgo con poche case, alcune abbandonate ed altre in vendita, frazione del comune di San Giustino. Restano un cartello stradale a ricordare l'inizio e la fine di quel territorio libero, la chiesa parrocchiale della confraternita dell'Annunziata con l'unica legge scritta, una torre, la villa Giovagnoli-Liuti con l'essiccatoio per le foglie di tabacco e il laghetto, dove nel week end si affollano pescatori e la sera, soprattutto d'estate, si anima con le voci degli avventori di una pizzeria sulle sue sponde. Vale la pena comunque fare un breve giro tra le vie del borgo che sono, neanche a dirlo, via della Repubblica e via del tabacco.