Ancor prima di scrivere sulla strage, sulle potenziali cause che l’hanno generata e sulle eventuali conseguenze a livello internazionale, si ritiene opportuno riportare un brevissimo excursus storico-politico israelo-palestinese che ci consentirà di poter dare una migliore interpretazione su questo nefasto e inumano evento che ha superato le massime crudeltà ad oggi espresse da atti terroristici.
Cenni storici dalla fondazione di Israele
Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 181 che prevedeva il piano per la spartizione del territorio dell'ex mandato britannico della Palestina, con la creazione di uno stato arabo e uno ebraico, dove il Regno Unito (Gran Bretagna e Irlanda del Nord) aveva governato tra il 1920 e il 1948. Il piano venne accettato dagli ebrei, che con piccoli insediamenti erano già presenti nel territorio, ma rifiutato e osteggiato dagli arabi, così il 14 maggio del 1948 il presidente del Consiglio Nazionale Ebraico Ben Gurion proclamò la fondazione dello Stato di Israele, mentre lo Stato di Palestina non venne mai proclamato e il 15 maggio iniziarono le lotte armate contro Israele con è la guerra arabo-israeliana del 1948, con l’obiettivo di distruggere il nuovo Stato. La data del 15 maggio è commemorata dagli israeliani come la “Giornata dell’Indipendenza” e dai palestinesi come la “Nakba”, che in arabo significa “catastrofe”.
Queste prime lotte si conclusero con l’armistizio arabo-israeliano di Rodi del 1949, con accordi separatamente firmati da Israele con ciascuno dei Paesi arabi confinanti: Egitto, Siria, Libano e Transgiordania, con cui il territorio di Israele risultava ampliato rispetto a quello previsto dal Piano di spartizione dell'ONU. Un ampliamento che, ancorché derivante da guerre vinte e da concessioni fatte ai diversi Paesi, non venne mai accettato dai palestinesi e da allora la pace restò solo un miraggio. Venne definita la Green Line (Linea Verde) che era la linea del confine stabilita negli accordi d'armistizio. Molti palestinesi dovettero abbandonare i nuovi territori occupati da Israele.
Dopo il conflitto del 1956 per il controllo del Canale di Suez da parte di Francia, Regno Unito e Israele, a cui si oppose l'Egitto, le tensioni nel mondo arabo aumentarono notevolmente contro Israele. Nel maggio del 1964 nasceva l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che aveva come obiettivo la "liberazione della Palestina" attraverso la lotta armata. Israele, avendo ormai chiara la preparazione di un attacco arabo, il 5 giugno del 1967 sferrò preventivamente un attacco alle nazioni confinanti Egitto, Siria e Giordania, dando il via alla famosa guerra dei sei giorni dal 5 al 10 giugno, conquistando all’Egitto il Sinai e la Striscia di Gaza, alla Giordania la Cisgiordania e Gerusalemme Est e alla Siria le alture del Golan.
Nell’ottobre del 1973, la Siria e l’Egitto attaccarono a sorpresa Israele. Era il giorno dello Yom Kippur (giorno dell’espiazione), che rappresenta per gli ebrei un giorno di digiuno religioso, e quel giorno anche per i musulmani era un periodo di digiuno religioso, poiché erano in pieno Ramadan. La sorpresa fu grande per gli israeliani. L’attacco sferrato dai confinanti aveva, come sempre, l’obiettivo di eliminare totalmente Israele, ma la sorpresa durò poco, perché dopo i primi giorni la “guerra di Yom Kippur” registrò una forte reazione d’Israele e grazie all’intervento di Stati Uniti e Unione Sovietica si evitò che il conflitto diventasse estremamente pericoloso per tutti i popoli in guerra. Il conflitto finì senza alcuna vittoria da nessuna delle due parti, ma mise in risalto che la forza araba si era rafforzata e organizzata notevolmente.
Con l’accordo di Camp David del 19781 si normalizzarono i rapporti tra Egitto e Israele, Israele si ritirò dal Sinai, perdendo anche alcuni campi petroliferi nella parte occidentale del Sinai, e si gettarono le basi per regolarizzare i rapporti per avviare l’autonomia della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Di fatto Israele per circa 27 anni governò la Striscia di Gaza e la Cisgiordania creando decine di insediamenti di coloni israeliani arricchendo il territorio di infrastrutture e attrezzature. L’occupazione durò fino al 1994 quando a seguito degli accordi di Oslo del 1993 l'OLP riconosceva lo Stato di Israele come possibile interlocutore dei negoziati di pace. Con l’accordo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono passati sotto il controllo congiunto di Israele e dell'Autorità Nazionale della Palestina (ANP), nel frattempo costituita. Gli israeliani evacuarono le città e le aeree urbane che avevano occupato, lasciando il controllo principale all’Autorità Nazionale Palestinese, ma per la presenza di coloni israeliani i territori restarono in parte anche sotto il controllo di Israele.
