Sofia Baldi Pighi, curatrice indipendente, è stata nominata come direttrice artistica (nonché head curator) della Biennale d’Arte di Malta da marzo a maggio 2024. Giovanissima, dal 2017 si occupa dell'incontro tra arte, patrimonio storico e paesaggistico attraverso mostre d'arte contemporanea, programmi pubblici e laboratori di arte-terapia ad hoc per istituzioni pubbliche e private. Inoltre ha fatto parte del team curatoriale del primo Padiglione Nazionale Italiano Che cosa sogna l'acqua quando dorme? per la quattordicesima Biennale di Gwangju in Corea del Sud, promossa dall'Istituto Italiano di Cultura di Seul, sostenuta dall'Ambasciata d'Italia in Corea, Quadriennale di Roma, e dalla European Media Art Platform, co-fondata dall'Unione Europea. Ad affiancare la direttrice artistica ci sarà l’architetto e artista maltese Nigel Baldacchino che, dato l’occhio sapientemente esperto per gli spazi, darà un notevole supporto al progetto espositivo; la curatrice e consulente Elisa Carollo (co-direttrice della Swivel Gallery di Brooklyn e New York e componente del gruppo curatoriale ed editoriale della Fondazione Quadriennale di Roma) che farà da unione tra la Baldi Pighi e gli attori della scena dell’arte contemporanea internazionale, quali gallerie e artisti; infine, a dare voce all’intera rassegna ci sarà la giornalista e produttrice culturale, Emma Mattei.
L’arte contemporanea animerà i luoghi più suggestivi dell’isola e della capitale La Valletta, patrimonio mondiale dell’UNESCO, i templi megalitici di Ġgantija a Gozo ed i palazzi maestosi nella città portuale di Birgu. Situata al centro del Mediterraneo, l’isola di Malta è un osservatorio ideale per interrogarsi sull’attualità dell’area e immaginare nuovi possibili futuri accanto alla visione degli artisti. La tradizione marittima di Malta risale a secoli fa e il suo ruolo cruciale nel corso della storia è stato quello di crocevia strategico nel Mediterraneo.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Sofia Baldi Pighi, chiedendole quali siano state le sue sensazioni dopo aver ricevuto questo incarico di privilegio.
«Sicuramente è stata una grandissima emozione. Da una parte è una grande opportunità d’immaginazione che ho e che la prima edizione di questa Biennale mi permette, dall’altra un po’ per il ruolo professionale, ossia l'incarico per cui sono stata scelta, posso avere uno spazio immaginativo veramente molto ampio, non avendo una tradizione di fronte alla quale inginocchiarci, come nei casi di Biennali storiche. Quindi il fatto di cercare di attivare sempre di più un territorio e di poterlo fare all'interno della cornice straordinaria dei beni culturali, mi dà davvero la possibilità di immaginarla come una Biennale un po’ punk» risponde la neodirettrice.
«Cosa mi aspetto da questa importante opportunità? Innanzitutto non vedo l'ora che arrivino gli artisti, poiché ovviamente come curatrice fremo nel voler vedere l'isola riempita da artisti maltesi, insieme ad artisti internazionali che lavorino alle proprie opere direttamente qui. Infatti, stiamo lavorando alla costruzione di un “production hub” per la Biennale con il fine di garantire dei luoghi agli artisti dove poter produrre. Questo sembra scontato ma non lo è affatto, dato che gli artisti non possono produrre le opere dentro una stanza d'albergo, ma hanno bisogno di luoghi preposti in cui poterlo fare. Ad esempio, un artista coreano che vuole venire a raccontare la sua visione nella biennale di Malta, certo non potrà viaggiare con un trapano e strumenti tecnici; quindi, abbiamo l’obiettivo di garantire anche un sistema e un ambiente che possa essere efficace ma soprattutto lavorare sulla teoria e sulla pratica in parallelo e in costante dialogo» aggiunge.
«Una delle tematiche sarà la questione migratoria. Come operatrici culturali non possiamo non raccontare il Mediterraneo come cimitero a cielo aperto, che è quello che stiamo vivendo e a cui stiamo assistendo al momento. Sappiamo che è un tema molto delicato e divisivo poiché si tratta della vita di altre persone. Lo facciamo attraverso la visione degli artisti e avendo molto chiaro che il nostro scopo non è quello di dare risposte su come risolvere o non risolvere questo tipo di questioni, anche perché le risposte deve darle la politica, non certo l'arte. Il nostro compito è generale, ossia creare dibattito, dialogo e discussione. Quindi vorrei provare a generare spirito critico fra il pubblico, fra gli artisti, in modo da avere ulteriori elementi su cui discutere, senza dover arrivare a un'opinione condivisa e omologata, non mi interessa avere consensi» spiega Pighi riguardo il tema centrale della Biennale.
Infine, ci spiega i suoi obiettivi: «Se ci riuscirò? Per ora sto lavorando di pari passo col mio team per portare in questa Biennale il pubblico che normalmente rimane escluso; quindi, coloro che fino ad oggi non hanno avuto un interesse nei confronti della cultura o nello specifico dell'arte contemporanea, Quindi sto sviluppando dei workshop ad hoc a partire dalla mostra, a partire dalle opere degli artisti, indirizzandoli a pubblici specifici, in modo da andarmi a rivolgere a loro, nello specifico, sia in termini di accessibilità, sia in termini comunicativi, raccontando le opere. Ad esempio, stiamo facendo dei laboratori per la comunità anziana di Malta ma anche per i bambini, per i teenager e per gli adulti, creando delle offerte didattiche. Dopo la pandemia abbiamo visto anche quante frizioni e polarizzazioni si sono create fra la popolazione più anziana e la popolazione più giovane, lo scopo dell’arte è quello di unire, non dividere. Inoltre stiamo lavorando anche su comunità specifiche, ad esempio abbiamo artisti che hanno deciso di lavorare con alcune associazioni non governative per i migranti. Insomma, sto cercando di lavorare il più possibile per cercare di far superare il confine dell'istituzione culturale che spesso può essere intimidatorio per motivi legati sia all'accessibilità della cultura, ma anche a motivi economici, dato che comunque spesso c'è dietro anche un privilegio economico che permette di accedere a certi livelli culturali e quindi sto lavorando su come rendere la soglia dell'istituzione culturale uno spazio di incontro e non di esclusione».