Il Medioevo comprende un periodo molto vasto che conta circa dieci secoli a seconda dei punti di riferimento cronologici; in questa epoca molte idee cambiano, si trasformano e mutano.

Convenzionalmente si data l’inizio del periodo medievale al 476 d.C. (caduta dell’Impero Romano) e si conclude con la conquista del nuovo mondo – le Americhe – 1492 (più in generale con l’imperatore Carlo V).

Quella di «Medioevo» è una convenzione cronologica che si è andata consolidando nella cultura comune dell’età moderna e contemporanea. Essa trae origine dalle riflessioni degli umanisti del Quattrocento e del Cinquecento, animati dalla speranza di una nuova era di rinascimento culturale e di ripresa complessiva.

Nel Medioevo si susseguono vari eventi a partire dalla caduta dell’Impero Romano che segna la fine di un epoca, le invasioni barbariche, la nuova religione che si impone (il cristianesimo) e il rapporto con l’Oriente, le grandi dinastie merovinge e carolinge che cercano di restaurare lo splendore romano, gli ottoni e le grande riforme monacali come Cluny, la nascita degli ordini mendicanti.

Queste sei righe precedenti raccontano in breve dieci secoli nei quali gli eventi più importanti sono sicuramente quelli riportati ma la storia non è fatta solo di eventi, la storia non è solo storiografia. Esiste un filo che ci lega e che lega tutti gli uomini e le donne del presente, del passato e del futuro. Quegli uomini siamo anche noi, eredi come gli altri del Medioevo. Se non ci fosse stato il Medioevo non ci sarebbe stata l’età moderna e se non ci fosse stata l’età moderna non ci saremmo stati noi uomini del 2000.

Quindi il concatenarsi di fatti porta l’uomo al suo sviluppo, porta l’uomo alla crescita e questo succede nella storia delle idee, quello che viene prima aiuta quello che viene dopo a crescere.

In breve, il Medioevo è il periodo dell’attesa per l’Europa, per descriverla con una figura campestre, evangelica: il tempo della semina, il tempo dell’attesa, il tempo della bocciatura e fioritura, il tempo del raccolto. Tutte le epoche concatenate tra loro sono contemporaneamente le cinque fasi e nello stesso momento peculiari una fase.

Il Medioevo, pertanto, è “tempo di semina” per quanto riguarda la tecnica, è “tempo di attesa” perché si attende l’epoca industriale, è anche “tempo di raccolto” visto che eredita la cultura classica.

Nella storia della tecnica soprattutto, quindi, il Medioevo è tappa fondamentale per giungere al progresso contemporaneo. Si veda l’invenzione degli occhiali, dei bottoni, della forchetta, ecc.

Quindi seppure la mentalità medievale, è ancora ricca di animali fantastici e storie inventate è pur sempre periodo di innovazione, la fantasia che porta al possibile, possibile che poi si realizza come “l’uomo volante” fantasia baconiana che diviene realtà quando la tecnica e la scienza portano alla luce l’elicottero e l’aeroplano.

Dunque, la parte successiva sviluppa il tema delle enciclopedie per rispondere alla domanda: dove risiedono i prodromi della scienza moderna così come noi la conosciamo?

Enciclopedia deriva dal greco e significa insegnamento circolare, deriva da ἐγκυκλοπαιδεία e prende l’accezione anche di “formazione di base”.

Il Medioevo elabora delle proprie “enciclopedie”, già a partire da Plino il Vecchio autore di Historia Naturalis nascono queste forme letterarie di consultazione.

Esempio tipico tra il II e il IV secolo è il Physiologus nel quale si raccolgono descrizioni di animali veri o presunti.

Nel IV secolo si sentì l’esigenza di rendere accessibile un trattato che avesse come soggetto la cura degli animali, si tratta delle Mulomedicina Chironis (Chironis identifica l’autore ovvero colui che agisce mediate le mani e guarisce gli animali) questo è un trattato di veterinaria.