Il 28 settembre 1995 Rabin e Arafat ampliarono l’accordo di Oslo, detto “accordi di Oslo 2”, con il quale l’autogoverno della Cisgiordania veniva esteso a un maggiore territorio, facendo sognare una prossima pace tra i due popoli. Gli accordi garantivano all’OLP il governo di numerose città e villaggi a Gaza e nella Cisgiordania. Nel 1996 ci furono le elezioni con un successo di Fatah2 e la conferma di Arafat e da quel momento si assistette al declino della gestione amministrativa dei territori che dal controllo di Israele erano passati a quello dell’Autorità palestinese. Fu disposta l’evacuazione, in taluni casi forzata, dei coloni israeliani dai territori della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Negli anni successivi ci furono poi nuovi insediamenti colonici, ma a seguito della sentenza del 2018 della Corte Suprema Israeliana per gli insediamenti nell’area di Netiv Ha'avot, a sud di Betlemme, definiti come insediamenti abusivi dei coloni israeliani, i nuovi coloni furono evacuati. Purtroppo, a seguito di modifiche della “governance israeliana” non si è riusciti ad evacuare totalmente gli insediamenti di coloni israeliani, che in parte permangono in Cisgiordania contro le direttive internazionali, né a bloccare l’insediamento di ulteriori coloni che, di fatto, non riconoscono l’Autorità Nazionale Palestinese, ma solo il governo israeliano.
Le cose si sono complicate con la vittoria di Hamas3 che, nelle elezioni politiche del 2006, ottenne la maggioranza dei seggi del Consiglio legislativo palestinese. Ci sono state delle forti tensioni e conflitti tra i due gruppi che hanno poi raggiunto un accordo amministrativo con il quale la Striscia di Gaza è amministrata da Hamas con a capo politico Hamas Ismail Haniyeh, che dal 2020 si dice che vive nel comfort in Qatar a Doha assieme ad altri miliardari leader di Hamas, e la Cisgiordania è governata dall'Autorità Palestinese dominata da Fatah, con Presidente Mahmūd Abbās, detto anche Abū Māzen. Le successive elezioni presidenziali e amministrative in Palestina non si sono ancora tenute. I due territori della Striscia di Gaza e della Cisgiordania sono separati geograficamente e politicamente, con continue controversie legate ai confini, ai rifugiati palestinesi e al conflitto israelo-palestinese nel suo complesso, che influenzano la situazione in queste aree. La questione dei territori palestinesi è una delle questioni più controverse e complesse nella politica internazionale.
Sulla strage del 7 ottobre
Dopo questo brevissimo excursus storico-politico ritorniamo alla strage e alle sue potenziali conseguenze. La carneficina all’alba del sabato 7 ottobre, in pieno Shabbat, è stato un sanguinoso e vile attacco terroristico da parte del gruppo Hamas in una giornata in cui gli ebrei dovevano essere dediti prevalentemente alla preghiera, secondo le regole e le restrizioni descritte nella Torah. Si è ripetuto, ma con modalità differenti, quanto era accaduto 50 anni fa con la guerra dello Yom Kippur. Allora si trattò però di un attacco di guerra tra Stati, mentre Hamas ha sferrato un attacco terroristico, di una crudeltà e malvagità sovrumana, rivolto a civili inermi, spesso nelle loro stesse abitazioni, con azioni animalesche di uccisione a sangue freddo e di sgozzamento di gente di qualunque età, bambini compresi. La strage, le modalità di attuazione, il numero dei morti e quello dei sequestrati hanno destato rabbia e stupore in tutto il mondo e provocato una prevedibile forte reazione da parte di Israele che ha dato il via a numerose reazioni internazionali per tentare di salvare i palestinesi dagli attacchi preannunziati e in parte già attuati da Israele.
La sera del 17 ottobre ho inviato un’e-mail al mio carissimo amico, il prof. David Cassuto4 a Gerusalemme, nella quale scrivevo: «Quel che è successo ha superato tutte le previsioni che si potevano prevedere in un mondo civile. Ma se con queste azioni, questi barbari assassini pensano di potere distruggere Israele, io credo che Hamas e chi sta dietro a loro abbiano commesso l’errore più grande da quando esiste Hamas. L'Iran e agli Hezbollah e non solo loro comprenderanno presto che hanno messo in moto un sistema che difficilmente si potrà fermare totalmente e, purtroppo, è probabile che le conseguenze potranno essere enormi. Mi dispiace e sono addolorato per i morti di Israele e per quei poveri palestinesi che senza alcuna responsabilità stanno piangendo anche i loro morti».
