Bisogna uscire dai classici percorsi turistici, quando i negozi e il via vai di via Toledo si diradano e lasciano il posto alle case popolari, puntare verso Capodimonte percorrendo una via trafficata e dal marciapiede risicato e fermarsi a metà, quando sul tornante si vede sorgere la Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio. Una chiesa di recente costruzione (terminata nel 1980) voluta da Maria di Gesù Landi, espressione del culto popolare cittadino che lega il dipinto della Madre del Buon Consiglio al salvataggio della città dal colera e dall'eruzione del Vesuvio.
La scelta del luogo di costruzione non è casuale e traccia un filo diretto con la tradizione: la Vergine volle che venisse costruita proprio sulla collina dove secoli prima erano state scavate le catacombe di San Gennaro.
Guardando la facciata della basilica, a sinistra, incastonato fra due colonne, si trova l'ingresso a questo mondo sotterraneo. Non è l'unico. La città offre altre possibilità di scendere nelle sue viscere, ma questo è quello che nasconde un progetto ambizioso, non solo architettonico. Cento scalini sono sufficienti per far scorrere le lancette dell'orologio all'indietro ed arrivare all'origine del rapporto fra Napoli e il suo protettore per antonomasia: San Gennaro.
Queste catacombe, fra le più grandi del sud Italia, sono considerate il più importante monumento del Cristianesimo della città partenopea e si sviluppano su due livelli non sovrapposti, scavati nella collina tufacea di Capodimonte. La facilità di lavorazione di questa pietra, ha permesso di ottenere degli spazi ampi che subito colpiscono una volta entrati negli spazi sepolcrali.
L'architettura di questo spazio si genera da un primo nucleo molto antico, risalente al II secolo d.C., che man mano si amplia per il crescente numero di cristiani presenti a Napoli. Nonostante le aggiunte si presenta come un ambiente dal progetto unitario.
Ma come siamo giunti alla forma odierna? Probabilmente, originariamente, qui sorgeva una tomba di dimensioni contenute appartenuta ad una famiglia gentilizia romana che, successivamente, donò gli spazi alla comunità cristiana. Il primo ampliamento è rappresentato da un vestibolo con soffitti, alti fino a sei metri, realizzato alla fine del III sec d.C. per accogliere i resti di Sant'Agrippino, considerato il primo patrono di Napoli. I fedeli si affollavano per venerare il santo al punto che nel IV secolo d.C. si decise di scavare nel tufo una basilica a navata singola, caratterizzata da una sedia vescovile e da un'altare con un'apertura che lasciava intravedere ai fedeli la tomba del santo.
Vista la grande devozione che accompagnava Sant'Agrippino, è facile intuire che molti fedeli volessero essere sepolti vicino al vescovo. Per questo in adiacenza alla basilica si sviluppa, secondo un sistema reticolato, la cosiddetta “catacomba inferiore”. Oltre ai diversi tipi di tombe e ai diversi metodi di chiusura di essi, è possibile ancora scorgere nelle nicchie più grandi i decori che spiccano per la cura della rappresentazione dei volti e di una vite con i tralci. In particolare queste sono presenti negli arcosoli, le nicchie ad arco in cui venivano sepolti gli appartenenti alle famiglie più ricche.
Nell'VIII secolo d.C., la catacomba divenne rifugio del vescovo Paolo II. Non gli era più permesso professare all'interno delle mura della città a causa dello scoppio delle lotte iconoclaste, per cui fece costruire un fonte battesimale nel vestibolo datato III secolo d.C. Le catacombe si trovavano extra moenia e Paolo II continuò a somministrare i sacramenti a coloro che volevano diventare cristiani.
Se la storia della catacomba inferiore è legata Sant'Agrippino, quella superiore, invece, è legata a San Gennaro. Anche in questo caso tutto ha origine da un primo sepolcro datato III secolo d.C., riconoscibile dalle pitture in stile pompeiano, considerate fra le più antiche pitture sacre del sud Italia.
Nel V secolo si decise di traslare dall'Agro Marciano in questi spazi le spoglie di San Gennaro, caduto martire nel 305 d.C. San Gennaro era già venerato in città, e come avvenuto per Sant'Agrippino, i fedeli giungevano in massa e molti di loro volevano essere sepolti vicino al Santo. Le catacombe furono ampliate con nuovi ambulacri e, data la crescente richiesta, si optò per porre delle sepolture dei meno abbienti anche a terra. In uno degli ambulacri è ancora visibile una delle più antiche rappresentazioni di San Gennaro.
