Ogni rappresentazione è rappresentazione di stato
(Carmelo Bene, Vita di Carmelo Bene)
Dario Franceschini ebbe la pessima idea di mutar nome al “Ministero per i Beni e le attività Culturali” chiamandolo: “Ministero della Cultura”, nome che ricorda l’omonimo Ministero fascista (Min.Cul.Pop). Occorre quindi una riflessione. Già il nome precedente presentava dei problemi in relazione alla sua seconda parte: attività culturali. Perché dovrebbe esserci un Ministero che si occupa di ciò che tutti fanno: cioè le attività culturali? Per conformarle ideologicamente? Per fare ancora di più mercato? Per addomesticarle? Per autocelebrarsi? Per far finta di indicare le “tendenze in atto”? Si può essere arbitri e giocatori nel contempo?
È corretto? Ha senso? Quando leggo un libro a casa mia sto facendo un’attività culturale, e così quando vado al cinema o a teatro e persino quando scelgo quale ristorante, perché il cibo è sempre un fattore culturale. Cosa ci sta a fare il Ministero con la cultura? A dare pagelle ad attività culturali ritenute migliori di altre? A imporre proprie attività culturali? Per tentare (vanamente) di fare concorrenza alla televisione, ai giornali, alle aziende culturali, agli innumerevoli Festival che affliggono l’Italia, alla società nel suo complesso nel produrre eventi culturali più o meno riusciti? E chi lo decide se sono riusciti o meno? Per conferire bollini blù di cultura doc o dop?
Il senso del Ministero a mio parere risiede invece unicamente nel suo porsi tecnicamente (e solo tecnicamente) quale “amministratore di condominio” di beni culturali pubblici e di istituti culturali antichi che necessitano di continue manutenzioni e restauri per stare in piedi e poter essere fruiti da tutti. Non altro. “Tenere le porte aperte”. È già molto! E non a caso il nostro Ministero eccelle nel restauro, ma solo in quello, oggi. E invece i problemi sorgono quando gli “amministratori di condominio” vorrebbero comportarsi come i padroni degli appartamenti (i beni culturali) che, invece, per loro natura (sostanziale, e per status giuridico) appartengono a tutti, agli italiani, all’umanità.
Non a caso manca una figura fondamentale nei musei statali italiani: il direttore artistico-creativo e infatti non a caso i migliori eventi realizzati nei musei italiani non sono prodotti dai musei statali, dal Mic ma curati da privati, esternalizzati. Il Mic serve a far occupare gli spazi pubblici a dei soggetti culturali privati, di suo gradimento. E allora aboliamolo, no? O sei amministratore di condominio o sei proprietario. Tertium non datur. Peggio ancora se pretendi che questo strano Ministero si arroghi ideologicamente del nome (ridicolo) di: “Ministero della cultura”! Quale cultura? Quella imposta dal Ministero o prodotta dagli italiani? La cultura che piace ai vertici del Ministero (non eletti) o la cultura ritenuta vincente?
Ci sono solo due possibili risposte e sono tutte e due, ahimè, errate: a) il Mic dovrebbe assecondare le tendenze culturali in atto, (quali?); b) il Mic dovrebbe premiare le eccellenze culturali. Nel primo caso il Mic ridurrebbe la propria funzione a megafono del mercato culturale (dove vincono i più forti, non sempre i migliori). Sì perché oggi in assenza di tradizioni-scuole di tipo letterario-artistico-filosofico è il Mercato che decide le “tendenze in atto” in una società di massa, quindi a base tecnocratica. La seconda possibilità appare altrettanto ideologica ed errata in quanto porterebbe il Mic ad imporre una propria visione della cultura che si rivelerebbe necessariamente non plurale, arbitraria, elitaria, personalistica. Ci sarebbe un’astratta “terza via”: quella dell’identità culturale italiana ma, oltre la necessità del restauro, penso che ogni italiano abbia la sua idea di identità italiana e imporne una sola sarebbe senza dubbio operazione farlocca, artificiale, superficiale.
