“Ascoltami , i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati : bossi ligustri o acanti . Io, per me , amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla : le viuzze che seguono i ciglioni , discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti , tra gli alberi dei limoni”.
Fine giugno è quanto mai adatto per cavalcare una Vespa e scavallare pigramente i Colli di Fontanelle. Alle spalle avete lasciato gli uliveti, invero sparuti, che sovrastano Sorrento e d'improvviso vi trovate davanti la immensa vastità del Tirreno chiazzato di viola pallido, magenta e celeste. I monti Lattari alla vostra sinistra sono dolmen di pietra chiara che erompono dal mare mentre voi, veleggiando verso Positano, vi riempite gli occhi di insenature candide. Dovete regolare la velocità sui 50 orari, quel che vi basta per percorrere gli otto chilometri che vi separano da Positano ascoltando l'Intermezzo di Cavalleria Rusticana, l'Adagetto dalla quinta sinfonia di Mahler, la Pavane di Gabriel Faurè, se proprio siete di umore malinconico.
Fate attenzione alla strada. Poche curve prima della vostra destinazione su uno slargo panoramico troverete un ambulante che vende creme di limoncello e tralci di arance indigene, piante piegate dagli sforzi di generazioni per trasformare un albero nella casa di un semidio, tetti di rami sopra i terrazzamenti antichi aperti ai venti di libeccio.
Se guardate dall'altro lato della strada sulle rocce bianche in basso, sono annotate con mano incerta varie date con vernice rossa e pennello. Se ne chiedete spiegazione all'anziano gestore alzerà le spalle e vi farà cenno con l’indice nodoso e ossuto verso alcune scatole di cartone sul muretto di pietra a picco sul mare. Dentro occhieggia dai bordi una pittoresca famiglia di chihuaua, cinque generazioni di cagnetti ululanti riposano pigramente al sole. Il più vigile è il nonnino sdentato che conta i giorni che lo separano dalla sepoltura, all'altro lato della strada , dove sarà annotata a pennello solo la sua data di morte. Lasciatevi mordere gentilmente un dito da quelle gengive sdentate mentre assaporate uno spicchio di quei pomi portentosi.
Fino all'incrocio con via dei Mulini sarete rapiti dalla tenerezza di quell'incontro, poi lo spirito del luogo prenderà il sopravvento, anche se la dolcezza permarrà intatta. Via dei Mulini è un vicolo stretto da mura alte e irregolari che conservano il ricordo di orti antichi. Sulla destra una costruzione a un piano di mattoni e calce fa da quinta scenica a un agrumeto sospeso su una terrazza aperta al salmastro. Piante di mandarini e limoni e tavolini di ferro battuto sullo sfondo di una stretta vallata verde che digrada selvatica verso il mare. Siete entrati nel giardino delle Esperidi, un giardino di segrete delizie, dove si dischiude al savio e all’introspettivo la formula che mondi possa aprire.
La pasticceria è il clavicembalo ben temperato di qualsiasi chef, un prodigio che richiede esecuzione rigorosa, polso fermo, interpretazione filologica. Nessuna sorpresa nella carta, vi troverete tutti i capisaldi della tradizione campana, ma interpretati con rigore assoluto che giustamente nulla concede alla stravaganza. Le torte innumerevoli che si dischiudono alla visione come le sirene che richiamavano gli Argonauti sugli scogli di Antemoessa, hanno colori violenti e sensuali. Fragoline di bosco adagiate su pan di spagna lievi come ali di farfalle, delizie al limone che sono cupole di delicato desiderio odoroso.
Sul far della sera gli alberi di agrume arroventati dal demone meridiano spandono l’essenza delle foglie impregnate di olio essenziale e ottundono la mente di chi degusta. E’ il momento di acquietare i bollori dell’anima con una granita di gelso. Certo vi pentirete amaramente dell’assaggio.
Dopo, tutto il bancone del pasticcere all’angolo sotto casa sembrerà sciapito e insipido come una vecchia ciabatta consunta. Indulgerete a guardare la via lattea occhieggiare tra le foglie di un limone e il baluginare lontano di luci di una nave riflesse dal mare omerico e insondabile, degustando uno dei tanti liquori artigianali. Poi con la mente offuscata da tanta gioia scenderete verso la spiaggia di grossi ciottoli a ascoltare il rumore che fanno le stelle gocciolando sull’acqua.
“I cuochi poco ispirati si muovono soltanto tra ingredienti inusitati/
vapori di sigaro sottovuoto,/
quenelle di salmerino,/
quei piatti frequentati/
da chi cucina col moncherino...
Eugenio Montale II Limoni da Ossi di Seppia, Milano, 1925
Testo di Consuelo Cecconi