Oggi incontriamo il fotografo Gianluca Chiodi nel suo studio, per un'interessante approfondimento sulla sua attività.
Come nasce il tuo interesse per la fotografia?
Il fascino della macchina fotografica mi ha conquistato da bambino, e la magia di poter congelare un istante e restituirlo al tempo ha per me ancora oggi un non so che di magico, anche se uso il mezzo fotografico in modo differente da allora.
Cosa fa scattare la tua ispirazione: c’è un filo conduttore tra le tematiche affrontate nei tuoi progetti fotografici?
L’ispirazione è un’energia che ti (s)travolge tuo malgrado, e può essere generata in qualsiasi istante da cause differenti quanto casuali. Sì, certo, c’è un fil rouge che lega i miei lavori, come nella prima fase di Opera al nero: l’amore, la passione, l’iconografia e l’iconoclasta che è in me; dal 2009 sono interessato all’essere umano, alle sue fragilità e contraddizioni, come quelle raccontate in I’AM o Piccoli mondi, interesse che si è evoluto nelle riflessioni del rapporto Uomo/Tempo/Ambiente.
Di cosa si nutre la tua creatività?
Ti sembrerà una risposta un po’ “fuori”, ma credo che l’ingrediente principale delle mie intuizioni sia il tempo. L’artista, oggi, è tra le persone che possono investire il proprio tempo pensando. Credo che alla nostra contemporaneità questo sia negato, non so perché, ma il tempo viene vissuto come un lusso, quando invece dovrebbe essere una necessità. Il tempo e lunghe riflessioni sono gli ingredienti principali della mie intuizioni… il resto è una coreografia.
Qual è il momento in cui l'immagine diventa qualcosa di concreto nella tua testa? Descrivici i passi che compi per creare le tue foto quando sopraggiunge un’idea.
Il mio punto di partenza è il concetto, tanto nitido quanto vago a livello fotografico e magari molto lontano dall’opera finale. Mi piace paragonare il concetto o l’idea a un seme, e l’opera che lo esprime alla pianta. Il più delle volte l’idea iniziale è totalmente differente dall’opera finale, tranne che per i contenuti, ovviamente. Solitamente decido il set che meglio può esprimere il mio messaggio e la luce che userò per farlo, il casting, e poi scatto. Da lì incomincio a manipolare l’immagine, sia stampandola su materiali da lavorare all’encausto come in passato, che al computer come oggi, o costruendo un qualcosa come nell’installazione de I piccoli mondi. La fotografia è sempre un mezzo e quasi sempre quello di partenza, ma può non essere il fine della mia espressione. Ritengo inoltre che confrontarmi con le persone con cui lavoro e vivo abbia una parte importante nell’opera finale, le prime critiche sono un materiale prezioso.
Sviluppare un concetto attraverso una serie di fotografie credi che riesca a veicolare meglio l'idea di partenza?
No, anche se la fotografia è un mezzo molto immediato per veicolare un’idea o un concetto, non credo che sia sempre il modo migliore di esprimersi, di certo è quello che so usare; ho anche trasformato le mie fotografie in installazioni, perché in quel caso il concetto che generava l’opera si doveva espandere oltre la bidimensionalità della fotografia.
Sapiente uso della tecnica e componente emozionale e narrativa molto forte: cosa ti ha portato alla creazione di questo tipo di foto e a cosa hai puntato, cosa hai cercato di ottenere sin dal primo momento?
Dal primo momento, avendo una formazione tecnica di stampo pubblicitario, ho caratterizzato le mie opere attraverso l’utilizzo della luce artificiale che ben conosco, mentre a livello emozionale le scene riportavano all’eros, alla passione e all’amore citando la storia dell’arte, gli artisti, e le icone che hanno influenzato la mia formazione artistica. Nella seconda fase del mio lavoro, come ti raccontavo prima, il mio fuoco d’interesse si è concentrato di più sulla coscienza dell’uomo.
Parliamo di Risvegli – 100% Biodegradabile, il progetto che hai recentemente presentato alla Federico Rui Arte Contemporanea di Milano. In questo progetto hai "costruito", "messo in scena" come in un tableau vivant, un concetto, quello del consumo responsabile, che hai spinto oltre l’immagine stessa fino alla possibilità di far percepire le fotografie come un oggetto di uso e consumo responsabile.
