Non guardate la vicenda con gli occhi di oggi, se non volete indignarvi, ma se volete capire, pensate al 1971, se il privilegio dell’età ve lo consente. E se per fortuna vostra, in quell’anno non eravate ancora nati, sforzatevi lo stesso di capire.
In quell’anno i Rolling Stones scapparono in Francia per sfuggire alle grinfie del vorace Fisco della Corona.
In quell’anno Mick Jagger e Bianca si sposarono a Saint Tropez, non distante dalla Villa dove si svolsero alcuni dei fatti che narriamo.
Alla villa Nellcôte di Villefranche-sur-Mer, in Costa Azzurra, i Rolling Stones registravano il loro album Exile on Main Street.
La villa era tutto un pullulare di amici, agenti discografici, giornalisti, simpatizzanti, fan, sostenitori, pusher…
Keith Richards decise di regalare a Mick Jagger, come regalo di nozze, mezzo chilo di cocaina purissima; un altro mezzo chilo lo volle tenere per sé.
Diede i due pacchi a due fratellini, di otto e sei anni, che stavano lì con il padre, che forse era stato il procacciatore della “roba”.
I due fratelli si chiamavano Jake e Charley Weber, figli di Tommy Weber, un aristocratico danese, cresciuto a Londra, amicissimo di Sterling Moss ed ex pilota di Formula Uno, amico anche di Richards, anche se inviso a molti del giro.
Ma non giudichiamo con gli occhi di oggi. Allora era tutto diverso. Il mondo sembrava diverso. La droga non sembrava ai disincantati e illusi giovani, quella maledetta, diabolica asservitrice e padrona che essa è! All’epoca sembrava una docile schiava che poteva condurci su onirici terreni di libertà, di affrancazione dai tabù, liberandoci dalle catene del conformismo millenario che ci inchiodava ancora al déjà vu.
La madre dei due ragazzi, Susan “Puss” Acoat, era una ricchissima ma fragile ereditiera, alla perenne ricerca di una maturazione spirituale che cercò di colmare nel modo sbagliato: assumendo le terribili pillole dell’acido lisergico (LSD) che presto la portarono alla schizofrenia acuta, curata allora con pillole e con l’elettroshock.
In quel 1971, mentre già pensava di riunirsi alla famiglia in Costa Azzurra, Susan morì, pare suicidandosi con un micidiale cocktail di quelle stesse pillole che avrebbero dovuta ricondurla alla perduta sanità mentale. «Nonostante tutto» ha dichiarato Jake Weber, oggi affermato attore a Hollywood «ho un ricordo felice di quei mesi trascorsi in Costa Azzurra, nell’entourage dei Rolling Stones».
«Anita Pallenberg, la fidanzata di Richards, che allora era incinta, anche se non sapeva se il nascituro fosse dello stesso Keith oppure di Mick Jagger, dato che dormiva regolarmente con entrambi» continua Jake «era molto materna con me e con mio fratello. Si assicurava che fossimo sempre ben vestiti e che avessimo mangiato adeguatamente. Cosa abbastanza agevole, dato che avevamo dei cuochi francesi pronti a cucinare qualsiasi cosa a nostra semplice richiesta».
«Anita era molto amica di nostra mamma Susan. Ma nessuno in quella villa dei sogni, piena di giochi, di piscine e di distrazioni, ci mancò mai di rispetto. Tutti erano affettuosi e riguardosi anche se l’alcool e la droga scorrevano a fiumi. E il sesso non era un tabù tra gli adulti. Ma nessuno ci mancò mai di rispetto. Ripeto: ho un ricordo felice di quegli anni, anche se mio padre era di tutto fuorché un padre e mia madre morì in quel modo che ho già narrato. E non ci mandarono neppure al funerale dato che sarebbe stato un trauma per noi assistere al funerale di nostra madre, morta all’età di 26 anni!».
Il padre dei ragazzi, Tommy Weber, è morto nel 2006 all’età di 66 anni, dopo una vita di dissolutezze e di esagerazioni.