Questa opera si può collocare in un periodo che oscilla dal IV sino al V secolo quindi in età tardoantica. In questo periodo si sviluppano trasformazioni linguistiche di notevole rilevanza. Testimone di questo cambiamento è la parola caballus.

“Mulomedicina” indica la medicina che ha come soggetto gli animali, è composto di dieci libri e argomenta sulle malattie dei suddetti e della loro cura. Essendo diviso in dieci libri racconta il novero delle malattie allora conosciute.

Fino all’VII libro tratta del cavallo (animale da soma per il lavoro nei campi); il IX e il X libro specifica sul bue, sulla pecora, sul maiale (animali da cortile). Il libro si sofferma sulla vita quotidiana e sulla vita dei campi, attività tipiche dell’uomo del IV – V secolo (in generale del Medioevo).

Le fonti della Mulomedicina sono la vita quotidiana nonché Celso, Ippocrate, Galeno in sintesi la medicina antica, appunto la medicina galenica.

L’autore della Mulomedicina è anonimo ma è dotato di cultura classica anche se utilizza i termini della lingua parlata soprattutto di ambiente sardo.

Un autore del VI secolo, Isidoro di Siviglia è ricordato soprattutto per l’uso delle etimologie. Isidoro apparteneva ad una famiglia in vista (il fratello era vescovo di Siviglia) e Isidoro alla morte del suo parente diviene vescovo della stessa città.

Isidoro è di origine greca e formazione romana, pur vivendo in una terra invasa dai Visigoti.

Tra le sue opere annoveriamo “la regola” dedicata al monastero in cui sua sorella (Florentina) aveva preso i voti, nel manoscritto si trova l’immagine, la descrizione della sorella.

Isidoro, come detto, non è solo legato alla famiglia, ai suoi fratelli, ma i suoi interessi sono enciclopedici, infatti, si occupa anche di commentare la Bibbia.

Scrive tre opere, successivamente unificate: Historie Gothorum, (storie dei Visigoti); Sueborum et Wandalorum.

Isidoro si interessa di “scienza” e di “natura delle cose”. Lo stesso titolo (De rerum natura) lo ritroviamo anche in Beda il venerabile, infatti esse sono opere simili.

Maestro per entrambi, Isidoro e Beda è il già citato Plinio il vecchio, da ciò comprendiamo che sono legati al contesto classico. A differenza dei pagani i due autori credono che tutto il cosmo sia creazione di Dio; quindi, vi è un riadattamento dei generi pagani in contesto cristiano. Tutto rientra nell’immagine del cosmo e nella creazione da parte di Dio.

Nell’opera di Isidoro, Etymologiae, come ribadito, importanti sono le etimologie, quindi la ricerca dell’origine di una parola.

Etymologiae di Isidoro è opera incompleta. L’intento è cercare di conoscere quello si vede nel creato e Isidoro lo fa attraverso l’etimologia. Quindi attraverso il nome cerca di conosce la cosa, qui riscopriamo il rapporto tra nome e cose di platonica memoria.

Trovare l’etimologia significa, per Isidoro, parlare di verità. Le etimologie che troviamo riguardano gli angeli, Dio e poi l’uomo. Nelle pagine successive spiega cosa è grammatica, retorica, dialettica, ovvero le arti liberali; così parlando delle varie materie imbastisce un discorso intorno a Dio, angeli, cose (come, ad esempio, i fenomeni atmosferici o le piante e gli altri soggetti di natura).

Ricordiamo, infine, che Isidoro lavorava alle schedula, ovvero le schede.

L’intento dell’autore e delle sue opere è la ricerca della verità che, secondo lui, si poteva effettuare attraverso l’origine delle parole. In sintesi, l’origine delle parole fa conoscere la cosa. Attraverso le cose e i loro nomi conosciamo la verità.

Isidoro scrive anche: De differntie verborum (differenza dei nomi con significati) e Lamentatio anime peccatricis (opera di tipo linguistico, dove si scelgono delle parole relative alla penitenza dell’anima per trovarne le etimologie, questa opera, per certi versi somiglia alle Confessioni di Agostino ma per altri versi è molto diversa).