Continuando il parallelismo con il livello sottostante, anche in questo caso fu costruito un luogo di culto vero e proprio. Dal V secolo d.C. venne scavata nel tufo la basilica adjecta, un'imponente costruzione interamente scavata nel tufo, a tre navate, delimitata da tre archi, le cui pareti sono costellate di spazi per le sepolture.
Sempre di questo periodo è la Cripta dei Vescovi, dove sono contenuti dei mosaici del V sec d.C. raffiguranti i 14 vescovi di Napoli, il cui più pregevole raffigura il vescovo di Cartagine San Quodvultdeus. La vicenda della scoperta della tomba di San Gennaro è legata a questa cripta. Incrociando le informazioni ricavate da un'omelia del IX/X secolo e da un passo del Chronicon dei vescovi di Napoli, gli archeologi giungono alle catacombe e individuano lo spazio antistante la cripta al tempo non visibile. Scorgono delle decorazioni e degli spazi decisamente più ampi rispetto a quelli riservati ai comuni mortali.
Decidono di scavare e rimuovere i detriti dell'area pensando che un santo così venerato dovesse necessariamente avere un luogo di sepoltura ampio e finemente decorato. Alla fine delle operazioni scoprono che la cripta era dedicata ai vescovi e della tomba non c'era traccia. Quando ormai la delusione era palpabile, una porzione del pavimento antistante la cripta cede a causa del peso dei detriti della demolizione. Cede perchè non era un pavimento, era la copertura di un vuoto che un tempo ospitava i resti del Santo più venerato di Napoli. Al momento la tomba è vuota in quanto i resti furono trafugati nell'831 d.C. da Sicone I, principe dei Longobardi, e portate a Benevento. Solo nel 1497 furono restituiti alla città di Napoli e posti nel Duomo.
Ma un tempo da dove si accedeva alle catacombe? Sicuramente non dalla collina di Capodimonte, bensì dalla Basilica Paleocristiana dedicata a San Gennaro costruita fra il V e il VI d.C. Durante i secoli ha subito diversi rimaneggiamenti, è stata sconsacrata e diventata anche deposito ospedaliero, ma sono ancora visibili le tre navate e l'abside semicircolare.
Il percorso di visita non segue l'ordine cronologico, ma gioca sull'immersività. Accompagnati dalle guide, in piccoli gruppi, si parte dalla collina di Capodimonte, si scende una scalinata e si entra nella catacomba superiore con la basilica abjecta e la cripta dei vescovi, si passa in un secondo momento alla catacomba inferiore con la basilica di Sant'Agrippino.
L'esperienza è resa ancora più scenografica grazie alla studiatissima illuminazione pensata da l'Officina dei talenti: attraverso la scelta del led l'architettura viene esaltata, ma non danneggiata. Il percorso si conclude nell'ex Basilica Paleocristiana, dove le guide raccontano che cosa rappresentano oggi queste catacombe oggi: una storia di speranza e di rinascita.
Le catacombe, infatti, sono gestite dalla Cooperativa Sociale La Paranza. Questa cooperativa nasce nel 2006 nel rione Sanità, uno dei quartieri difficili di Napoli. Partita con cinque sognatori, oggi la cooperativa dà un lavoro onesto a 40 persone, non solo archeologi, restauratori e storici dell'arte ma soprattutto giovani del Rione Sanità, in cui la disoccupazione giovanile è una delle più alte d'Italia.
Tutti credono nell'obiettivo di cambiare la città e danno il meglio nel proprio ruolo, sia esso servire i caffè al bar con un sorriso, tenere pulito il sito, gestire i visitatori in biglietteria, organizzare spettacoli nell'ex Basilica o narrare con passione e pazienza la storia a dispetto delle costanti interruzioni. E no, non sono i visitatori ma gli aerei che ogni venti minuti sorvolano il quartiere, perchè se il tuo quartiere è ai margini nessuno si farà scrupoli a farci passare le rotte aeree. Ma loro non si scompongono, anzi lo vedono come un'opportunità: quegli aerei portano dei turisti.
La loro sfida è far arrivare i flussi turistici italiani e stranieri al Rione Sanità. Ci hanno spiegato che più turisti si addentreranno nelle sue strade più verrà meno l'aura negativa della zona che così potrà inserirsi nel tessuto produttivo della città.
Per cui quando alla fine della visita, Valentina (la guida) ci ha chiesto se volessimo risalire all'accesso di via Capodimonte o uscire dal portone della Basilica che apre sul Rione Sanità, inutile dire che la maggior parte di noi si è diretta sicura verso il fondo della chiesa e come noi anche molti partecipanti alla guida in inglese.