L’ascesa di una montagna è un’attività sacra. All’utilità pratica del godere di una visuale più ampia, di un punto di vista più elevato, si unisce lo sforzo fisico e la fatica mentale che accompagnano il cammino verso la vetta. Più alta è la vetta, maggiore è il rischio. Non di rado, la montagna reclama la vita di chi la affronta. Uno degli esempi più famosi è rappresentato da George Mallory e Andrew Irvine, che persero la vita nel terzo e ultimo tentativo di scalare l’Everest durante la Missione Britannica del 1924. Ad oggi permane il mistero se siano riusciti o meno a raggiungere la vetta, per poi morire nel corso della discesa, anticipando così Hillary and Gyantso di quasi trent’anni. Altri esempi più recenti sono la tragedia del 1996, narrata nel film Everest, in cui persero la vita decine di scalatori, e l’incidente del 2008 sul K2, raccontato dal volume Buried in the Sky.
La fascinazione dell’essere umano per la montagna precede di millenni la nascita dell’arrampicata sportiva. Il suo valore simbolico, oltre che pratico, come terreno di incontro tra l’essere umano e il mondo naturale, fra la terra e il Cielo, fra la dimensione fisica e quella metafisica, è ben documentato in culture diverse attraverso il tempo e lo spazio.
Nella cultura dei nativi americani Lakota, esiste una canzone che contiene questo verso: “Sali sulla cima di una collina, e piangendo ricerca una visione”. L’assunzione di una posizione sopraelevata è necessaria per il contatto con ciò che sta al di là dell’essere umano.
Qualcosa di simile è alla base della costruzione delle piramidi a gradoni dei Maya, nelle Ziqqurat della civiltà sumerica, e perfino nell’Acropoli di Atene all’epoca del suo splendore. La posizione sopraelevata combinava il sito dell’autorità temporale con il sito della sacralità spirituale. Non c’è però costruzione fisica al mondo più antica delle costruzioni della mitologia di un popolo, e anche all’interno della mitologia la montagna dispiega il suo prisma di significato.
Presso gli Hindu si trova il concetto del Monte Meru, la montagna sacra che si erge al centro del mondo e attorno alla quale il sole e la luna compiono la loro rivoluzione. L’idea è stata poi assorbita anche all’interno del pensiero e della mitologia buddhista. Nel daoismo cinese, la montagna è tipicamente associata alla presenza degli Immortali e alle pratiche ascetiche che li hanno resi tali, come nel caso del monte Huángshān, nella regione di Anhui, o il monte Wǔdāng nella regione di Hubei, famoso fra l’altro come centro di addestramento nelle arti di combattimento, costituendo l’alternativa daoista al monastero di Shăolín, affiliato invece al buddhismo Chán.
Più vicina a noi, oltre al monte Olimpo dei Greci, sede della residenza degli dèi sulla Terra, talmente celebre da non avere bisogno di presentazioni, anche gli eventi narrati nell’eredità della cultura ebraica incrociano sovente la presenza di montagne: dal monte Ararat, su cui si arena l’Arca quando le acque del Diluvio cominciano a ritirarsi, al Sinai, su cui Mosè riceve la Legge e conseguentemente le Tavole. Perfino uno dei eventi conclusivi della vita di Cristo, la crocifissione, ha luogo sul Golgota, il Monte del Teschio. Al di fuori dei testi canonici, ma profondamente influenzato da essi, Dante Alighieri colloca il Purgatorio su una montagna, il rovesciamento dalla parte opposta del mondo della voragine scavata da Lucifero precipitato sulla Terra dopo la sua ribellione. Ulisse, dopo avere instillato nel cuore dei propri compagni il desiderio di procedere oltre, pur avendo già sfidato la sorte superando i limiti imposti all’Uomo navigando oltre le Colonne d’Ercole, muore in vista della Montagna del Purgatorio e sarà per questo punito fra i consiglieri fraudolenti.
Per parte sua, la cultura islamica non manca di riferimenti a montagne sacre. I pellegrini impiegati nel viaggio dell’hajj visitano Abu Qubays, che alcuni considerano il luogo in cui i primi esseri umani scacciati dall’Eden dimorarono e furono sepolti dopo la morte. Secondo altri, è il luogo in cui il profeta Muhammad compì il miracolo di separare la Luna in due per poi riattaccarla, come era stato sfidato a fare dai miscredenti di Mecca. In una tradizione poi passata anche nella cultura persiana si parla del monte Qaf come del punto più lontano della Terra, un monte fatto di smeraldo che è talvolta il luogo d’origine dei jinn e talaltra la sede del nido dell’uccello mitologico Simurgh. Il monte Qaf è il punto di contatto fra il mondo terrestre e Al-Ghaib, l’invisibile mondo divino.
Nella tradizione vichinga esistono molte monte sacre, dal monte Etra in Islanda, descritto nelle saghe come l’ingresso per l’inferno, a Niðafjöll, dimora del drago Níðhöggr.
Fra i vulcani, oltre all’Etna, sotto cui risiedono le fucine del dio Efesto, non si può non menzionare il monte Fuji. La vetta più alta del Giappone, un vulcano quiescente dalla cima coperta di neve durante i mesi invernali. Privo di alberi perché, secondo i racconti del Kojiki, la Konohanosakuyahime era stata punta da un ago di pino nell’occhio e aveva completamente rimosso gli alberi dalla montagna. Fosco Maraini riporta nel suo Ore Giapponesi che Fuji può essere scritto in molti modi, ma la grafia comune, 富士 (“abbondanza”, “guerrieri”), fa riferimento alla Storia di un Tagliabambù, uno dei primissimi esempi di letteratura giapponese. In essa, la Principessa della Luna fa ritorno alla propria gente dalla sommità del Fuji, lasciando all’imperatore, innamorato di lei, il segreto dell’immortalità. L’imperatore lo fa bruciare sulla cima insieme a una lettera, in modo che il fumo raggiunga il Cielo, da una moltitudine di soldati, donde il nome della montagna.
Vi sono altre montagne sacre in Giappone, come il monte Hiei, sede del tempio Enryakuji, che contiene il 不滅の法灯 fumetsu no hōtō, una lanterna in cui il fuoco brucia senza sosta una fiamma fin dalla fondazione del tempio nel 788 d.C., e che ha dato origine all’espressione yudan 油断, “interrompere (il flusso) d’olio”, usata per descrivere il concetto di “distrarsi”, il monte Koya, le montagne attraversate dall’antica via di pellegrinaggio della Kumano kodō.
Per un ulteriore approfondimento sul valore simbolico della montagna come axis mundi, o “asse del mondo”, è utile consultare René Guénon nel suo I simboli della Scienza Sacra.