Subito dopo mi giunge la risposta di David che desidero riportare integralmente anche se anticipa alcune cose ormai ben note. «Caro Salvatore, Oramai c’é poco da dire. Continua la tragedia delle 240 famiglie della zona di Sderot che non sanno ancora dove sono i loro cari, se sono vivi o morti, bambini, vecchi, ragazzini. Chiedono di intervenire le mamme, come quella che per un’ora sabato ha parlato al telefono con la figlia ferita e nascosta mentre le davano la caccia e poi sparita… e tanti genitori come lei. Famiglie che hanno trovato i loro bambini sgozzati, le loro figlie violentate e poi uccise, altri che hanno visto le loro donne girare nude per le strade di Gaza col pubblico attorno che gioiva. Disperati. Chiedono quando potranno almeno tornare a casa le famiglie sgomberate, i cittadini ammassati ai cimiteri per seppellire i resti dei loro cari, spesso irriconoscibili. Tutto questo denuncia una situazione in cui è richiesto un cambiamento strategico e psicologico che chiama all’appello l’Occidente. Tutti sanno che Israele vorrebbe evitare di colpire i civili, ma nella guerra asimmetrica5 in cui rampe per missili, covi dei capi… tutto è nascosto fra la gente che li sostiene. I capi si nascondono negli ospedali, nelle scuole, nelle Moschee, essendo sicuri che gli scudi umani salvano loro la vita. È difficile. Eppure, non si può permettere che Hamas sopravviva, é questo che il mondo deve capire. Io ho due nipoti sotto le armi uno al Sud e uno al Nord entrambi ben decisi a portare alla sterminazione di Hamas, di Hezbollah e dei loro sostenitori. Stupidamente gli abbiamo fornito per anni elettricità, acqua, viveri, danaro, cemento per ricostruire una vita civile e loro hanno adoperato tutto questo per preparare ed allenare i loro mostri. Ma io incolpo di questo anche l’Occidente che ha finanziato l’UNRWA6 che ha sostenuto (versando milioni di euro) i libri di testo delle scuole elementari e liceali che fomentavano l’odio viscerale verso Israele (che poi cercava di aiutarli), i mostri che hanno perpetrato l’eccidio di sabato scorso erano stati educati con questi libri. Caro Salvatore c’è poco da dire ora noi dovremo purtroppo imparare ad essere spietati con tutti quelli che non capiscono cosa sia la pietà».
Alla lettera ho sentito il dovere di rispondere immediatamente: «Israele per decenni ha aiutato e sostenuto i mostri che aveva in casa, ma ricordati che tra i mostri ci sono anche donne e uomini anziani, giovani e bambini che non hanno colpa e che nei loro animi certo prima o poi esalteranno il valore di Israele. Io spero che un grosso contributo per estirpare Hamas lo diano anche quei palestinesi che nel segreto del loro animo vorrebbero convivere con Israele, come quella percentuale di arabi che oggi orgogliosamente fa parte del parlamento israeliano». La risposta è stata lapidaria: «Non mi baso su altri io vivo i momenti, le ore, i minuti. So benissimo che ci sono anche altri arabi, ma in questo momento tacciono, non reagiscono e questo mi fa pensare che anche loro in un certo modo sono complici».
Era evidente la rabbia di un uomo, di un padre, di un nonno che molti anni fa, durante uno dei nostri incontri, in uno dei tanti periodi di altissima tensione per atti terroristici che si susseguivano a Gerusalemme, mi disse: «Immagina come può sentirsi un padre quando al mattino vede salire sul pullman i propri figli per andare a scuola e non sa se faranno ritorno». La lettera, pur ripetendo fatti già noti, mi ha particolarmente commosso e fatto riflettere profondamente e ha anticipato riflessioni che stanno sempre più emergendo dopo la strage.
I probabili obiettivi dell’inaspettata strage
L’entità della reazione di Israele, ancorché rallentata dagli scudi umani presi in ostaggio, era certamente ben prevista dai terroristi e non soltanto dai loro capi, al punto da fare avanzare ad esperti politologi l’ipotesi che gli obiettivi per i terroristi erano principalmente due: impedire il prossimo accordo tra Israele e l’Arabia Saudita, dopo che sono stati sottoscritti gli “Accordi di Abramo” da parte di diversi Paesi arabi, e provocare una forte reazione da parte di Israele capace di innescare un conflitto internazionale che avrebbe potuto vedere riunito il mondo arabo compresi i Paesi governati dalla jihad islamica che sostengono Hamas. Di seguito una breve anali su queste due ipotesi.
