Oltre 146.900, fra spettatori e giornalisti, hanno condiviso emozioni, creato ricordi indelebili e reso il Locarno Film Festival ciò che è: una celebrazione del cinema, della diversità, della libertà di espressione, del senso di comunità e della creatività, contribuendo a mantenere vivo il cinema d'autore. È giusto sottolineare il senso di comunità, che si crea vedendo un film insieme ad altri, in sala. Questo infatti rafforza enormemente il messaggio contenuto nel film, producendo un legame fra gli spettatori.
Il Locarno Film Festival, per il ventitreesimo anno guidato da Marco Solari, è un grande festival per il coraggio e la cura nella selezione di nuovi registi, spesso dissacranti o molto motivati nella sperimentazione tecnologica. Ma insieme mostra film di grandi maestri, portatori di novità.
Non altrettanto condivisibile è l’attribuzione di alcuni premi a film nei quali l’arte di narrare è carente, anche se denunciano situazioni di malessere che inducono nello spettatore solidarietà e vicinanza. Se si sceglie di premiare un messaggio, non è detto si tratti di Arte. Il Pardo d’oro di quest’anno è andato ad un film iraniano, Critical Zone di Ali Ahmadzadeh girato clandestinamente, con molte riprese in macchina, per evitare una condanna a morte, dal momento che parla di spaccio di droga, che il governo oppressivo non ammette. Discutibile che si possa affrancarsi da un regime oppressivo drogandosi, ma è il modo di narrare che non avvince.
Il Pardo per la migliore interpretazione del Concorso Internazionale è andato a Dimitra Vlagopoulou in Animal di Sofia Exarchou, Grecia/Austria/Romania/Cipro/Bulgaria. La protagonista, che lavora in un gruppo di intrattenimento turisti in alberghi lussuosi, si trova pian piano svuotata di una vita sua.
Nel Concorso Cineasti del presente il Pardo per la migliore interpretazione è andato alla coppia Isold Halldórudóttir e Stavros Zafeiris in Touched di Claudia Rorarius, Germania. Di questo film si apprezza la capacità della regista di rendere attraente una donna obesa e di trattare con grande veridicità un difficile rapporto di coppia. Alla sua sapiente guida hanno risposto i due protagonisti, meritando appieno il premio ottenuto.
Vanno segnalati The old oak di Ken Loach, che ha ricevuto il premio del pubblico ed esce in Italia il 25 ottobre, e The essential truths of the lake del grande regista filippino Lav Diaz. Quest’ultimo con uno splendido bianco e nero, racconta della ricerca caparbia e coraggiosa che un tenente fa dei responsabili della scomparsa di un’attrice, ai tempi della dittatura di Duterte. Con benevola ironia, benché duri 3 ore e mezzo, lo si può considerare, nella produzione del regista, un corto perché Diaz fa film che superano le cinque ore. Ha una capacità unica di creare l’immagine del tempo, mentre assistiamo agli episodi di cui ci narra. L’attenzione rimane desta perché è un tempo reale quello che scorre lungo tutto il film. Con dolore prevedo che non arriverà nelle sale.
Già premiato nel 2016 con il Pardo d’oro come regista emergente, Eduardo Williams, brasiliano, è tornato con un film di alta tecnologia e insieme di profondi affetti. Si intitola El auge del humano 3, 2023 Argentina/Portugal/ Netherlands/ Taiwan/ Brazil/Hong Kong/Sri Lanka/Perù. Il lungo elenco di contributi provenienti da paesi diversi si spiega con il progetto del film, girato in tre paesi, allo scopo di sondare il modo di vivere e pensare dei giovani oggi. Di conseguenza gli attori sono di tre nazionalità. Il casting lo ha eseguito Eduardo di persona, per trovare una profonda corrispondenza con chi avrebbe lavorato con lui. Una grande umanità che si accompagna alla sperimentazione di nuove tecnologie nelle riprese, con effetti straordinari quando è inquadrata la natura. Ha usato una telecamera per la realtà virtuale, con 8 lenti, che dà possibilità di inserire nuovo materiale a scene già girate.
Un film indiano di grande fascino, Whispers of fire and water, di Lubdhak Chatterjee, India 2023, prima mondiale al Festival, racconta il lavoro di raccoglitore di suoni di un giovane artista, Shiva, la cui ricerca è osteggiata dalle istituzioni. È girato nelle più grandi miniere di carbone dell’India orientale, percorse da un fuoco centenario che dà loro colori sorprendenti. In questo scenario di degrado ambientale entra in crisi il protagonista, che abita un ambiente urbano “civilizzato”.
Un film, Shayda, di denuncia della società patriarcale iraniana, fatto da una regista iraniana esule a Parigi, Noora Niasari, ha ottenuto un posto d’ onore, la proiezione in Piazza Grande come film di chiusura, fuori concorso. La piazza, stracolma di pubblico, ha mostrato ancora una volta il suo attaccamento alle scelte del Festival. Il film è una narrazione avvincente di come sia difficile e rischioso volersi liberare di un marito violento. Anche se è emigrata in Australia con la figlia, per mettere una distanza fra lei e il marito, corre il rischio che le venga tolta la figlia per una legislazione che protegge gli uomini, anche se sono mariti violenti. Più di Critical zone, ha coinvolto il pubblico che ha chiesto cosa si può fare da fuori Iran per scardinare l’oppressione del regime verso le donne. Ha risposto la protagonista che ciascuno di noi può essere di supporto dando voce a questi soprusi.
Abbiamo scelto di parlare di questi film, fra quelli visti, per loro caratteristiche di novità e bellezza, o per l’interesse dell’argomento trattato. La vastità di questo Festival, oltre 300 film, raggruppati in 13 sezioni, rende difficile la scelta. Ma il lavoro di selezione delle opere recenti prodotte nel mondo è svolto con tale competenza che il livello di tutte le opere proiettate, corti compresi, ne rende interessante la visione. Senza contare che sono stati possibili approfondimenti su produttori, registi e attori, nelle numerose conferenze loro dedicate. Ciò permette allo spettatore di approfondire significati e tecnologie delle opere viste.