La città di Anzio, è situata sul litorale laziale a sud di Roma dalla quale dista 58,500 km, mentre il porto commerciale e turistico dista dalle foci del fiume Tevere 50 km.
Anzio possiede una storia antichissima che affonda le sue radici nel mito. Abitata prima dai Latini, poi dai Volsci, divenne colonia romana nel 338 a.C. dopo la “battaglia latina”, in quella occasione i Romani catturarono le navi anziate e con i rostri ornarono nel Foro Romano la tribuna degli oratori.
In età imperiale la città raggiunse il suo massimo splendore, del quale, tra l’altro, sono testimonianza i resti del Palazzo imperiale, c.d. “Villa di Nerone”, dal nome dell’imperatore nato il 15 dicembre del 37 d.C. proprio ad Anzio. Lucio Domizio Enobardo, poi Nerone, fu il più giovane imperatore che Roma aveva avuto fino a quel momento, designato al potere supremo a soli 17 anni. Lo stesso Nerone fece realizzare il porto di forma circolare, il quale contribuì in modo determinante alla prosperità di Antium.
La Villa imperiale
L’area della Villa imperiale di Anzio si sviluppa oggi per circa 800 metri, tra il Capo d’Anzio, dove si trova il moderno faro, e il cosiddetto Arco Muto.
L’archeologa triestina Valnea Santamaria Scrinari nel suo testo del 1975 ripercorre la vita della residenza anziate proponendo sette fasi di realizzazione e modifiche. Il complesso subì infatti nel tempo numerose trasformazioni in base ai gusti e alle volontà degli imperatori che di volta in volta abitarono la Villa o semplicemente erano al potere a Roma.
È tuttavia la fase definita “neroniana” che spicca per monumentalità e grandiosità, degna di un imperatore che amava essere considerato alla pari di un dio.
A questa fase risalgono i resti delle murature a semicerchio addossate in parte alla parete di tufo e degradanti verso il mare. Mediante lunghi corridoi e scalinate gli ambienti superiori erano messi in comunicazione con quelli costruiti sul mare su una piattaforma sostenuta da palizzate lignee.
Dietro il promontorio di Capo d’Anzio, l’odierno Faro, venne costruita una darsena da diporto e di servizio per le piccole imbarcazioni imperiali. Si realizzò in questa fase anche un acquedotto con cisterne rinvenuto più a nord dell’Arco Muto.
Verso l’interno, invece, la villa si articolava in ninfei, padiglioni, terrazze e giardini con fontane. Nei vasti locali al chiuso si tenevano anche spettacoli d’intrattenimento per l’imperatore e la sua corte.
L’arredo scultoreo
In tutte le fasi il Palazzo imperiale era arricchito da uno straordinario arredo scultoreo, con la caduta dell’Impero Romano Antium decade progressivamente, così come la Villa e le sue sculture, abbandonate fino al XVII secolo quando alti prelati della corte papale e nobili (Colonna, Pamphilj, Albani, Borghese) scelgono questo luogo per villeggiare, cacciare e soprattutto effettuare scavi archeologici che gli consentirono di arricchire le proprie collezioni d’arte private.
Inoltre, mercanti d’arte e antiquari reperirono ad Anzio antichità di ogni genere, attraverso acquisti, scavi, scambi, vendite avviando una notevole circolazione non solo in Italia ma in tutta Europa.
Nel tempo questo immenso e straordinario patrimonio archeologico anziate è andato “disperso” nei principali musei italiani ed europei (Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, Museo dell’Ermitage, Musei Vaticani, Museo Nazionale Romano, Gliptoteca di Monaco di Baviera, Museo del Louvre e molti altri) rendendo pressoché impossibile una archiviazione esaustiva.
In realtà vanno ricordati alcuni studiosi che hanno tentato l’impresa come Padre Francesco Lombardi (il suo libro edito postumo è nel 1865), Richard Neudecker (1988), Francesco Paolo Arata (2002, 2005) e Giuseppina Alessandra Cellini (2019).