Tra gli enciclopedisti del Medioevo si cita Rabano Mauro in De rerum naturis: composta in ventidue libri tra l'842 d.C. e l'846 d.C. e dedicata prima ad Aimone, vescovo di Halberstadt, e successivamente a Ludovico il Germanico.

L'opera si configura come un rifacimento delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, che Rabano riscrive con pochi tagli e molte aggiunte tratte da passi della Bibbia o dei Padri: quando è possibile, viene individuato per ogni lemma delle Etymologiae un corrispondente passo biblico e ne viene fornita l'interpretazione secondo la consueta prassi esegetica, mentre sono eliminate molte delle citazioni dai classici presenti in Isidoro e le voci che non avevano riscontro nella Bibbia.

Di fatto, Rabano realizza una sorta di “dizionario biblico”, in cui il testo di Isidoro è lo spunto (così come i versetti biblici lo sono nei commentari) per iniziare una trattazione che mira a penetrare nel suo significato più profondo il testo sacro, chiarendo il significato morale o tipologico che ogni termine assume nel contesto scritturale.

Il De rerum naturis rende evidente la funzione che la Bibbia assume nel Medioevo e in particolare nell'epoca carolingia, ossia quella di essere la chiave per l'interpretazione di ogni aspetto del mondo.

In base a questa logica, è infatti possibile interpretare tramite la spiegazione della Scrittura tutta la realtà: il mondo è simbolo e specchio dell'insegnamento divino, e si configura come un insieme di segni che Dio stesso, rivelandosi all'uomo come si era rivelato nella Bibbia, gli fornisce perché ne ricavi insegnamenti spirituali.

Anche la struttura dell'opera si presenta come fortemente modificata rispetto a quella di Isidoro.

I primi libri delle Etymologiae sono dedicati alle arti liberali, all'interno di un impianto epistemologico ancora tardoantico che le considera vie di accesso a un sapere che l'uomo può conquistarsi con lo studio, mentre la Bibbia e le scienze ad essa collegate sono trattate all'interno dell'opera (libri VI-VIII).

Rabano invece dedica i primi libri del De rerum naturis alla materia teologica più stretta, e solo successivamente trovano spazio tutti gli altri argomenti, che ne derivano in subordine (dalla sfera spirituale si passa agli esseri creati e in particolare all'uomo, con le attività, scienze e arti che gli sono proprie). Anche l'impianto generale dell'opera sembra quindi sottolineare come la conoscenza non sia una conquista dell'uomo, ma un'elargizione di Dio.

Nel novero dei personaggi che si dedicano al genere enciclopedico si possono citare Didascalicon di Ugo di San Vittore; De philosophia mundi Guglielmo di Conche; De imagine mundi Onorio di Autun; De naturis rerum Alessandro Neckham; De proprietatibus rerum Bartolomeo Angelico; De nature rerum Tommaso da Cantimpre; Opere naturalistiche Alberto Magno; Speculum Vincenzo di Beauvais; Speculorum divinorum et quorundam naturalium di Enrico Bate; le varie opere sulla tecnica di Ruggero Bacone; Raimondo Lullo; Jacopo di Sanseverino; Tesoretto di Brunetto Latini; La composizione del mondo Restoro d’Arezzo; Allegorismo universale Riccardo di San Vittore.

Il mondo medievale si configura ricco di personaggi, miti, religione e arte, poesia e filosofia, teologia, lusso e povertà.

Epoca di contrasti e controsensi, in questo contesto anche le opere etimologiche possono consegnarci una verità, quella dell’uomo dell’epoca medievale, il quale osserva quello che gli è intorno e lo descrive per quelle che sono le sue conoscenze. Questo è quello che il sapere enciclopedico ci consegna.

Come l’uomo contemporaneo, dunque, anche quello medievale scrive mediate le sue categorie il mondo che vede. Sarà questo uomo con le sue intuizioni che ci condurrà all’epoca della tecnica e alla rivoluzione scientifica.

Bibliografia

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