Ragione e sentimento. Che non è solo il titolo di un libro della scrittrice inglese Jane Austen (prima pubblicazione 1811).
È il duplice che diventa uno quando incontri persone appassionate e appassionanti, che hanno trasformato il loro lavoro in uno scopo, in un modo di percepire la realtà, in un desiderio di saperne sempre di più. È il duplice che diventa uno quando trovi l’armonia tra la mente e il corpo, quando percepisci che si tengono insieme lettere e vibrazioni, numeri ed andate di energia.
Sono lo yin e lo yang, il lato soleggiato della collina e il lato in ombra della collina. Il punto è che il sole si sposta in continuazione nel cielo della vita, si muove dall’est all’ovest della tua esistenza e illumina talvolta una fiancata talvolta l’altra, trasformando la luce in buio e il buio in luce in un incessante mutamento e trasformazione.
Ragione e sentimento. Non solo l'opposizione mente/cuore. Non solo logos/pathos. È l’essere umano che si appalesa in tutta la sua complessità, nella molteplicità, nel colore degli occhi di un individuo che si riflettono nel colore degli occhi del suo prossimo.
Ragione significa calcolo, misura, regola. Ragionare significa in primo luogo contare, disporre su un piano un frammento dopo l'altro e dare a ciascuno un numero. Razione, non a caso, è la parte. Nel ragionare il giudizio viene dopo: prima si conta, prima si leggono i dati, prima vengono i fatti, le cose che si toccano, i pezzi. Nel ragionare usiamo il raziocinio ma in prima istanza facciamo a pezzi, segmentiamo, scomponiamo, creiamo razioni e ratei (che poi sono razioni distribuite nel tempo). Nella ragione conta la singola cella del foglio excel, una parte e la somma delle parti non è mai il tutto. Il nonno di questo sostantivo vestiva la toga e abitava nella Roma antica: ratiōne(m) era derivato del participio passato del verbo latino rēri ‘calcolare’, ‘stimare’, ‘reputare’.
Ragiono, calcolo. Uso la ragione, faccio di calcolo. Ma la ragione non è tutto nella vita. Da sola non basta, da sola è fallace, così come il sentimento sarebbe difettivo quando diventasse un criterio assoluto per compiere le scelte.
Nella parola sentimento non si annida il romanticismo. Non nella sua origine più profonda. Nella storia del sentimento non ci sono il batticuore né il tremore né l’agitazione né l’emozione per il percepirsi parte di un tutto più completo.
Il sentimento ha a che fare col sentire, che non è ascoltare, ma meditare, riflettere, dirigere il pensiero. Sentimento è derivato del sentire che a sua volta è parente di senno. Cioè ancora una volta ‘capacità d’intendere’, ‘giudizio’, ‘saggezza’. L’origine del senno è medievale: si tratta di un prestito germanico. In antico alto tedesco sin voleva dire ‘senso’, ‘direzione’ e anche ‘inclinazione’ e ‘facoltà mentale’. Il significato del tedesco Sinn oggi è proprio questo: il senso.
Senno, anche in italiano, a sua volta cugino di senso, cioè di direzione, verso. Nel senso percepiamo il ricordo del movimento da qua a là. Non a caso in inglese da quell'originaria radice che si trova nel latino sensus è fiorito il verbo to send, spedire, far andare.
Con il sentimento sentiamo e cogliamo il senso profondo delle cose. Senza il sentimento, non cogliamo l’anima del tutto. Se resta solo la ragione, restano le parti, i tocchi, i cocci della vita. Impilati gli uni sugli altri, i pezzi non producono la completezza: restano pezzi impilati dalla ragione.
Il titolo originale della Austen è Sense and Sensibility, buon senso e passione, possiamo dire. Nell'originale inglese è più facile comprendere il legame tra le due parti, osservando le parole sense e sensibility, nelle quali si riconoscono gli avi comuni. Ragione e sentimento, unitas multiplex, tutto si tiene sotto la volta del cielo della vita. Anche per noi, anche qui, anche ora, ragione è sentimento. Ragione, in definitiva, per tutti noi, anche per te, è sentimento.