Ho poche certezze nella vita. Il marrone mi sta male, Leonardo Di Caprio meritava l’Oscar per la sua interpretazione in Django Unchained, e potrei mangiare ogni-santissimo-giorno l’Aringa in Bellavista di Doro. Vi chiederete cosa sia: un dipinto rinascimentale? L’ultimo singolo di Bello Figo? No, fuori strada. È un piatto che rasenta il divino. Semplice.
Un letto di verza cruda marinata, uno strato di cipolle rosse stufate e, a sovrastare, una mousse di aringa, rigorosamente servita a pallina di gelato, il tutto accompagnato da uvetta e panna acida. Semplicità è una parola che ritorna spesso quando si varca la soglia dell’Antica Trattoria da Doro - Osteria d’Italia Slow Food -, a Solagna, un paesino cristallizzato tra strette abitazioni di pietra bianca e viottoli adombrati, sulle rive del fiume Brenta, poco sopra Bassano del Grappa.
La si ritrova nella ricerca della materia prima e nello sguardo complice dei proprietari, consapevoli che, prendendomi qualche licenza poetica, o meglio cinefila, di troppo, La ricerca della semplicità è un grande ossimoro. Essere semplici, oggi, è un lavoro sporco, ma qualcuno lo deve pur fare. E questo lavoro lo fa, egregiamente, Giovanni Scapin assieme alla silenziosamente saggia Annamaria, con cui condivide la cucina oltre che la vita, e all’ineccepibile nipote Serse in sala. Sono loro i custodi di una tradizione culinaria bassanese che lascia respirare il passato più autentico nel presente più veloce, coniugando sapori afrodisiaci a consistenze, letteralmente, viscerali.
Giovanni, tra un cambio di occhiali e l’altro, mi racconta che Doro è il diminutivo di Isidoro, suo padre. “Abitando in un paese molto piccolo, ai piedi dei monti, tutti hanno un soprannome per distinguersi, una sorta di menda. Se arrivi e chiedi di Giovanni Scapin, ti rispondono; “Scapin chi?”, per trovarmi devi chiedere di Giovanni Doro.”
L’Antica Trattoria da Doro nasce poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1948, quando il padre acquisisce un’antica osteria dal fratello, con cui fino a poco prima lavorava assieme nella macelleria di paese. È sempre stata la tipica osteria veneta: un luogo di ritrovo e di socialità. Giovanni qui, tra questi tavoli, ci è nato e cresciuto. Certo, poi ha frequentato l’Istituto Alberghiero, ha viaggiato lavorando in altri ristoranti, ma i sapori e la filosofia trovavano sempre la via di casa, o meglio, dell’Osteria. Non condivideva il tipo di cucina che si stava evolvendo fuori, che mirava al mero profitto.
E ancora oggi, dopo più di trent’anni da quando è subentrato al padre, Scapin ama cucinare per il solo scopo di cucinare. Totalmente innamorato della materia prima che quotidianamente tratta, mescolando la sapienza all’ironia. È la conseguenza e l’evoluzione di quello che è stata e continuerà ad essere l’Osteria veneta.
Presa da un moto tanto nostalgico quanto curioso, gli chiedo se si ricorda quale fosse uno dei suoi primi piatti proposti. E la semplicità fa da padrona anche in questo caso: nel suo primo menù c’era la trota che gli preparava sua madre, da piccolo.
Non ha mai smesso di cucinarla, proponendola, negli anni, in almeno quindici diverse versioni. Gli unici, forse, a resistere con un pesce che non è dei più nobili, anzi, sottovalutato da molti nella ristorazione, ma che segna un legame molto profondo con la territorialità locale. Questo è quello che il fiume Brenta offre, a chilometro zero.
Nonostante, nel 2023, per un ristoratore sia sempre più difficile acquistare tutti i prodotti in maniera consapevole e rispettosa della territorialità, Giovanni si affida quasi totalmente ad una filiera di produttori locali. Dall’agricoltore che gli vende i pomodori, a quello dei cappucci di montagna.
E questa interdipendenza con la sua terra si riflette nel prestigioso ruolo di Presidente della Categoria Ristoratori Bassanesi, per il quale è stato eletto recentemente, a Maggio 2023. Condivide con i colleghi una grande responsabilità oggi, di cui mi porta un esempio vivido.
“In programma durante l’estate, come di consuetudine, c’è stata la tradizionale Cena sul Ponte di Bassano del Grappa, dove sono stati invitati molti food blogger. A mio avviso, la rotta dovrebbe andare nella direzione esattamente opposta, sono i food blogger che dovrebbero venire a noi ristoratori, non il contrario. Sono la nostra cucina ed il nostro territorio che devono parlare, ed è vero, anche attraverso una lingua più innovativa.
Credo che sia questo lo scopo della nostra cucina oggi: innovare, fare qualcosa che gli altri non fanno. Non so se ci riusciremo, ma abbiamo una buona base di partenza.” Gli osannati food blogger mi fanno materializzare in mente una scena provocatoria. “Chissà se Giovanni guarda i video su YouTube per prendere ispirazione per i suoi menù...”.
Un affronto più che una provocazione, me ne rendo conto. Ma sono curiosa del processo creativo di uno chef, come nasce un piatto di Doro? Forse la domanda più difficile, si confida Scapin, fatica lui stesso a rispondere. Non lo sa. D’altronde mi dice essere un grande assaggiatore senza pregiudizi. Mangia ovunque, con curiosità, se lo invitassero a mangiare - estremizza - la nutria, la assaggerebbe. Non ha preclusioni di genere. Racconta che tutto quello che succede, succede nella sua testa, è lì che si uniscono i sapori e gli ingredienti. “I gusti sono qui dentro” indicandosi la fronte, “è tutto qui, letteralmente, perché non ho ricette scritte. Ed è un gran problema”.
Gli consiglio quindi di segnarsi la ricetta della nutria in un taccuino, non si sa mai, vista la stretta correlazione tra allevamenti intensivi e cambiamento climatico e la necessità di trovare nuovi cibi, i cosiddetti cibi del futuro. La sua visione è più filosofica che culinaria.
“Il cibo del futuro è il cibo che altre culture mangiano. Quindi è solo diverso, è un evolversi. Proverei anche la carne sintetica, per migliorare le condizioni ambientali derivanti dal consumo alimentare di massa. Almeno si sa da cosa è composta, ci sono invece improvvisatori culinari che non conoscono nemmeno l’ABC della cucina e della materia prima. Ecco, con sincerità, preferirei la carne sintetica.
Il cibo è come andare in piazza: prima parli con tutti e poi capisci con chi vuoi stare.” Un grande insegnamento. È proprio vero, il mattino oltre che l’oro, ha anche Doro in bocca.