Sospensione degli “Accordi di Abramo” e del nascente accordo tra Israele e Arabia Saudita
Il 15 settembre 2020 c’è stata la sottoscrizione degli accordi di Abramo, da parte di Israele con gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e il Bahrein e il 10 dicembre 2020 col Marocco col contestuale annuncio dell’accordo col Sudan che è stato poi firmato il 6 gennaio 2021, che prevedono il riconoscimento dello Stato di Israele da parte dei firmatari. Questi accordi hanno fatto seguito alla già esistente normalizzazione di Israele con l’Egitto del 19797 e con la Giordania del 1994.8 È dunque evidente che la sottoscrizione degli “Accordi di Abramo” ha significato un importante passo storico verso la tanto auspicata pace in Medio Oriente. Un fatto contrastato fortemente soprattutto dai Paesi governati dalla Jihad per i quali obiettivo principale è l’estinzione dello Stato di Israele. Pertanto, è verosimile ipotizzare che non è stato certamente un caso se l’attacco terroristico è scattato proprio mentre stava procedendo velocemente la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita. Rapporti che prevedevano accordi su vari settori strategici, con importanti progetti internazionali che avrebbero fatto emergere la leadership dell’Arabia Saudita nel mondo arabo.
L’attacco terroristico ha certamente raffreddamento questi rapporti, con un sicuro gradimento dell’Iran, lo Stato forte economicamente e militarmente che, in netto contrasto con la recente tendenza di un’ampia parte del mondo arabo, da sempre ha come obiettivo principale la distruzione di Israele e non è difficile ipotizzare che l’operazione di Hamas possa avere avuto assistenza dall’Iran. Dopo la recente strage gli Accordi di Abramo risultano forse parzialmente rallentati nella messa in atto delle loro azioni, ma restano sempre pienamente vigenti. Resta invece in attesa di maggiori chiarimenti come sia stato concertato il sostegno iraniano al gruppo terroristico contro Israele, perché se ciò fosse ufficialmente confermato potrebbero nascere nuove tensioni tra le relazioni diplomatiche di recente siglate (marzo 2023) tra Arabia Saudita e Iran, mutando lo scenario geopolitico nella regione del Medio Oriente.
La strage come atto provocatorio per innescare una forte reazione internazionale
Hamas ha dimostrato di agire in maniera programmata e non casuale, utilizzando un quantitativo enorme di razzi e una precisione e celerità nell’azione che hanno creato serie difficoltà alla difesa israeliana e fatto anche emergere sospetti su un potenziale informatore. I terroristi sapevano bene di non potere così sconfiggere Israele, ma ne hanno certamente previsto l’immediata reazione e per loro maggiore sicurezza hanno sequestrato tanti giovani per farli diventare scudi umani e mezzo di scambio nei prevedibili successivi tentativi fermare la reazione israeliana. Ma la cosa forse più grave è l’ipotesi di alcuni politologi secondo i quali l’azione stessa fosse stata programmata soprattutto per scatenare una forte e immediata reazione israeliana che avrebbe involontariamente colpito anche molti palestinesi nelle loro abitazioni e nei luoghi dove notoriamente essi davano rifugio e assistenza ai terroristi nella striscia di Gaza. Una reazione che avrebbe potuto provocare poi una reazione a catena nel mondo arabo e nei Paesi notoriamente contro Israele.
La diffusa manipolazione della verità e gli involontari messaggi pericolosi
Sulla ignominia dell’atto di terrorismo compiuto nessuno ha dubbi, ma si sta assistendo ad una manipolazione della verità che si fonda su alcuni punti che possono colpire maggiormente la sensibilità umanitaria internazionale. Un esempio dell’alterazione della verità, operata con astuzia attraverso i mass media, è stata la notizia del bombardamento dell’ospedale di Gaza da parte di Gerusalemme, addebitando ad Israele il relativo eccidio. Una falsa notizia sostenuta anche da importanti giornali internazionali occidentali, qualcuno dei quali ha poi fatto ufficialmente il mea culpa riconoscendo di avere sbagliato. A poco sono poi valse le successive dimostrazioni, anche attraverso documentazioni varie visive e sonore, compresa la registrazione di un colloquio telefonico intercettato tra due terroristi, che il razzo era stato lanciato da Hamas in prossimità dell’ospedale e che il lancio era fallito colpendo l’ospedale e chissà quanti altri di questi errori ci sono stati. Il messaggio immediatamente diffuso in tutto il mondo, sotto la guida esperta di alcuni partiti politici, ha addossato la colpa a Israele e a nulla sono servite le varie documentazioni pubblicate, né la dimostrazione della totale assenza di aerei che avrebbero potuto lanciare la bomba. Inoltre, non sembra siano stati mai ritrovati i resti dell’oggetto responsabile dell’esplosione dai quali potere risalire al tipo di bomba usata, né sono mai pervenuti filmati da parte palestinese dei momenti prima e dopo l’evento. Qualcuno ipotizza sarcasticamente che i resti della bomba potrebbero essere vaporizzati.