E allora giù di commemorazioni per numeri di anni passati da morte o nascita di autori scolastici, celebri perché scolastici come le ultime commemorazioni manzoniane sul cui impatto nazionale penso che nessuno si sia fatto delle illusioni. Il Mic non può far altro che accodarsi alle celebrazioni della retorica cronologica su autori già strastudiati e stralogori. Un Mic inutile quindi, anche in questo caso. Perché non ritorna ad amministrare i propri condomini culturali senza pretendere di dettare alcunchè a livello di percezione culturale o “politica culturale”? La lasci alla società l’organizzazione della cultura, che è sempre un passo avanti…Che visione o strategia culturale può avere chi parla o agisce solo perchè deve “occupare un posto di potere”? Non potrà che esprimere mere infime tattiche di egemonia partitica e spartizione clientelare. Cultura significa “coltivazione” non strumentalizzare o compiere degli atti usa e getta. I tempi della politica mal si adattano alla coltivazione di visioni, a cui talvolta non basta una vita. Se proprio volesse fare una cosa furba, indicente, il Mic dovrebbe prevedere un ruolo di “direttore artistico-creativo" per ciascun suo Museo, da affidare all’esterno, fra chi vive veramente e pienamente di cultura e di creatività e non 30 minuti al giorno, per dovere d’ufficio (il resto è burocrazia, e, appunto: amministrazione condominiale).
Un Ministro che suggerisce libri o è esercizio di narcisismo individuale ammantato da bene pubblico oppure è advertising mercantile o entrambi. Non c'entra in alcun modo con una presunta (e impossibile) “politica culturale”. Appare ridicolo quanto un arbitro di calcio che dicesse, prima o durante la partita, che gli è più simpatica una squadra di un'altra, o che a casa sua gioca a scacchi. Non esistendo più una koinè (l’ultimo tentativo di “lanciare” qualcosa fù il Futurismo, ma non partì certo dalle Istituzioni) come può un Ministero “fare cultura”, a meno di concepire la “cultura” (= coltivazione spirituale e linguistica) quale megafono di propagande ideologiche-sociologiche o ritualità di funeree commemorazioni, come appunto l’intende il Ministero.
Il Futurismo nacque anti-istituzionale e fù eutanasizzato dal regime di allora, come similmente il Situazionismo francese fù inghiottito dal Mercato, assorbito quale sua declinazione tecnica. Né il Ministero può neppure far da “arbitro” nel gioco della cultura perché è gioco che non ha regole, se non quelle tecniche necessitate a livello di produzione artigianale all’interno singole arti-discipline. Perché ogni arte presuppone una sua artigianalità, anche se spesso artefatta e simulata essa stessa, quindi mendace, non regolabile a priori. L’arte-cultura è il regno del diseguale, dell’irripetibile, dell’irreparabile, mentre ogni Ministero per sua natura vive di proceduralità burocratiche, di prassi automatizzate.
Il Mic quindi non ha titoli né alcuna possibilità né di ambire ad un approccio fenomenologico al mondo vivo della cultura (a cui è alieno per natura) in quanto non possiede una sua creatività autonoma e quindi non possiede una sua ermeneutica, né può correttamente ed efficacemente ambire ad un approccio ideologico altrimenti si ricade nel regime, nel fascismo burocratico, arbitrario e repressivo.
Lo scopo-necessità unica del Mic quindi è quindi quella di “occupare” un posto di potere facendo leva (in modo bullistico) sul fatto di detenere fisicamente le chiavi dei Musei e di luoghi antichi. Un Mic affittacamere che ricatta la società della cultura e la cultura che viene dalla società per poter dar in cambio un marchio fasullo di qualità (che viene dall’antichità del passato, quindi del tutto immeritato per chi lo emette e affitta) e la possibilità per i privati e gli artisti-autori di agire dentro luoghi fascinosi, prestigiosi, cioè luoghi-brand. Il Mic quindi vende, prostituisce un’illusione, un mero marchio artefatto, un’emozione saccheggiata e distillata dalla massa di antichità che satura l’Italia e che viene privatizzata e monopolizzata dal Mic come se l’avesse creata esso stesso e non stesse invece occupandola abusivamente.
Ormai quindi si stanno logorando i sottili veli che offuscano la vista della nudità del re. Ormai si sta comprendendo come presupposto imprescindibile del risvegliare dal coma la cultura e l’arte italiana sia l’abolizione netta e radicale del Ministero della Cultura e la sua riduzione ad un Ufficio di Restauro coordinato a livello regionale e appaltato comunalmente. Per la gestione dei luoghi e dei musei bastano gare regionali e turnazioni tra soggetti privati, prevedendo d’obbligo un direttore artistico-creativo privato, privatissimo, alieno da ogni contaminazione con i conformismi burocratici esiziali del sonnolento Mic, che si crede culturale solo per il fatto che occupa fisicamente luoghi antichi, come io mi credessi Giulio Cesare mentre e perché faccio una foto ai Fori di Roma.