Sì, e ti garantisco che è stato complicato. E' stata una lotta, nel senso buono, che però ha alimentato in me questa idea. Vivo in costante conflitto con i miei desideri di uomo contemporaneo e le esigenze di un pianeta che paradossalmente neanche sa della mia esistenza, ma che ciò nonostante dovrà impiegare migliaia di anni per smaltire i rifiuti che lascerò a testimonianza del mio passaggio. Credo che questo sia profondamente ingiusto e di dover fare qualcosa per evidenziare questo mio sentimento, e sensibilizzare a una consapevolezza maggiore, a una seria attenzione ai nostri consumi. Nelle varie fasi di preparazione, discutendo con il mio gruppo di lavoro, pur condividendo la scelta del supporto, molti suggerivano l'utilizzo di un componente in plastica. Ti garantisco che ho dovuto dire "basta" e per rafforzare l'intento ho aggiunto al titolo 100% Biodegradabile scegliendo stampa fine-art su carta cotone (comunque certificata), supporti in cartone, cornici in legno e vetri polarizzati: questa era l’unica strada possibile per dar forma al mio pensiero e affinché fosse coerente in ogni singola scelta.
In generale, nella resa finale di un progetto fotografico quanto peso hanno la pianificazione e la ricerca, e quanto pensi che sia dovuto, invece, all’imprevedibilità?
Dipende dai progetti, ma a occhio un 50 e 50. L’ordine degli elementi che costituiscono l'immagine è pianificato fin dal principio, ma conto molto anche sulla casualità degli eventi creati dalla partecipazione degli attori. Lasciare libera una persona di esprimersi può dare risultati che non avresti mai potuto pianificare.
E, tanto per continuare a insistere sull’imprevedibilità: per questo progetto i tuoi scatti sono stati eseguiti in quello che io chiamo “il bosco incantato in cui vivi”. Pertanto, ricerca delle giuste condizioni atmosferiche... Ma quando si scatta in esterno non si sa mai precisamente a cosa si andrà incontro in termini di luce e di possibilità o meno di effettuare gli scatti. Come è andata?
In questo invece ti contraddico, il mio “mestiere" non prevede imprevisti. La mia prima macchina è stata una FM2, per chi la conosce non c’è bisogno di citarne la marca, la Nikon, per poi passare alla F3 e poi la mitica RZ della Mamiya. A quei tempi il lavoro si consegnava in diapositiva, e se ti occupavi di moda eri chiamato a trasformare ogni giorno l’inverno in estate e viceversa. Otto professionisti sul set, e tornavi a casa con una busta di diapositive da sviluppare. Non c’è mai stato spazio per gli imprevisti. Oggi scattare in digitale, anche se in luce mista e in esterno, è un gioco da ragazzi: manca molto la magica attesa dello sviluppo, che però questa volta è stata compensata dal bosco incantato. Forse l’unica complicanza è stata data dalle macchine del fumo che avevano un telecomando dotato di volontà propria, ma nulla che non si sia risolto con una risata e l’attesa di qualche secondo.
Tecnicamente come ti poni in fase di scatto, al momento dell'editing e in postproduzione?
E’ difficile rispondere a questa domanda, ma forse ce la faccio. E' il rapporto tra il soggetto e la luce a essere tra le mie prime ispirazioni; e quindi, stabilito questo e tradotto in coppia diaframma /tempo, si comincia a lavorare. Solitamente il mio soggetto è legato al mio schema di luce e io di conseguenza, questa volta invece, ho ritenuto di dover liberarmi da questa necessità tecnica, e credo sia stata una scelta giusta, che mi ha permesso di enfatizzare i diversi stati d’animo legati alla narrazione. Circa l’editing, se ben intendo, non faccio altro che ottenere il giusto contrasto e la giusta tonalità dell’immagine che intendo utilizzare, ma senza grosse manipolazioni. In questo il digitale è un’opportunità pazzesca per un fotografo. Sotto e sovra esposizione, sotto e sovra sviluppo, la scelta delle pellicole, la grana, il colore, tutto il lavoro che si faceva assieme ai tecnici del fotolaboratorio, ora sono una manciata di secondi per aprire un’immagine e mille variabili dello stesso scatto. Riguardo alla postproduzione solitamente tratto le immagini solo lo stretto necessario riguardo alla pulizia del set, e mai sulla persona, il che richiede poco lavoro (anche perché non sono bravissimo con Photoshop). Questa volta ho lavorato parecchio con i livelli, che sono i diversi punti focali dell’opera stessa; ciò non ha richiesto un grande sforzo, mentre la ricerca delle immagini, una per una, è stata più impegnativa.
Ti capita di avere idee che ritieni impossibili da concretizzare in uno scatto?
Ti basti il fatto che ho realizzato un lampadario, dei Lightbox, delle installazioni, delle installazioni fotografiche 100% biodegradabili, che vorrei fare un video, e che...
Come continui a sperimentare? Come pensi che si evolverà la tua fotografia in futuro?
La ricerca ha sempre fatto parte di me anche quando facevo altri lavori, credo mi sia inevitabile, ma dirti dove e come sarà, è un po’ complicato. Te l’ho detto del video? Anche il futuro della mia fotografia non mi è chiaro al momento, ma credo che con questa personale abbia conquistato una sua libertà.