Sono nato a Musso, a due passi da dove hanno ammazzato il duce, qui sul lago, molti, come me, vivono facendo gli spalloni, passiamo in Svizzera con le briccole sulle spalle e attraverso le montagne portiamo in Italia sigarette, cioccolata, cose così. Un giorno, stavamo tornando da un viaggio carichi come muli, ci trovavamo giusto sotto la Val Di Sasso, la valle dei matti. Dicono che su di lì non erano riuscite a salire nemmeno le legioni romane perché è un imbuto con gole di pietra nera che a vederle mettono ansia ancora adesso che c’è la strada, figuriamoci quando era solo una mulattiera. Va detto poi che gli abitanti vivono ritirati in alto e per raggiungerli si deve percorrere un sentiero tortuoso e superare un ponte stretto ottenuto con due tronchi accostati, quindi impossibile sino a cinquant'anni fa andar su anche solo con un carro, muli, solo muli o cavalli. In ogni caso, offrirsi alla vista di quella gente non è per niente salutare nemmeno adesso, nel migliore dei casi piovono sassi d'avvertimento e piovono nel vero senso della parola perché non sono solo gli uomini a difendere la valle ma anche le donne e i bambini, quella gente ne fa una questione d'intimità, lassù ci stanno loro, è casa loro e tutto il resto del mondo sta in basso. Quindi come si dice nei paesi a valle, guai andar nella val di Sas, quei là son matt e non solo ma anche brutti e deformi da far paura, per via dell'isolamento, in qualche modo potrebbero essere accomunati ai nobili, stesso principio, unioni fra consanguinei.
Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e Mussolini, proprio da quelle parti, cadrà in bocca ai partigiani che sul posto regoleranno definitivamente i conti con lui, tanto per non perdere l'occasione perchè con gente così, prima risolvi il problema e meglio è. Comunque quel fatto non è ancora successo e noi stiamo tornando a casa con le briccole sulle spalle e un gran desiderio di infilarci in osteria o sotto le lenzuola con la moglie o la morosa. Siamo in tre, Alessandro detto Alex, Ubaldo detto Ubi e io, Antonio detto Antonio. Camminiamo svelti lungo il sentiero, saltellando di sasso in sasso quando a un tratto Ubi che marcia in testa, si ferma di colpo buttandosi a terra con un braccio alzato per segnalare pericolo. Un gran silenzio avvolge la vallata, anche troppo e troppo silenzio lo sappiamo bene che non porta buono. Ci sfiliamo le briccole e le sistemiamo dietro un grande masso fuori dal sentiero, le copriamo con rami e foglie e poi quatti quatti tagliamo la costa. Sentiamo i tedeschi ancora prima di vederli, stanno venendo su in fila indiana, saranno una trentina almeno e hanno quei maledetti cani che annusano un uomo a un chilometro.
– Via, via, di corsa – le briccole sulle spalle e su per la pietraia, bisogna tagliare fuori il sentiero, inerpicarsi veloci e per forza rifugiarsi nella vallata dei matti, niente da fare si deve andare su di là e speriamo bene perché con quelli non si sa mai. Ubi è il più anziano, ha compiuto ventitré anni due giorni fa, per la miseria! Che compleanno, in Svizzera a caricar roba ma ora via senza perder tempo che non ce n'è. Ci infiliamo in un bosco e poi per un tratto camminiamo allo scoperto, di tanto in tanto acquattati dietro un blocco di granito guardiamo giù quel serpente di corpi che sale. Via, infilare la vallata col naso in alto, attenti che quando i matti ti vedono, all'improvviso ti puoi trovare con la testa rotta. Il sentiero è ripido e dopo un po’ si inoltra in una gola stretta che spegne il sole e fa venire i brividi e se non bastasse, una nube enorme e nera si è piazzata proprio sulle nostre teste, ancora un po' e non vediamo più nemmeno dove mettiamo i piedi. Ma l'ansia per l'ombra dura poco, un masso si stacca da una parete e con un rumore sordo cade rimbalzando impazzito, il tempo di vederlo troncare di netto un maggiociondolo e già è volato alle nostre spalle dopo averci miracolosamente scavalcati. Stiamo lì, tutti e tre appiattiti a terra con le briccole sopra la schiena e una paura boia che ne arrivi un altro ma tutto rimane fermo.
Siamo troppo vicini alla valle per stare qui, quelli ci trovano di sicuro, andiamo più avanti, lo vedranno bene di lassù che abbiamo le briccole e comunque non possiamo certo stare qui, morti per morti meglio rischiare con loro che almeno abbiamo una possibilità, questi qui sotto ci fan fuori di sicuro. Il sentiero diventa sempre più stretto, camminiamo uno dietro l'altro con i peli dritti e il naso all'aria. Quando sentiamo arrivare le prime pietre ci buttiamo dietro un masso cercando un riparo almeno per la testa, i primi colpi cadono sulle briccole, ritiriamo le gambe come possiamo ma Alex sente subito un dolore forte alla caviglia, la sassaiola pare non avere fine. Stiamo lì, schiacciati contro il granito senza muovere un muscolo finché i sassi cessano di cadere e allora, dopo qualche minuto, cautamente, Ubi fa capolino. Nulla si muove, mi sollevo anch’io e aiuto Alex a mettersi in piedi, è una brutta ferita, il malleolo probabilmente è rotto e la caviglia gonfia da far paura.