Purtroppo, in maniera probabilmente voluta e programmata, si stanno diffondendo notizie che hanno già creato e continuano a creare una grande confusione tra chi è Hamas e chi sono i palestinesi, in modo che la naturale reazione che Israele sta avendo contro Hamas venga interpretata come una reazione contro i palestinesi in generale. Solo pochi pro-palestinesi hanno dichiarato ufficialmente che lottare Hamas significa lottare perché i palestinesi possano non essere più sottomessi ad Hamas e giustamente aspirare ad avere uno Stato internazionalmente riconosciuto. Il modo più corretto, ad esempio, potrebbe essere quello di dire che Hamas è formato da palestinesi terroristi e non da tutti i palestinesi, anche se è sostenuto dalla maggioranza dei palestinesi, ancorché non coinvolti direttamente nelle efferate stragi terroristiche e forse in parte ignari di tale disumana operazione. A conferma di tale ipotesi basta ricordare che nelle elezioni del 2006 la maggioranza dei palestinesi ha votato per Hamas, ben sapendo che l’obiettivo principale di Hamas è la distruzione dello Stato d’Israele. Così come la manifestazione di gioia ostentata nelle piazze a seguito dell’avvenuto massacro è stata ad opera di palestinesi e non solo dei palestinesi aderenti ad Hamas, anche se resta il dubbio che molti di quelli che non hanno manifestato potrebbero aver preso le distanze da Hamas. Infine, siamo certi che le manifestazioni internazionali di piazza pro-palestinesi rivolte contro Israele non sminuiscano il significato della brutale strage rappresentando un involontario sostengono ad Hamas?
Un altro aspetto inquietante è che diversi Imam di Moschee italiane, che curano la crescita spirituale e l’indottrinamento dei giovani in Italia, alla domanda se condannavano Hamas, hanno risposto sempre in maniera fuorviante e tutte le risposte sembravano legate da un filo comune. Da un lato hanno affermato di essere contro gli atti terroristici, dall’altro non hanno mai avuto il coraggio di dichiarare apertamente che Hamas è un gruppo terroristico o comunque di essere contro Hamas, tranne qualche rarissima eccezione. Ciò rappresenta sicuramente un fatto inquietante, che verrà ripreso in un successivo articolo sul terrorismo islamico, perché verosimilmente farebbero supporre che molti dei messaggi che partono dalle Moschee sono a favore dei terroristi di Hamas.
L’aperto sostegno di Russia e Turchia al gruppo terroristico Hamas
Tra i sostenitori di Hamas primeggia sicuramente l’Iran, attraverso la cui mediazione sembra che siano arrivate anche armi fornite dalla Corea del Nord (lanciarazzi e fucili automatici), armi poi usate durante l'attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele, ma un ruolo importante è stato ed è ancora il sostegno ad Hamas dato dalla Russia e dalla Turchia. In particolare la loro condivisione dell’eccidio del 7 ottobre e la pesante critica alla risposta di Israele. Forse sono state dimenticate le reazioni di Putin e di Erdogan, quando agli attacchi dei terroristi ceceni e curdi hanno sempre risposto con stragi di civili per interi territori. Cito un solo esempio, “il massacro di Beslan” del settembre 2004 avvenuto in una scuola di Beslan, nell'Ossezia del Nord, una repubblica autonoma della Federazione Russa, quando un gruppo di terroristi, fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occupò la scuola sequestrando circa 1200 persone adulte e bambini. Nei due giorni successivi le forze speciali russe irruppero e fecero un vero massacro, causando la morte di oltre trecento persone, compresi oltre 150 bambini, e circa altre 700 persone rimasero ferite. Oppure quando, a seguito della strage di Istanbul del 13 novembre 2022, la Turchia non ha esitato a rispondere, in maniera sicuramente sproporzionata, attaccando con forze aeree i curdi delle regioni settentrionali di Siria e Iraq e tutto ciò, ovviamente, giustificato come azione contro il terrorismo e per la sicurezza dello Stato. Per quanto sopra sinteticamente scritto risulta spontaneo meravigliarsi che da Putin e da Erdogan siano arrivati messaggi di solidarietà ai terroristi di Hamas, con una chiara condanna alla reazione di Israele. Una critica dunque da parte di chi fa finta di non ricordare le stragi di civili che ha autorizzato nel nome della lotta ai gruppi terroristici e certamente in risposta a stragi ben minori di quella del 7 ottobre. Forse è il caso di ricordare una famosa frase evangelica: «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Vangelo secondo Luca, cap.6, vers.41).
