Nel ciclo ariostesco di Palazzo Besta in Teglio troviamo due affreschi, e tre scene, dedicati al mostro lupesco dell’Orlando Furioso, citato misteriosamente nel contesto della “Fontana di Merlino”, al Canto XXVI, 31-36. Nel testo sembra un’allegoria dantesca di tipo morale e profetico/messianico, nei dipinti rivela la sua profonda natura ermetica. Di ariostesco nei dipinti c’è solo la combinata mistura di lupo, volpe e leone a configurare il mostro, il resto, cioè le scene in cui agisce e le orecchie da asino, è frutto del genio creativo e della cultura misterica della metà Cinquecento.
Nella prima scena il mostro lupesco si scatena nel massacrare varietà di umanità, fra cui un Re (oro o Sole), un Papa (Argento o Luna), e vari dignitari (gli spiriti dei metalli volgari). Sembra una scena tratta dal topos dei Trionfi della Morte.
Nella seconda scena del medesimo dipinto ecco una folla di risorti, più numerosa di quella massacrata, che sembra adorare il Mostro eretto su di una colona vermiglio/porpora. La folla sono gli spiriti dei metalli, ora riuniti e concordi, che vegliano nella cottura nella speranza dell’alba della Pietra filosofale. La colonna di sangue e di fuoco è anche la colonna della flagellazione e una Croce. Sulla base la quadratura del cerchio, la terra che arde, infissa, e risalente. La colonna quel cinabro rettificato ed esaltato.
Nella terza scena e nel secondo dipinto, appare opportuno cercare di approfondire l’episodio decisivo: l’uccisione rituale del Lupo ermetico. Analizziamo i quattro personaggi simbolici che partecipano al cerimoniale sacrificale e trasmutativo.
La prima figura è un uomo, l’unico, che appare chiuso ermeticamente nella sua armatura di ferro/stagno lucente, e mostra una mano sinistra chiusa e con l’indice alzato al Cielo, lo stesso gesto di Tommaso nell’Ultima Cena di Leonardo. È il rugginoso Marte, con la sua lancia scura dalla punta chiara e la spada scura rinfoderata. Non combatte, ma sembra incitare al combattimento indicando la meta finale: trarre, scoprire, favorire l’emergere della Cosa Unica. Con la lancia tiene sotto vigilanza il Lupo, cioè l’antimonio.
Il secondo personaggio è una donna a piedi scalzi e con tunica rosa/cenere, i capelli fulvi mezzi raccolti e mezzi disordinati. Colpisce nelle reni il Lupo con una mazza aurea. È Venere, e indica il rame e il cuore. La seconda donna appare aurea, con i capelli fulvi raccolti, sempre a piedi scalzi. Brandisce una spada aureo-argentea con la quale trapassa le reni e il ventre facendo sanguinare il Lupo e un compasso scuro che alza al Cielo aperto a 45°, a tangere il ceruleo Monte e il ceruleo Cielo. Questa donna indica Giove e Saturno, in congiunzione. La terza ninfa, rossa e scarmigliata, non colpisce nel punto dove hanno colpito le altre due, ma spezza una colonnetta di marmo venato sul capo del Lupo, tenendola con entrambe le mani. La porpora spezza il minerale che fissa il mostro fiammante.
Ma di cosa è composto il mostro violento, poi vinto da cotale nobile concorde schiera? Di lupo, o antimonio, di volpe, mercurio, di leone, zolfo e di asino, forse un acido o un sale. Il Lupo ucciso indica la fissazione e la glorificazione dell’antimonio, legante e reagente con tutti i composti dell’Opera in un fecondo abbraccio sacrificale, per poi scomparire nel Fuoco. Cristo crocefisso quale Antimonio trionfante. Secondo lo Zolla di Discesa all’Ade e resurrezione la gloria della regalità persiana corrispondeva alla congiunzione astrale di Saturno, Giove e Marte.
All’inaugurazione di Persepoli Mercurio era congiunto con Giove e la Luna. Sopra brillavano Aquila, Scorpione e Leone. Il Sagittario li trafigge.
Il mostro compare nell’Orlando associato all’ermetica ed edenica fontana di Merlino, sapienza occulta, sonno di cottura e di incanto. Non a caso l’affresco settecentesco della volta resta coerentemente in tema con il percorso ermetico del ciclo ariostesco cinquecentesco raffigurando la Regina di Saba che incontra Salomone, emblema biblico-ermetico.
L’uccisione del Lupo, quindi, indica la necessità di controllare l’utilizzo dell’antimonio nell’opera di fabbricazione dell’oro filosofale in modo che tale elemento non cresce a dismisura né diventi un mostro occupando anticristicamente il ruolo centrale dell’Oro.