Cento anni fa, il 15 ottobre 1923, nasceva Italo Calvino. Mi affascina il suo legame con la scienza. Calvino non fu un divulgatore scientifico, né un autore di fantascienza. Il divulgatore rende la scienza accessibile, evitando il gergo specialistico e la simbologia matematica, per avvicinarla a chi possiede una cultura di base e sa leggere un giornale. L'autore di fantascienza punta la propria attenzione su una scoperta scientifica o una nuova tecnologia, e ne esplora le possibili conseguenze dando vita a un mondo immaginario. Ad esempio, Asimov immagina una società in cui robot, dotati di autonomia decisionale, sono integrati in ogni aspetto della vita umana e ci intrattiene con situazioni in cui le regole che governano i robot si rivelano insufficienti o contraddittorie, così come le norme etiche destinate a prevenirne i comportamenti pericolosi o illeciti.
Calvino non appartiene a nessuna di queste categorie. La letteratura è il suo unico faro e le attribuisce la funzione di delineare un'etica e una consapevolezza dell'esistenza. Nelle Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio sostiene che «La letteratura è come un'antenna che riesce a raccogliere segnali che da un punto di vista strettamente pratico non hanno ancora un significato, segnali che sono portatori di nuove complessità del mondo e che la letteratura trasmette rendendoci più consapevoli non solo di ciò che accade ma di ciò che potrebbe accadere». Per Calvino la scienza è un serbatoio di immagini, un tesoro di saperi che potrebbe espandere la consapevolezza del nostro posto nel mondo. Ma, per arricchire la consapevolezza, il sapere scientifico deve alimentare la nostra immaginazione e permeare la nostra vita quotidiana.
Qui sorge un problema: la scienza non osserva la realtà come facciamo noi. Gli scienziati isolano il fenomeno da studiare, lo osservano attraverso strumenti di misura, e lo trasformano in un insieme di dati. I dati vengono poi elaborati con metodi statistici e matematici alla ricerca di regolarità o relazioni funzionali. Quando il processo scientifico giunge al termine, il fenomeno originario sembra un albero disseccato, incapace di nutrire il nostro immaginario. Nel saggio Esattezza, nelle Lezioni Americane, Calvino sottolinea la distanza tra scienza e letteratura. Scrive: «La letteratura — così mi pare — è l'ambito dove una parte della conoscenza umana si rifugia quando il terreno è stato conquistato dall'esattezza della scienza, ma dove questa conoscenza conserva una sua ragion d'essere, trasformandosi in forma, in struttura narrativa, in visione del mondo». Insomma, per rompere il muro dell’esattezza che allontana la scienza dalla sfera della vita è necessario trasformare la conoscenza scientifica in qualcosa di umanamente significativo: la conoscenza scientifica deve assumere una forma narrativa. E, andandole incontro, la letteratura deve diventare ‘filosofia naturale’.
Ma come può la letteratura diventare filosofia naturale quando le conoscenze scientifiche riguardano entità al di là della nostra percezione sensoriale? Oggetti materiali come molecole, virus e batteri, visibili solo con microscopi elettronici, ma anche entità concettuali come quark, elettroni, fotoni. La prova della loro esistenza talvolta si basa solo su fluttuazioni statistiche, come per il bosone di Higgs. Come possiamo concepire la velocità della luce o l'immensità di un quasar? Se un romanzo ruota attorno a un personaggio umano, lo scrittore sa usare le parole per sintonizzare la personalità e le passioni del personaggio col flusso dei nostri pensieri e delle nostre emozioni di lettore. Così persone che esistono solo nelle pagine di un libro, come la contessina Natascia Rostova di Tolstoj, Madame Bovary di Flaubert e Julien Sorel di Stendhal, ci diventano più vivi della signora del balcone di fronte. Ma come fare quando il protagonista è un astruso concetto scientifico? Come si fa a romanzare un elettrone o un buco nero? Come dare un’anima alla teoria della relatività o alla meccanica quantistica?