Considerazioni finali
La colpa di questo stato di guerra continua tra Israele e Palestina non è certamente da una sola delle due parti.
È possibile individuare le principali colpe dei due Paesi?
Il popolo palestinese ha sicuramente sbagliato sin dall’inizio per avere rinunciato ad accettare la suddivisione dei territori, tra Israele e Palestina, previsti dal Piano originario di spartizione votato dall’Assemblea Generale dell’ONU nel novembre del 1947 e per avere sin dalla rinuncia tentato con continue guerre di cancellare lo Stato d’Israele, senza poi accettare, perdendo le guerre, la perdita di parte del territorio, inizialmente destinato a loro. Israele, pur avendo accettato di restituire parte dei territori conquistati a condizione del suo riconoscimento come Stato, ha poi commesso l’errore di non bloccare i nuovi insediamenti di propri coloni, soprattutto a seguito degli accordi di Oslo, contrariamente alle indicazioni che venivano date a livello internazionale.
Gran parte il popolo palestinese sostiene Hamas?
Che il gruppo terroristico di Hamas abbia di fatto il sostegno della maggioranza dei palestinesi lo conferma innanzitutto la menzionata sua vittoria elettorale del 2006 oltre ai fatti recentemente registrati. Un esempio durante l’attacco del 7 ottobre, ma non certamente il solo, è l’audio agghiacciante di un terrorista che telefonando al padre con un telefono di una donna presa in ostaggio e poi uccisa, autodefinendosi un eroe, gli ha detto: «Papà, ti sto parlando dal telefono di una donna ebrea, ho ucciso lei e suo marito. Con le mie mani ho ucciso 10 ebrei […] il loro sangue è nelle mie mani, passami mamma […] mamma, tuo figlio è un eroe». Il padre ha dimostrato orgoglio per quel che il figlio aveva fatto. Questo messaggio è stato trasmesso in arabo con la sottostante traduzione dalla Tv La 7. Dunque, nell’esprimere i nostri giudizi dobbiamo essere cauti, poiché, purtroppo, è probabile che i tentacoli di Hamas siano ormai molto estesi a buona parte della popolazione palestinese, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania, perché solo così si giustifica quell’aria di festa generale dopo l’efferata strage, con violenze inaudite su tutta la popolazione. Chi non condivide la strage non gioisce pubblicamente.
Qual è la posizione dei musulmani nei confronti di Hamas?
Non tutti i musulmani sono con Hamas. Da ampie parti del mondo musulmano c’è stato un forte sostegno verso Israele e una netta condanna verso Hamas. Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino musulmano, dice che «Hamas è il nemico non solo del popolo israeliano, ma anche del popolo palestinese. Un nemico crudele e senza alcun senso politico, manipolato da un Paese dove le giovani donne che si oppongono vengono impiccate per la mancanza un velo in testa». Abd al-Ghafur Masotti, consigliere della comunità religiosa islamica italiana, intervenendo all’evento organizzato dalla comunità ebraica di Milano per commemorare le vittime e chiedere la liberazione degli ostaggi ha detto: «Noi musulmani italiani della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) condanniamo fermamente qualsiasi ostilità contro gli ebrei in Europa e nel mondo e ci opponiamo a qualsiasi istigazione all’antisemitismo e al terrorismo».
Purtroppo, la recente strage animalesca, ancorché non trova adeguata giustificazione nel Corano, è stata sostenuta e di fatto condivisa da diversi Imam operanti in diversi Paesi. Infatti, alcuni intervistati pubblicamente, pur condannando la strage, non sono poi riusciti ad affermare pubblicamente di essere contro Hamas. Molti di essi hanno dato risposte fuorvianti e hanno tergiversato, senza mai dare risposta alla domanda: sei contro Hamas? Ma allora è legittimo ipotizzare che non riuscire a pronunciarsi contro significa una loro tacita accettazione. Dunque, per i Paesi che ospitano musulmani si dovrebbe capire quali sono gli Imam che, con i loro indottrinamenti, rappresentano un vero potenziale pericolo e agire di conseguenza preventivamente, senza tergiversare e senza alcuna tolleranza.
