Nuova, avvincente tappa per l’ensamble Travel Collective, composto da Marco Vezzoso (tromba, flicorno) e Alessandro Collina (tastiere). Per realizzare New Way (Art in Live Editions) i due hanno coinvolto sette artisti di risonanza internazionale fra cui il portentoso bassista elettrico Dominique Di Piazza, per chiudere il cerchio, attraverso i nove brani che lo compongono, di un manifesto musicale che possa ben rappresentare le diverse origini e influenze dei musicisti coinvolti.
Ogni brano dell’album è dedicato a una città reale della quale desidera raccontare una storia, incorporandone gli elementi musicali e i suoi ritmi. Lo stesso titolo dell’album suggerisce un senso di rinnovamento e scoperta di cui i due ci hanno parlato con lo stesso trasporto emotivo impiegato nella realizzazione di questo mosaico sonoro: «Ci sono alcune città» ribadisce Collina «che hanno suscitato in noi dei legami e ricordi particolari. Prendiamo Kyoto Flowers, che è un brano in cui raccontiamo l'Oriente con le sue città, di luoghi come monasteri, abbazie, che sembrano avere qualcosa di mitico, che qui in Europa è difficile da ritrovare. Kyoto Flowers parla di questa città giapponese bellissima, ex capitale del Giappone, antichissima della quale abbiamo visitato il parco, ricco di monumenti storici che ti fanno fare un salto e un viaggio nel passato. È lì che è nato questo brano che tutto sommato è un po’ come un capogiro, fa perdere il senso dell’orientamento perché mentre sei immerso nel passato, queste donne vestite appunto come le antiche giapponesi, tirano fuori l’iPhone e questo trasmette senso di stranezza e di disorientamento.
Allo stesso modo Osaka Bridges parla dei suoi ponti, è una città che si trova sempre in Giappone con numerosi richiami all’Occidente. A tratti è stato un po’ come essere in Oriente ma con uno sguardo sempre in Europa.
Poi in Nice Nissa si è voluto face questo gioco di parole, perché sia io che Marco siamo tanto legati a questa città, lui ci vive tra l’altro. Nice Nissa è perché appunto Nizza in inglese si pronuncia Nice, mentre Nissa è il patto nizzardo con cui si chiama Nissa la dea, all’origine del Regno dei Savoia, quindi che ha certe connotazioni italiane antecedenti all’Italia molto forti: Nizza la bella, ma Nice appunto che può essere intesa come Nizza medesima.
Poi anora Hangin’ out in Sanya, è un’isola cinese sulla quale appena arrivati sembrava di essere ai Caraibi, solo che dal numero illimitato ed incredibile di bandiere rosse disposte su tutte le spiagge capisci che sei senza alcun dubbio in Cina, anche se hai una temperatura pari quasi a 40° a novembre».
Per molti il jazz italiano ha una sua precisa peculiarità; come l’avete convertita in questo album dal respiro più world e quindi con un registro più allargato?
M.V.: Di certo noi non pensiamo di avere nessuna verità in tasca, abbiamo sicuramente molta curiosità che ci spinge sempre ad andare al di fuori dei nostri confini, non solo geografici ma anche di mentalità e anche il piacere di condividere linguaggi, esperienze con musicisti stranieri e quindi cercare di sviluppare al massimo un'apertura mentale. Questo cerchiamo di farlo da sempre, anche nel disco precedente, siamo molto attenti a quello che produce la musica jazz americana e molto rispettosi, ci piace lo swing e tutto quello che proviene dall’America, però consapevoli che comunque non siamo nati in quel Paese quindi per quanto ci possa piacere, non ci piace scimmiottare nessuno e quindi cerchiamo di gestire al massimo quelle che sono le nostre potenzialità che derivano da un'esperienza europea di studi classici e di grande apertura verso le sonorità che provengono da tutto il mondo.
Nel disco abbiamo deciso anche di fare un salto nel Maghreb con il brano Dubai Moon, grazie anche al suono dell’oud di Khaled Ben Yahia, e all’aiuto del virtuoso Dominique Di Piazza, che ha una grandissima esperienza e che ha saputo condividere con noi in studio quelle che erano le nostre idee e i nostri punti di vista. Per cui sicuramente il world è un mondo molto interessante soprattutto da un punto di vista compositivo, nel momento in cui ci siamo messi a scrivere cose nuove abbiamo sentito appunto la necessità di interagire con linguaggi diversi e con strumenti diversi provenienti da fuori dell'Europa.