L’altro figlio Charley oggi è un montatore cinematografico.
Una storia di ieri, piena di fascino e misteri. Raccapricciante per certi versi, ma avvolta in un alone quasi mitico, un po’ come tutte le storie di quei lontani anni Sessanta e Settanta.
Una storia che fa il paio con un’altra misteriosa vicenda pare avvenuta qualche anno prima, che sembra tratta da un film, ma che in realtà è uno dei capitoli della biografia che il chitarrista Keith Richards dei Rolling Stones, ha dedicato a uno dei tanti personaggi di contorno del famoso gruppo rock londinese autore di Satisfaction e di tanti altri successi internazionali nella sua sessantennale carriera.
Il suo nome era David Sniderman (poi cambiato in Daviv Jove per paura della vendetta degli Stones in seguito ai fatti narrati nel capitolo in esame), ma negli ambienti rock era conosciuto come il Re degli Acidi. Pare che l’uomo fosse un infiltrato dei Servizi Segreti Britannici (MI6) o addirittura di una sezione dell’FBI, specializzata nella distruzione delle immagini mediatiche di gruppi rock e star televisive, sospettate di essere pericolose per la sicurezza nazionale. In effetti non erano pochi gli Inglesi che, in quei mitici anni Sessanta, avevano paura che i gruppi rock come i Rolling Stones, potessero traviare con il loro cattivo esempio, la gioventù britannica.
Qui la storia e il mito si confondono. C’è chi dice che fu proprio Andrew Loog Oldham, un produttore discografico, responsabile dell’immagine del gruppo britannico e loro scopritore, a inventare lo slogan provocatorio: “Permettereste a vostra figlia di uscire con uno dei Rolling Stones?”. E sembra che lo slogan facesse parte di una strategia di marketing tesa a contrapporre i Rolling Stones, visti come cattivi ragazzi, ai Beatles, già celebri e meno invisi all’establishment e all’opinione pubblica.
E ciò soprattutto a causa dell’uso esagerato che essi facevano apertamente di ogni tipo di droga (anche se di recente, Bill Wyman, bassista del gruppo sino al 1993, ha ribadito come egli non amasse affatto le droghe e preferisse la sobrietà e la lucidità, a me pare che sia l’unico del famoso gruppo britannico che non abusasse di certe sostanze proibite).
King Acid si infilò quindi nel giro dei Rolling Stones in quanto abile spacciatore di droghe (e di acidi e anfetamine in particolare), ma il suo scopo era di fare arrestare i membri del gruppo per poter porre fine al loro successo e alla loro influenza sui giovani. Era nei guai sino al collo con la giustizia, ma gli era stata promessa la liberazione da ogni imputazione se fosse riuscito a fare arrestare il gruppo inviso all’establishment britannico, così preoccupato per quella gioventù sempre più arrabbiata e desiderosa di una società nuova e diversa. E il colpo gli riuscì nel 1967 quando venne organizzato un droga-party nella casa che Richards aveva nelle Redlands.
La Polizia, su segnalazione dell’informatore, organizzatore e fornitore della serata, irruppe nella casa e arrestò tutti i presenti per detenzione e abuso di sostanze stupefacenti. Il gruppo venne poi assolto e liberato in appello (potere dei soldi e dell’industria discografica che non voleva rinunciare a quella miniera di profitti che era ed è la musica rock).
Dell’enigmatica spia King Acid non si trovò nessuna traccia. Se l’era squagliata poco prima dell’irruzione della Polizia. Si creò una nuova vita, sotto falso nome, negli Stati Uniti. Anche se io ho sempre preferito i Beatles ai Rolling Stones (senza neppure sapere spiegare il perché), non posso nascondere di avere provato per tutti gli idoli rock degli anni ’60-’70 una grande ammirazione. Mi piaceva la loro musica, mitizzavo la loro vita e attraverso la loro musica conducevo una mia personale ricerca, soprattutto di natura spirituale, di una dimensione di vita che non fosse appiattita sulla noia, sulla paura, sul déjà vu. Queste in realtà erano le istanze più profonde della rivoluzione dei Figli dei fiori prima e del Movimento del ’68 poi.