– Ce la fai a camminare? – gli chiediamo. – Ci provo, magari scaldandosi va meglio – ma fatti due passi vediamo che non è storia e allora senza pensarci troppo mi piego in avanti, lo afferro per un braccio e me lo carico sulla schiena come fosse un agnello. In lontananza si sente l’abbaiare dei cani, raggiungiamo quasi correndo una svolta e ci troviamo nella vallata che si apre in un pianoro verdeggiante, in fondo, incollate alla parete di roccia si distinguono le case di pietra di un villaggio. Alex vedendo un ruscello chiede di fermarsi un momento, vuole immergere il piede nell'acqua fredda, gli togliamo lo scarpone, il gonfiore è esagerato, dopo un po’ Ubi, senza parlare, gli si avvicina e se lo carica sulle spalle, io intanto sistemo la sua briccola sulla mia. Dopo una mezz'ora di cammino allo scoperto raggiungiamo le case lungo un viottolo che corre tra i muri di pietra per aprirsi poi in una piazzetta con una fontana al centro. Ubi scarica Alex vicino alla vasca e lui infila subito il piede nell’acqua gelida.
D'incanto appare una donna strana che ci fa cenno di seguirla. Non abita lontano da lì, poco dopo entriamo in una grande cucina dove lei, senza parlare, fa segno ad Alex di sedersi sopra una panca. Si siede di fronte a lui e delicatamente gli sfila il calzettone bagnato poi si mette il piede in grembo e fa scorrere leggermente le dita sul gonfiore, lo tasta qua e là, estrae da un barattolo qualcosa di simile al grasso e inizia a sfiorare la caviglia, Alex un po' la guarda e un po' strizza gli occhi per il dolore. È una donna strana, piccola e magrolina, con lineamenti vagamente mongoloidi ma quando gli sorride, dopo che lui ha lanciato un piccolo urlo di dolore, scopre denti bianchi perfetti, è di età indefinibile e il suo viso è solcato da una ragnatela di rughe sottili che partendo dagli zigomi le rigano le guance ma gli occhi sono giovani e belli e io che la sto osservando di sottecchi mi scopro a pensare che quella donna ha qualche cosa di incredibilmente erotico. Ubaldo intanto non si stacca dai vetri, guarda fuori aspettando di veder comparire qualcuno ma non c'è anima viva. Dopo un po’ si allontana dalla finestra e chiede acqua alla donna che senza interrompere il massaggio indica col capo un secchio al quale è agganciato un mestolo.
Trascorrono alcune ore, nessuno viene alla casa, nessuno appare in lontananza e noi non sappiamo cosa pensare anche perché sta ormai scendendo il buio. La donna dopo aver infilato una calza di lana asciutta sul piede di Alex, si alza e versa in tre scodelle la minestra che borbottava sul fuoco del camino poi, senza dire una parola, se ne va. Rimasti soli io e Ubaldo decidiamo i turni di guardia ma crolliamo addormentati quasi subito e ci svegliano le prime luci del mattino. Corriamo alla finestra ma fuori, nulla si muove, la donna non ricompare, l'aspettiamo un poco poi io e Ubaldo usciamo e ci guardiamo in giro, il villaggio pare deserto, c’è solo una cagnetta bionda, una specie di spinone sdraiata accanto alla fontana che si lecca una zampa insanguinata. Decidiamo di tentare il ritorno, la cagnetta guaisce mentre con i suoi occhi gialli guarda Alex che si sostiene con un bastone e lui passandole accanto si china a fatica e le fa una carezza. – Nico – le dice come se sapesse il suo nome e lei scodinzolando forte si alza e lo segue zoppicando, sembrano fatti l’uno per l’altra. Superata la piana arriviamo alla gola e un brivido ci afferra, Ubaldo va avanti continuando a guardare in alto, giunti alla svolta ci dice di stare nascosti che lui va a esplorare il sentiero passando sulla pietraia a mezza costa. Torna poco dopo con gli occhi in fiamme e una faccia da far paura, ci lancia un’occhiata e poi si piega dietro un sasso e vomita.
– Tutti morti –, dice e si siede tenendosi la testa tra le mani. Nessuno ha il coraggio di chiedere altro, lasciamo passare il momento e si che l'Ubaldo è uno tosto. – Tutti morti – ripete dopo un po', rimettendosi in piedi – Anche i cani –. Noi dobbiamo per forza passare di là, superato un dosso, il sentiero torna a snodarsi comodo e si vede la valle che in fondo si stringe e allora di lassù li vediamo, uomini e cani sepolti sotto una montagna di pietre. Avvicinandoci vediamo parti di corpi tumefatti e gonfi che spuntano tra i sassi e per noi diventa tutto uno scavalcare quell’orrore senza fine. Alex lo dobbiamo sostenere, il passaggio sui sassi per lui è atroce ma non possiamo caricarlo in spalla, i sassi sono instabili, non guardiamo più in alto, pensiamo solo a andare via da quell’incubo. Dopo un po’ le pietre si diradano e ritroviamo il sentiero. Camminiamo in silenzio finché la vallata si apre sulle fasce verdi coperte di ulivi e in lontananza si vede il lago. Raggiungiamo un prato coperto da un tappeto di fiori piccolini bianchi e azzurri, ci sediamo in mezzo a loro e tenendo il viso tra le mani cominciamo a piangere come bambini.