Nel disco spicca la presenza della cantante Cecilia Barra, come vi siete incontrati e cosa vi riserva il futuro nel senso di ulteriori collaborazioni...
A.C.: Ci piace molto curiosare tra le nuove generazioni, scoprire il potenziale che hanno i protagonisti della cosiddetta Next Gen. Creare dei ponti generazionali è una cosa bellissima e penso che nel jazz avvenga nel migliore dei modi, il fatto di poterci rapportare con una giovane musicista e cantante, perché Cecilia non è solo una cantante ma un’artista completa, suona molto bene la chitarra, conosce molto bene il linguaggio del jazz e l'armonia, scrive benissimo, vive la musica come una forma di ricerca e, seppur molto giovane, è molto creativa. Quando le abbiamo spiegato la terribile storia capitata al maestro Kerpatenko, lei ha subito capito il nostro messaggio, ha sposato la causa e non c'è stato bisogno di dire molto, si è messa subito all'opera e ha scritto il testo del brano M° Kerpatenko. Cecilia Barra rappresenta sicuramente una cantante di cui sentiremo parlare perché si sta imponendo anche da un punto di vista internazionale e ben venga che ci siano dei giovani musicisti jazz italiani così capaci e così intraprendenti.
Avete riscontato differenze in termini di attenzione e partecipazione fra un pubblico internazionale e quello italiano a un vostro concerto?
M.V.: Su questo ci verrebbe da dire subito «no comment» perché come puoi ben immaginare ci facciamo troppi nemici. Sicuramente quello che abbiamo notato da subito nei viaggi in Oriente è che il pubblico è sempre molto curioso, ascoltano un concerto anche di musicisti a loro sconosciuti. Questa propensione a volte la riscontriamo un po' meno non in Europa ma in Italia, dove purtroppo il pubblico deve essere un po’ “tranquillizzato” e rassicurato del fatto che il nome che è nel cartellone, il nome che andrà ad ascoltare comunque lo conosce o comunque sa più o meno dove andrà a parare.
Questa propensione tende a sacrificare le novità dei nuovi gruppi, dei giovani gruppi che stanno emergendo, c'è bisogno di spazio e c'è bisogno di un pubblico invece che incominci anche a seguire cose nuove. All'estero si offrono delle ottime prospettive, non solo sul piano economico, ma anche sul piano organizzativo dei palchi e dei club: abbiamo fatto adesso la presentazione sia a Marsiglia che a Parigi del nuovo disco e sicuramente arrivare a una sala e trovare uno Steinway perfettamente accordato, possiamo assicuravi che in Italia, purtroppo, non è assolutamente così. Questo senza voler denigrare le ottime organizzazioni che sicuramente esistono che però sono ancora poche, dovrebbero essercene molte di più e ripeto soprattutto avere un pubblico che osi un po' di più e non si spaventi del fatto che ci sono nomi nuovi, volti nuovi e gruppi nuovi: il jazz è come una buona bottiglia di vino, magari non la conosci però appena lo sorseggi ti rendi conto che è il vino che ti ha sempre entusiasmato però che fino a quel momento non sapevi manco dell'esistenza.
C’è un punto di contatto fra la vostra musica, quella di Vasco, oggetto di una recente, per quanto sorprendente, rivisitazione e i Weather Update di Joe Zawinul, che senz’altro possiamo annoverare fra le vostre principali ispirazioni?
A.C.: In effetti Vasco è stata anche una novità per noi, il jazz sicuramente è il linguaggio con il quale ci sentiamo più a nostro agio anche nell'esprimerci e nel rapportarci nel mondo della musica, però poi la buona musica pop è il background di formazione. Abbiamo pensato che alcuni brani di Vasco potevano offrirci spunti interessanti da un punto di vista poi dell'arrangiamento e del poter ricreare delle atmosfere molto interessanti che secondo noi esistevano già all'interno dei brani di Vasco. Ad esempio Siamo solo noi, Sally, Vivere, sono delle composizioni e dei brani che lasciano degli spazi di immaginazione anche per un musicista di jazz, quindi di musica soul e strumentale. Sì, i Weather Update di Joe Zawinul con tutta la storia dei Weather Report è sicuramente un mondo che ci affascina molto e sul quale non nego che ci piace andare a ritrovare anche dei riferimenti e degli spunti. Anche Miles dell’ultimo periodo è stato il primo grandissimo jazzista che ha sdoganato l’uso della musica pop all’interno del jazz sapendo che poteva essere un punto di contatto per avvicinare più semplicemente un pubblico nuovo e di nuove generazioni.