Sarebbe anche interessante e lecito chiedere ai Paesi sostenitori di Hamas e soprattutto a Putin e Erdogan come avrebbero reagito se i terroristi avessero sgozzato nel letto i civili inermi e magari tagliato le teste di alcuni bambini dei loro Paesi. Possiamo legittimamente pensare che il “senso umanitario” dimostrato stranamente da Russia e Turchia, due paesi storicamente non certamente democratici, potrebbe avere come obiettivo principale quello di tentare di contribuire a fare arrestare il processo di collaborazione aperto tra USA e Arabia Saudita, per aumentare il loro potere contrattuale nel mondo arabo e nei loro rapporti con la Cina. Un obiettivo che al momento sembra comunque poco raggiungibile, anche perché un eventuale cedimento dell’Arabia Saudita rafforzerebbe ulteriormente l’esistente forte legame tra Emirati Arabi Uniti e USA.
È possibile per Israele dimenticare il 7 ottobre?
È poco credibile che Israele possa facilmente dimenticare questa strage, così come poco credibile è che possano ancora lasciare utilizzabili le gallerie sotterranee esistenti nella Striscia di Gaza ed estese per oltre 500 chilometri;8 gallerie che hanno punti di accesso, oltre che da abitazioni, anche da ospedali e scuole, e che rappresentano punti di collegamento col territorio israeliano e temporaneo rifugio per i terroristi e per le loro armi. Israele non potrà mai desistere dal tentare di sconfiggere Hamas, ben sapendo che ha la necessità e la capacità di annullarlo totalmente e che la sua eventuale sopravvivenza significherebbe continuare a vivere costantemente sotto l’incubo nell’attesa della prossima strage. E ciò non sembra un’ipotesi accettabile. Israele ha la capacità, come è stato dimostrato negli anni scorsi, di colpire chirurgicamente quelle abitazioni dove i relativi abitanti nascondono e proteggono i terroristi col consapevole rischio della loro stessa vita.
Israele per distruggere le gallerie e per proteggere contestualmente i palestinesi ha intimato preventivamente lo sgombero veloce della popolazione da tutti gli edifici ricadenti in dette aree, per poterli così demolire assieme alle sottostanti gallerie e risanare la zona. Si assumono grandi responsabilità quanti hanno impedito l’evacuazione della popolazione e in particolare Hamas, che, impedendo l’evacuazione, di fatto ha utilizzato i palestinesi come scudi umani. Sarebbe il caso di dire che “Finita la festa gabbato lo Santo”. È un vecchio proverbio italiano, sinonimo dell’atteggiamento opportunistico, che nel caso in esame significa: “una volta che Hamas ha ottenuto il sostegno da parte dei palestinesi, li abbandona al loro destino”, altro che difenderli.
Ci sarà mai la pace tra i due popoli?
Ma come si può sperare nella pace fintanto che il capo religioso dell’Iran Ali Khamenei definisce Israele un "tumore canceroso" e ufficialmente dichiara che “Qualsiasi piano per dividere la Palestina è inaccettabile perché tutta la terra appartiene ai palestinesi, dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo]”?
Sanno bene i palestinesi che non aderiscono ad Hamas che l’azione d’Israele è indispensabile per liberare loro stessi dal costante controllo terroristico e dall’oppressione di Hamas e potere così sperare ancora nella creazione di un loro Stato autonomo. Una speranza per potere finalmente vivere in un regime di pace e non di continue guerre, in un regime di collaborazione con Israele, con la loro conseguenziale crescita economica e sociale, come quella di cui godono i palestinesi oggi pienamente inseriti in Israele. Un autorevole giornalista ha affermato che eliminati i terroristi di Hamas ne nasceranno altri. Un’affermazione condivisibile, ma difficilmente si riformeranno facilmente le incontrollabili gallerie/rifugio di centinaia di chilometri.
