Edda dei misteri. A 28 anni dalla morte della figlia più amata da Mussolini molti interrogativi sulla sua figura restano ancora senza risposta.
Rampolla disinvolta e orgogliosa, first lady del ventennio con i suoi tailleur attillati e cappellini estrosi, ma anche 'maschiaccio' spregiudicato, preda dell'alcool, del gioco d'azzardo e di ogni altro vizio che potesse farle superare i limiti della natura femminile, Edda giocò un ruolo non secondario nell'Italia del fascismo. Forse unica in tutto l'entourage del Duce a poterlo affrontare a viso aperto e senza tanti preamboli, si trovò a difendere, senza successo, il marito Galeazzo Ciano dall'accusa di tradimento.
Ma che parte ebbe sul palcoscenico del Ventennio? Quali i suoi rapporti con Hitler? Come reagì alla fucilazione del padre dei suoi tre figli? E alla rovinosa caduta del fascismo con il tetro e quasi macabro epilogo di piazzale Loreto?
Un'esistenza, quella di Edda Ciano, la cui vita personale si intreccia ad avvenimenti storici ancora vicini a noi e mai dimenticati. Bambina nata in due stanzette piene di pulci di un paese romagnolo, divenne protagonista dei salotti più raffinati di Roma e Capri, come anche di Shangai e Pechino, mentre l'Italia viveva gli anni di una dittatura che avrebbe condotto a due rovinose guerre. Ma se la storia non fa sconti a nessuno, con lei il destino fu ancora più cinico e baro catapultandola vorticosamente dalle stelle agli inferi. E mentre il Paese cercava faticosamente di rinascere, Edda Ciano Mussolini dovette continuare a combattere gli spettri sempre presenti del marito e del padre. Visse ancora a lungo e in solitudine in quella Roma di cui era stata regina, restando ormai regina solo dei gatti del suo quartiere.
La scoperta di due lettere da lei scritte da Capri all'avvocato ebreo Eucardio Momigliano, relative al diario del marito ucciso l'11 gennaio 1944 a Verona da un plotone di esecuzione, ha permesso di aprire un nuovo capitolo nella ricerca di quelle verità rimaste ancora nascoste.
Siamo nel 1947, nasceva lo Stato di Israele, il Parlamento approvava la costituzione e l'Italia si leccava le ferite sulle note sdolcinate di Suona Suona Balalaika che uscivano dai grammofoni con la tiepida voce di Natalino Otto. In quell'anno il Corriere della Sera annunciava la pubblicazione dei documenti di Ciano. Ecco allora Edda scrivere all'avvocato del giornale per chiedere notizie, sostenendo che sia il diario del marito che l'agenda del padre erano di sua proprietà. Non è dato sapere il risultato della sua richiesta, ma è certo che molti importanti documenti mancano ancora all'appello e una parte degli storici sostiene che alcuni di quelli conosciuti e pubblicati sono contraffatti. Un puzzle intricato, una sorta di giallo su cui il giornalista e scrittore Maurizio Sessa ha cercato di mettere ordine dopo aver trovato le due lettere in un mercato antiquario.
«Il Corriere pubblicò effettivamente alcune carte provenienti dal Ministero degli Esteri, documenti a latere del diario di Ciano, che fu per anni a capo di quel dicastero», racconta Sessa. «Ma si tratta, comunque, di dati incompleti. In realtà nessuno finora ha mai visto il manoscritto dei diari di Ciano. Le varie edizioni si sono basate su delle foto e non sul documento originale. Per non parlare dell'agenda del Duce: scomparsa». Dove sono finite queste carte? Negli archivi tedeschi? In quelli Vaticani? Le fonti di stampo nazista sostennero che erano stati distrutti. Ma che peso dare alle loro dichiarazioni? E la stessa Edda in pubblico avrà sempre detto la verità?
A partire dal ritrovamento delle due lettere, Maurizio Sessa ha dato il via ad una ricostruzione di alcuni degli anni più bui della nostra storia. Eventi storici ed avvenimenti privati, di vita familiare, ripercorsi insieme, gli uni di fronte agli altri in un libro che unisce il piglio del cronista alle riflessioni dello storico e alla pazienza del ricercatore.
Sangue di famiglia. Edda Ciano Mussolini. Amore, odio e perdono per i tipi di Edizioni Medicea, ci restituisce con lucidità implacabile gli anni drammatici della nostra storia uniti a quelli altrettanto tragici di due casate, i Mussolini e i Ciano. E lo fa partendo da Edda, la prediletta figlia del Duce, rimasta vedova e orfana nel giro di 14 mesi, donna tradita dal marito, uomo di grandi avventure e numerose amanti, e dallo stesso padre che non impedì la fucilazione del genero. Lei, ambasciatrice del fascismo nel mondo, ma comunque donna all'avanguardia che sfidò la morale del tempo rifiutando nei fatti l'idea della massaia, dell'angelo del focolare, della madre e della moglie esemplare che il regime avrebbe voluto.
«Edda è una figura complessa e difficilmente decifrabile», commenta Sessa. «Una figura intrigante che da una parte mi ha appassionato e dall'altra mi ha lasciato interdetto perché è stata tutto e il contrario di tutto. Le sue stesse memorie lasciano molti punti oscuri».
