Mi trovo con la famiglia a Milano, divenuta da qualche anno la mia seconda città, per le feste di Natale 2022. Ci concediamo un giro fra le casette del mercatino intorno al Duomo. Quelle dedicate al cibo hanno maggior successo delle altre. C’è un vero e proprio spaccato dell’Italia gastronomica, per quanto riguarda il cibo di strada, con i siciliani a farla da padrone per numero di stand presenti. Troviamo anche uno stand pugliese, ma decidiamo per qualcosa di diverso.
Così, dopo aver combattuto fra arancini e porchette, finiamo a prendere dei bretzel ripieni. Pregusto il sapore del ripieno con speck e formaggio, ma al momento di leggere le varianti, resto basito: burrata e non mi ricordo cosa. Oh bella, penso, ma che ci azzecca la burrata? Tengo per me la mia sorpresa, anche perché mia moglie cede al richiamo di casa.
Ritorno a Milano qualche mese dopo, impegnato nella ricerca di un posto per festeggiare degnamente la laurea di mia figlia. La ricerca parte dalla location che, deve necessariamente soddisfare alcune condizioni e poi dal menù offerto, che preferiremmo tipico milanese. E qui arriva la seconda sorpresa: quasi tutti i menù che studiamo presentano, all’improvviso, buttata lì con nonchalance, la burrata e la stracciatella, in varie declinazioni, tranquillamente inserita tra una cotoletta orecchia di elefante ed un ossobuco con risotto. Boh, mi dico, evidentemente piacerà.
Solo pochi giorni fa, navigando online, trovo un annuncio pubblicitario di una nota azienda di ristorazione che promuove una tipicissima tartare di carne con una burrata sopra. A parte il bilanciamento nutrizionale di questa bella invenzione, discutibile per chi, come me, per lavoro, deve fare attenzione a proporre menù equilibrati, rimango ancora sorpreso. Se tre indizi fanno ancora una prova, ho la conferma della lunga e inarrestabile marcia della burrata e della stracciatella, che ne costituisce il cuore. Una lenta e continua avanzata, dalla Puglia fino al Nord e ormai anche fuori dai confini italiani.
Da dove nasce questo successo? Provo a capire di più, recandomi, come in un rispettoso pellegrinaggio, nel regno del mio casaro di riferimento, in un laboratorio artigianale nel centro di Modugno, il caseificio Andriese. È un presidio di gusti, uno scrigno di sapori, stretto in una viuzza con solo una vetrina sul corso principale, un po' troppo anonimo per le capacità che esprime, sapientemente gestito da due fratelli, che hanno consacrato le loro vite a questo mestiere, come altri in famiglia, prima di loro e, lo spero vivamente, altri dopo di loro, perché penso con disappunto al fatto che questa attività possa cessare.
Entro in un’atmosfera che mi ricorda la dedizione dei monaci delle abbazie, totalmente immersi nella loro missione. La stessa dedizione che troviamo negli eroici panificatori che iniziano a lavorare quando i più sono ancora nel mondo dei sogni, ogni giorno in orari antelucani, per permettere agli altri di gustare, oltre al pane quotidiano, ogni tipo di prelibatezza. Atteso l’arrivo del latte fresco appena munto, con un cenno degli occhi, i due danno il via al lavoro.
Così mi ritrovo a guardarli rapito. L’ assoluta padronanza dei gesti ha un che di veramente ipnotico. Appena il latte raggiunge la temperatura giusta cominciano ad impastare, intrecciare, farcire, legare seguendo uno schema preciso, che sembrano avere chiaro davanti a loro come un ologramma, che, ovviamente, vedono solo loro e che, nel giro di poche ore darà vita a mozzarelle, scamorze, ricotte, burrate e stracciatella. Trentacinque anni di esperienza, rafforzati dalla precedente tradizione lavorativa di famiglia, danno frutti strepitosi.
Vedendo quelle mani esperte creare una simile quantità di cose buone, tutte simili, ma ognuna con la sua esclusiva identità, promessa di gusto eccelso, mi scopro a pensare con tristezza ai prodotti industriali, dominanti sugli scaffali, con l’uniformità come prima caratteristica, e mi godo la fortuna che ho. E, guardandoli, capisco da dove viene il successo di questi ambasciatori di Puglia al di fuori del territorio. In ogni pezzo c’è tutta una tradizione che si rinnova, ogni giorno, tenuta in vita, esattamente come le vestali tenevano viva la fiamma nei templi, da queste persone con la loro silenziosa applicazione.
Certo, burrata e stracciatella, anche le più buone, mangiate a Milano, o anche fuori frontiera, saranno sicuramente buonissime, ma chi ne avesse la possibilità dovrebbe assaggiare quelle artigianali, qui dove nascono, nel territorio di origine, per assaporarne la freschezza del gusto e sentire l’importanza della tradizione nel piatto e al palato. Questo per il semplice fatto che i prodotti che vedo nascere sotto i miei occhi hanno come unico conservante il sale, per cui la loro vita è brevissima. Gli esperti consigliano di mangiarli in giornata e, rigorosamente, a temperatura ambiente, senza passaggio in frigo.
Riguardo all’origine di questa strepitosa pietanza, ci sono due versioni. Nella prima, la burrata nasce dal recupero di mozzarelle non consumate, che vengono “stracciate”, cioè ridotte a brandelli, affogate nella panna e usate per farcire una mozzarella dallo strato sottile, la burrata. Nella seconda versione, la nascita è dovuta ad una intera partita di latte non consegnato, causa maltempo, che ha dovuto trovare un utilizzo alternativo. Ciò che conta è il risultato finale.
Abbiamo un piatto eccezionale per semplicità e versatilità. Io consiglio la burrata come secondo, in purezza, semplicemente accompagnata da patate al forno o da peperoni arrostiti. È essenziale che la burrata sia aperta sul contorno scelto, in modo che il ripieno si spanda appieno.
Per un utilizzo ottimale della stracciatella, consiglio di provare una bruschetta con pane tostato, stracciatella e rape stufate. Infine, un vero e proprio comfort food, col quale ricrearsi, magari nelle serate invernali: la stracciatella in un passato di verdure ben caldo. Io preferisco il passato di zucca, perché la dolcezza della zucca si sposa alla perfezione con il gusto acidulo della stracciatella. Alla fine, via libera alla fantasia da parte di ognuno, visto che questo vero e proprio tesoro di Puglia permette di dare spazio alla sperimentazione con irrisoria facilità, partendo sempre dalla bontà di un prodotto figlio di una tradizione generosa.