Calvino sa che per fare della letteratura una filosofia naturale deve inventare un metodo di narrazione nuovo: deve mettere a punto ciò che possiamo definire una epistemologia letteraria. Per far ciò deve possedere la scienza col proprio corpo: deve ingoiare gli scritti di scienza e rigurgitarli come letteratura. Durante la ruminazione digestiva il concetto scientifico deve subire la metamorfosi necessaria al proprio progetto: diventare sensazione ed emozione corporea, ed alimentare così l’immaginazione. Nel passo successivo presta il proprio corpo a un personaggio che ha l’età dell’universo ed è dotato di un corpo che, al pari di Proteo, può assumere la forma di qualsiasi entità, vivente o non vivente. Inventa Qfwfq, narratore onnisciente e metamorfico che racconta eventi cosmici come se fossero avvenimenti personali. Qfwfq è, a secondo della situazione, entità astronomica, particella elementare, molecola, essere evolutivo che partecipa allo sviluppo della vita, creatura primordiale, dinosauro, e perfino una persona comune.
Nel racconto Sul far del giorno, Qfwfq descrive la nascita del sistema solare come una epopea familiare, trasformando la formazione planetaria in un'esperienza intima e relazionale. Alcuni passaggi ci forniscono un’idea di come la famiglia di Qfwfq ha vissuto l’evento cosmico della materia che si condensa:
- «Fu mio padre ad accorgersi che qualcosa stava cambiando. Io era appisolato e il suo grido mi svegliò: -Attenzione! Qui si tocca! Sotto di noi la materia della nebula, da fluida che era sempre stata, cominciava a condensarsi».
- «Cose con cui giocare non ce n'erano mai state. E come volete che giocassimo? Con quella pappa di materia grossa?».
- La nonna Bb'b credeva «che la materia fosse in espansione uniforme, e, per esempio, l'immondizia bastasse buttarla lì come capita per vederla rarefarsi e vederla scomparire via lontano».
- «La novità era questa: che nella nebula se non si stava attenti si affondava».
Con la giocosità e la leggerezza di Ludovico Ariosto dell’Orlando Furioso racconta di come il Sole, ancora una giovane stella, fosse inizialmente dubbioso e insicuro riguardo al proprio ruolo nel sistema nascente, mentre i vari pianeti e corpi celesti cominciavano a distinguersi e ad assumere le proprie orbite e identità. I pianeti, ancora in fase di formazione e crescita, vivono sentimenti di competizione e gelosia, come fratelli in una famiglia che si stanno contendendo l'attenzione e l'affetto dei genitori. Le rocce, il gas e il materiale interstellare sono dotati di desideri e timori, come la paura di non riuscire a condensarsi in corpi solidi o la speranza di diventare qualcosa di importante e riconoscibile.
Ecco come descrive il momento cruciale, ricco di meraviglia e di mistero, in cui l'universo viene illuminato per la prima volta: «Stavamo scrutando questo buio attraversato da voci, quando avvenne il cambiamento: il solo vero grande cambiamento cui mi sia capitato d'assistere, in confronto al quale il resto è niente. Insomma: questa cosa che cominciò all'orizzonte, questa vibrazione che non somigliava a quelle che allora chiamavamo suoni, né a quelle dette adesso del “Si tocca!”, né ad altre; una specie di ebollizione certamente lontana e che non lo stesso tempo avvicinava ciò che era vicino; insomma: a un tratto tutto il buio fu buio in contrasto con qualcos'altro che non era buio, cioè la luce». Sentiamo risuonare nelle parole di Calvino il respiro cosmico di Lucrezio del De Rerum Natura: Quae bene cognita si teneas, natura videtur libera [Se tu comprendi bene queste cose, la natura ti sembra immediatamente libera]. E così il nostro io si libra e appartiene all’universo. Grazie Italo.