Fu comunque donna infelice fin dalla sua infanzia, quando vedeva il padre, che amava incondizionatamente, entrare e uscire di galera. Quello stesso padre che poi non riuscirà a salvare il marito nonostante le sue pressanti richieste. Forse per un periodo lo odiò, tanto da non firmarsi più con il suo cognome, bensì solo con quello di Ciano. Ma alla fine della vita dovette perdonare, se è vero che prima di morire disse al confessore: «Verso mio padre Benito non nutro alcun risentimento. Anzi, gli debbo gratitudine».
Aggiunge Sessa: «Si è trovata in una storia più grande di lei. È come se avesse vissuto in una tragedia di Eschilo, rivista da Shakespeare».
In effetti il palcoscenico di una tragedia sembra essersi aperto per lei nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943, quando il marito Galeazzo, nel corso del Gran Consiglio votò per la mozione di Grandi che chiedeva al re di riappropriarsi dei poteri militari, togliendoli quindi al Duce suo suocero. Fino ad allora la vita di Edda e del marito era stata solo un'ascesa frenetica tra viaggi, salotti e posizioni di potere. La frenata arrivò brusca scaraventandoli in una bolgia perversa. Dall'accusa di alto tradimento al plotone di esecuzione non passarono neanche 6 mesi. L'ex ministro degli affari esteri venne fucilato di schiena, legato ad una sedia, come previsto per i traditori, e poi finito con due colpi di rivoltella alla testa. Ma fu davvero tradimento? E cosa sapeva il Duce? Che ruolo ebbe il re in questa vicenda dalle tinte fosche? E Hitler?
«Mussolini era a conoscenza dell’ordine del giorno di Grandi, votato da 15 persone. La bozza gli era stata presentata il 21 o il 22 luglio», racconta Sessa. «Il fatto è che Ciano era un pragmatico, voleva sganciarsi da Hitler: restituire le prerogative militari al re era un modo per allontanare il suocero dall'influenza del Fuhrer. Ma né Galeazzo né gli altri votarono contro il fascismo. Chi dette lo scacco matto e si liberò anche dal fascismo fu invece proprio il re, che nella giornata del 25 luglio invitò Mussolini a presentarsi in abiti borghesi, lo fece arrestare e poi affidò il governo a Badoglio».
Resta comunque da capire il perché di un processo sommario a Verona contro 5 dei firmatari della mozione e perché a Mussolini non arrivarono mai le domande di grazia che, a quanto sembra, era pronto a firmare. «Non si capisce nemmeno per quale motivo il Vaticano non accolse Ciano tra le sue mura, evitandogli le conseguenze funeste. In fondo Galeazzo era stato fino a pochi giorni prima ambasciatore della Santa Sede. Altri 5 firmatari della mozione Grandi vennero accolti e salvati. Lui no. Perché?», si chiede Maurizio Sessa. «Nel libro io pongo molte domande e dò poche risposte, perché entrare in questa storia è come trovarsi in un gioco degli specchi che rimandano immagini diverse a seconda del punto di osservazione. Ma appare comunque certo che il destino di Galeazzo fosse segnato fin dall'inizio. Secondo il mio punto di vista Hitler non poteva certo togliere di mezzo Mussolini perché aveva bisogno del partito fascista. Però voleva un capro espiatorio e una punizione esemplare come simboli del tradimento dell'idea fascista. Chi meglio di Ciano, che oltretutto non aveva mai fatto niente per entrare nelle grazie del Fuhrer?».
Per Edda l'inferno non finì l'11 gennaio del 1943, giorno della fucilazione del marito, perché altri gironi demoniaci si aprirono per lei nei mesi successivi. Se una parvenza di requie sembrò arrivare quando il corpo del padre (prima nascosto in una tomba senza nome, poi disseppellito, trafugato e più volte spostato) arrivò finalmente nella cappella di famiglia a Predappio, altri rancori familiari stavano per esplodere. Era il 1957, nasceva la Comunità Economica Europea, Il Carosello nazionale faceva la sua prima apparizione in Tv, Alberto Sordi spopolava con il Conte Max e la voce confidenziale di Teddy Reno accarezzava gli italiani sussurrando quella 'Piccolissima Serenata' che si poteva cantare con un filo di voce. Ma un'altra voce, più assordante, si alzò decisa. Quella di Carolina Pini, madre di Costanzo Ciano, che raccontava la sua verità e lanciava nuove accuse, soprattutto contro la moglie di Mussolini, donna Rachele. Nello stesso periodo il settimanale milanese Le Ore pubblicava le foto inedite di Ciano in carcere prima dell'esecuzione capitale.
Il dolore non finisce mai, né mai potrà restare privato per una donna che, nel bene e nel male, da zingara ribelle a vedova inquieta, resterà comunque sempre se stessa, senza mai rinnegare il passato. È il suo merito e la sua condanna. Nelle due lettere del 1947 all'avvocato Momigliano per reclamare i 'suoi' documenti, lei si firma di nuovo Edda Ciano Mussolini: segno della volontà di vivere il presente senza recidere i legami con ciò che era stato. Conclude Sessa: «Voleva, doveva, continuare a portare con orgoglio il nome del marito. Voleva e doveva riappropriarsi del nome del padre. Nessuna sentenza di legge e nessun tribunale della storia potevano proibirglielo». E senza lanciare accuse né versare lacrime lei, la ribelle, ha vissuto rassegnata quel che restava del giorno.