Parlando con carissimi amici musulmani è stato sempre condiviso con loro che l’Islam è una religione di pace e che gridare «Allah Akbar», che significa «Allāh è grandissimo», per giustificare stragi cruente è una vera offesa a Dio, una assurda bestemmia, poiché si utilizza il nome di Dio quasi per giustificare l’azione criminale commessa con le note nefaste conseguenze anche per lo stesso popolo palestinese. A chiusura di questo articolo mi ritornano in mente le parole sopra menzionate di David Cassuto riferite ai terroristi di Hamas: «Stupidamente gli abbiamo fornito per anni elettricità, acqua, viveri, danaro, cemento per ricostruire una vita civile e loro hanno adoperato tutto questo per preparare ed allenare i loro mostri». Con un filo di ottimismo potremmo sperare che forse, da questa sanguinosa strage, potrebbero nascere le basi per l’effettiva nascita dello Stato di Palestina.
Note
1 Con l’accordo di Camp David del 1978, firmato dal presidente egiziano Anwar al-Sadat, dal Primo Ministro israeliano Menachem Begin e dal presidente americano Carter, si normalizzarono i rapporti tra Egitto e Israele. Israele restituì all’Egitto il territorio del Sinai conquistato nel 1973 e l’Egitto riconobbe, come primo Paese arabo, l’esistenza dello Stato d’Israele e da quel momento ci fu un allontanamento dell’Egitto dalla sua politica filosovietica, con un riavvicinamento agli Stati Uniti d’America. Con lo stesso accordo si stabilì che, nel volgere di cinque anni, coloro che vivevano nei territori occupati da Israele sulla riva occidentale del fiume Giordano e sulla striscia di Gaza avrebbero dovuto godere dell’autonomia e ottenere un proprio governo.
2 Il Fatah è un partito politico palestinese fondato nel 1959 da Yasser Arafat e altri leader palestinesi dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. Il nome "Fatah" è un acronimo in arabo che significa "Movimento di Liberazione Nazionale della Palestina". Fatah è uno dei principali partiti politici palestinesi ed è stato a lungo associato all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che è stata fondata nel 1964 come l'entità politica che rappresenta il popolo palestinese. Il Fatah ha svolto un ruolo significativo nella lotta palestinese per l'indipendenza e per il riconoscimento internazionale dei diritti dei palestinesi partecipando a incontri internazionali. È stato coinvolto in negoziati di pace con Israele e ha sostenuto una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese, con la creazione di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele.
3 Hamas è un'organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista, sunnita e fondamentalista nata nel 1987, ai tempi della prima intifada, come Centro Islamico ed era un’organizzazione di assistenza sociale che rappresentava un braccio operativo della rete salafita dei Fratelli Musulmani. Degenerò velocemente in gruppo terroristico che porta avanti la Jihad contro Israele per combatterlo e tentare di distruggerlo attraverso ripetuti atti terroristici. Un gruppo armato quindi molto vicino ad Al Qaeda. Hamas è stato definito gruppo terroristico da Unione europea, Organizzazione degli Stati americani, Stati Uniti, Israele, Canada, ecc.
4 Il Prof. Arch. David Cassuto, autorevole rappresentante d’Israele, già vice Sindaco di Gerusalemme e Rettore della facoltà di Architettura dell'Università di Ariel, presidente e fondatore del Museo italo-ebraico di Gerusalemme, nonché benemerito della Città di Gerusalemme (la maggiore onorificenza che concede la città), è stato insignito della carica di commendatore della repubblica italiana.
Appartenente ad una classica famiglia ebrea con una travagliata storia, dopo la deportazione dei genitori ad Auschwitz il padre Nathan, che era stato rabbino capo di Firenze, non fece più ritorno, mentre la madre, sfuggita alla morte del campo di sterminio, si trasferì nel 1945, assieme ai fratelli, in Israele presso i nonni. Nell’anno della fondazione dello Stato d’Israele (1948) la mamma trovò la morte in una sommossa araba mentre assieme a 77 medici e infermieri rientrava nell’ospedale Har Hatzofim di Gerusalemme.
5 Una guerra in cui Israele, trovandosi all’improvviso e temporaneamente in svantaggio, poiché, anche se sicuramente militarmente ed economicamente più forte dell’attaccante, si doveva difendere dai terroristi di Hamas che, in tale occasione, era un avversario difficilmente individuabile.
6 UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) è l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel vicino Oriente, finanziata quasi interamente da contributi volontari degli Stati membri delle Nazioni Unite.
7 Il trattato di pace israelo-egiziano fu firmato il 26 marzo 1979 a Washington, a seguito degli accordi di Camp David del 1978.
8 Yitzhak Rabin Primo ministro di Israele e Husayn Hussein Re di Giordania, sotto la presidenza di Bill Clinton, il 25 luglio del 1994 firmarono la Dichiarazione di Washington, con la quale si poneva fine alle ostilità ufficiale tra i due Paesi.
9 ANSA “Guerra in Medio Oriente” del 28 ottobre 2023.