Tra i Musei che conservano reperti provenienti da Anzio ne citiamo alcuni di Roma, questo sia per la quantità e qualità delle opere, ma anche per la vicinanza con Anzio e quindi per la facilità di una visita.
Reperti “dispersi” ai Musei Vaticani
Molto probabilmente la raffinata statua in marmo del Vecchio Pescatore faceva parte della decorazione di un ninfeo che animava il giardino di una fastosa villa romana della metà del II sec. d.C. prospiciente il mare di Antium. La statua riflette l’immagine di un pescatore dal volto rugoso e dalla pelle avvizzita, consunto dall’età, dai malanni e dalle difficoltà della vita.
La scultura realizzata in marmo greco insulare datata nel 130-150 d.C. raffigura un pescatore di età avanzata in dimensioni reali (altezza cm 167,5). L’uomo manifesta un fisico usurato dalla dura fatica quotidiana ed è colto in un’espressione di affaticamento, con il corpo curvo in avanti e la bocca aperta. Il braccio sinistro, segnato da sporgenti vene, è disteso lungo il fianco per sostenere con la mano il manico di un piccolo secchio ricolmo di pesci, il braccio destro è piegato in avanti e originariamente sosteneva una canna da pesca. La testa è stempiata e il volto barbato è inciso da rughe profonde.
La statua del Vecchio Pescatore, normalmente musealizzata ai Musei Vaticani è tornata nell’estate del 2019 ad Anzio, in occasione di una mostra a lui dedicata allestita al Museo Civico Archeologico.
Reperti “dispersi” alle Terme di Diocleziano
Le Terme di Diocleziano a Roma conservano diversi reperti provenienti da Anzio. Tra questi, dalla c.d. “Villa di Nerone”, il grande mosaico pavimentale del III secolo d.C. con Ercole e Acheloo. Al centro, tra un’elegante decorazione vegetale, è rappresentato Ercole, riconoscibile dalla clava e dalla pelle di leone, vittorioso nella lotta contro Acheloo, dio fluviale e suo rivale per la conquista della giovane Deianira. Nell’immagine Ercole tiene in mano il corno appena strappato dal capo sanguinante di Acheloo che durante la lotta si era trasformato prima in un serpente, poi in un toro.
Sempre proveniente dalla Villa imperiale troviamo inoltre la scultura in marmo bianco a grana grossa raffigurante Hermes tipo Ludovisi (o tipo Loghios), datata all’età Flavia (seconda metà I sec. d.C.) e rinvenuta nel 1932. Il dio, raffigurato con il capo coperto dal petaso (cappello alato) e il caduceo (bastone da messaggero) nella mano sinistra, doveva mostrare il braccio destro, qui mancante, proteso in avanti. Il modello, da cui deriva la scultura e di cui sono note altre repliche di epoca romana, si attribuisce a un maestro greco, probabilmente attico, attivo intorno alla metà del V sec. a. C.
Sempre alle Terme, nel chiostro Minore, è conservato un toccante Indictio che riguarda Claudia, figlia di Nerone e Poppea. L’Indictio è datato al 63 d.C. ed era posto originariamente nel Tempio della Concordia sul Campidoglio. Ci fa sapere che il 21 gennaio del citato anno nasce ad Anzio Claudia, figlia di Nerone e Poppea, quel giorno gli arvali sciolgono i voti pronunciati per il parto e la salute della donna e poco dopo celebrano il solenne rientro della coppia imperiale a Roma. La piccola Claudia morirà quattro mesi dopo ricevendo moltissimi onori, primo tra tutti la divinizzazione.
Reperti “dispersi” a Palazzo Massimo
La Fanciulla di Anzio rinvenuta il 23 dicembre 1878 nella Villa imperiale, può essere vista come l’emblema della rivalutazione culturale e dell’educazione femminile nei primi secoli d.C. Ella infatti, probabilmente collocata proprio all’ingresso della biblioteca della Villa, può essere vista come la custode del luogo. Questa, però, è solo una delle interpretazioni che nel tempo gli studiosi hanno attribuito a questa scultura. Dal 1878 al 1908 la statua è stata conservata in Villa Sarsina poiché era stata ritrovata nel territorio anziate appartenente al principe Ludovico Chigi Aldobrandini. Lo Stato italiano l’ha poi acquistata per la notevole somma di 450.000 lire e dal 1998 è stata collocata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, dove è esposta tutt’oggi.