Certo fa pensare non poco il sapere che molti dei nostri amici di quegli anni, compagni nella ricerca di una vita migliore, siano morti oppure finiti nell’orribile tunnel della tossicodipendenza, mentre i Rolling Stones, che oramai sono soltanto una fabbrica di illusioni e di soldi, sono ancora lì, vivi e vegeti, a strimpellare le loro canzonette, sempre uguali a se stesse. Ma sarebbe ingeneroso accusare loro di quelle morti precoci, di quelle vite distrutte.
D’altronde gli uomini al potere, che li hanno osteggiati e combattuti, non si sono mostrati certo migliori di loro. Intanto perché li combattevano soltanto perché avevano paura che la rivoluzione del ’68 potesse disarcionarli dai loro seggi di potere, e poi perché, in fin dei conti, sulla massa di denaro che producevano tutti i gruppi rock messi insieme, i primi a camparci erano proprio loro: i ricchi industriali britannici, gli stessi che appoggiavano gli uomini al potere.
E voglio tacere su chi abbia permesso e lucrato sulla circolazione della droga ai massimi livelli.
E noi, anime ingenue, eravamo convinti che la droga fosse un sano strumento di ricerca spirituale e di conquista della libertà.
Ho ripensato ai concerti ai quali in passato ho preso parte in prima persona. Mi sono rivisto in mezzo alla folla oceanica, con le mani al cielo, cantando a squarciagola, ballando e muovendo la testa e il corpo a suon di musica.
Non si vivono sei decenni di successo per caso. I Rolling Stones hanno incarnato i sogni e il malessere di più di una generazione. Certo il loro successo è da attribuire anche ai grandi manager che ne hanno curato l’immagine, gli affari e il marketing.
Ma questi musicisti veicolano sulle splendide note di chitarre, ottoni, tastiere e percussioni, i testi che incarnano i sogni e le fantasie dei giovani di ieri e di oggi. Che poi sono i sogni di coloro che ritrovano sé stessi più nei riff di un chitarrista e negli assolo di un sassofono che in un mondo incapace di trasmettere emozioni.
Una fuga dalle banalità di un mondo materialista, fondato sul consumismo, che ha perso nella massificazione delle menti, delle notizie e delle vite votate alla produzione e al consumo, in nome del dio quattrino e di Giove PIL, ogni sensibilità spirituale. E l'uomo senza spirito non sa vivere, sente che gli manca qualcosa; qualcosa che egli recupera in quelle strazianti canzoni di rock e di blues che parlano di amore, libertà, di solitudine, di uno straniamento che è anche e soprattutto ribellione a ogni consuetudine e perbenismo.
Qualcuno un giorno ha detto che non si vive di solo pane. Se a qualcuno non piacciono i Rolling Stones dovrebbe ricordarsi che senza spirito si vive male e si cade inevitabilmente prigionieri di profeti e duci che non sempre guidano al bene. Ma chi l'ha detto che ai nostri politici e ai governi del mondo interessi il benessere spirituale dei cittadini? Abbandonare il materialismo in nome dei veri profeti comporterebbe rinunciare al potere dei soldi e delle poltrone facili.
Allora è più facile e conveniente aggrapparsi alla materia e al potere lasciando che i sudditi governati sfoghino il loro bisogno spirituale appresso ai profeti fasulli di turno, magari affogati in qualche sorta di sostanza che li alteri un po' sino a dimenticare, almeno per una sera, la fatica di vivere una vita senza senso e senza valori.
Ma è meglio seguire un profeta, ancorché cialtrone, oppure un duce ancora più cialtrone?
Se fossi giovane non avrei dubbi: sceglierei un profeta cialtrone.
E fra i profeti cialtroni che questa moribonda democrazia ci consente di ascoltare, credo che i Rolling Stones non siano certo tra i peggiori.