Dalla Villa imperiale di Anzio, area del Faro, nel 1930 è stato rinvenuto il gruppo marmoreo, precisamente in marmo pentelico raffigurante Amazzone a cavallo e barbaro, metà del II sec. d.C. Un’Amazzone, in bilico su un cavallo impennato, si scontra con un barbaro che, in procinto di soccombere, tenta di sferrare l’ultimo colpo. L’opera deriva da modelli di età ellenistica, di scuola pergamena (seconda metà del II sec. a.C.). il gruppo era esposto nella villa a pendant con un altro di tema analogo, rinvenuto nel 1610, oggi nella Galleria Borghese.
Sempre proveniente da Anzio, a Palazzo Massimo troviamo l’Apollo tipo Anzio (fine I-inizi II sec. d.C.), rinvenuto nel 1937. Il carattere ambiguo e multiforme della divinità si manifesta in quest’opera attraverso l’aspetto femmineo, evidenziato dall’acconciatura con l’alto nodo di capelli. L’identificazione con il dio è confermata dalla presenza del serpente, attributo del dio, conservato in altre repliche dello stesso tipo. La creazione originale greca, ispirata alla produzione dello scultore greco Prassitele, è databile nella seconda metà del IV sec. a.C.
Reperti “dispersi” ai Musei Capitolini
Tra i capolavori provenienti da Anzio custoditi nei Musei Capitolini troviamo, nella Sala del Fauno del Palazzo Nuovo, tre Are, l’Ara Neptuni, l’Ara Ventorum e l’Ara Tranquillitatis, le cui copie sono oggi nel Museo Archeologico di Anzio. I tre altari vennero rinvenuti nell’area dell’antico porto romano di Anzio in occasione dei drenaggi realizzati per l’edificazione del porto moderno alla fine del XVII secolo per volontà di Innocenzo XII. Gli altari in marmo bianco a grana fine, sono datati alla fine del I sec. d.C., ed hanno forma di colonna cilindrica di poco superiore ai cm 60.
Nella sala degli Imperatori del Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini troviamo due busti provenienti da Anzio, quello di Clodio Albino e di Commodo.
Il primo, appartenuto alla collezione del cardinale Albani è ben conservato e di alta qualità artistica, realizzato in marmo è datato 193-195 d.C. sviluppando una altezza totale di cm 83, mentre la sola testa cm 30. L’imperatore indossa una tunica con maniche sfrangiate con sopra la lorica a scaglie di serpente decorata con testa di Medusa affiancata da protomi leonine. Clodio Albino è contraddistinto da una folta barba e capigliatura con brevi ciocche semilunate.
Anche il busto di Commodo è appartenuto alla collezione del cardinale Albani ed è stato rinvenuto ad Anzio nel 1725. Realizzato in marmo tra il 180 e il 192 d.C. oggi si presenta dopo aver subito un consistente restauro integrativo nel Settecento che ha interessato la parte anteriore della testa, ampio settore delle ciocche dei capelli sulla fronte e dei riccioli della barba. Successivamente all’intervento citato, la testa reintegrata venne applicata ad un busto antico di epoca adrianea.
Sempre ai Musei Capitolini è conservato il pregevole manufatto in bronzo, dalle importanti dimensioni (alt. cm 70, diam. max cm 52), datato tra la fine del II-inizi del I sec. a.C., è stato rinvenuto nel 1740 durante drenaggi effettuati nell’antico bacino portuale di Anzio. Si tratta del Cratere di Mitridate, dono del Re del Ponto, Mitridate VI Eupatore, agli Eupatoristi di un Ginnasio greco, come testimonia l’iscrizione in lettere greche sul labbro del vaso.