Un’aura dolce, senza mutamento
Avere in sé, mi ferìa per la fronte
Non dii più colpo che soave ventoQuelli ch’anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice
forse in Parnaso esto loco sognaro(Purgatorio, XXVIII)
Eugene Canseliet in un suo articolo acutamente individua tre passi della Divina Commedia in cui emergono possibili sensi alchemici.
I passi del Purgatorio, Canto XXVIII, 19ss, 34-141, relativo a Matilde che compare nel Paradiso terrestre, appaiono ricchi di possibili allusioni alchemiche. In primo luogo la “foresta spessa e viva” richiama il concetto greco di materia umida e universale, la materia/energia prima, unitaria e cosmica. Anche il segno del vento e del suono dolce e costante che la connotano rinviano al contesto e ai presupposti dell’Opera. Matilde appare quale Donna multicolore che estrae l’essenza deI fiori (fiore da fiore), vero florilegio emblematico dell’Alchimia stessa. Dante la paragona espressamente a Cerere, segno della sapienza e della trasmutazione, e ciò ci conferma l’accostamento della Matidle dantesca con le simboliche ed ermetiche donne della Primavera del Botticelli, anch’esse multicolori, feconde, ed allusive. Matilde poi svela a Dante i segreti della Paradiso terrestre, narrando del vento e della musica, dei movimenti celesti, e indicando i due movimenti di evaporazione e coagulazione per finire con la descrizione della misteriosa e duplice Fontana. La duplice Fontana, inesauribile origine di un acqua non fisica e quasi solida, appare un segno ricorrente nell’iconografia alchemica.
Nel Canto V del Paradiso (55-60) Beatrice insegna a Dante la corretta dottrina cattolica sulla mutazione dei voti fatti a Dio. L’essenza di ciò si apprezza nella distinzione fra la forma del voto, immutabile, e la materia dello stesso, commutabile. All’interno di questo discorso spirituale e mistico, chiamato nel testo “processo sacro”, e la stessa arte regia si concepiva in modo analogo, Beatrice accenna enigmaticamente alla necessità, affinché la trasmutazione sia corretta, del “girar” sia la “chiave gialla” che la “chiave bianca”.
Viene “naturale” pensare a tale frase in senso alchemico. L’immagine delle due chiavi, aurea e argentea, non solo corrisponde all’emblema stesso della Chiesa, ma rinvia anche ai due fattori essenziali dell’Opera: l’Oro e l’Argento vivo, il Sole e la Luna, il Re e la Regina, cioè lo Zolfo e il Mercurio. Lo stesso concetto metaforico e spirituale di “chiave” rinvia al Tau, alla croce egizia dell’immortalità, al crogiuolo, e alla Croce di Cristo quale Fuoco o Aceto alchemico.
L’ipotesi appare rinsaldata dalla strofa finale delle due terzine citate, dove Dante evidenzia come la materia scambiata (del voto sacro e della trasmutazione ermetica) debba essere di minore valore del nuovo contenuto del voto commutato, così come il “quattro” si contiene nel “sei”. Siamo in presenza di una numerologia ermetica? E’ possibile, considerando come il numero “quattro” corrisponda al cubo del Sale, del corpo primo, della “materia grezza”, a sua volta trasfiguratesi nella Croce quadripartita, mentre il numero “sei” corrisponde alla Stella di Davide o Sigillo di Salomone.
Quest’ultimo celebre emblema ricorrer frequentemente nell’immaginario e nel linguaggio simbolico alchemico secondo vari significati. Il triangolo equilatero che punta in alto è la stessa Pietra filosofale, unione di Zolfo, Mercurio, Sale, ma potrebbe indicare più genericamente il Fuoco ermetico o lo Zolfo filosofico o la sublimazione o la Fenice. Il triangolo equilatero che punta in basso indica la matrice umida, lo sperma dei metalli, l’acqua fiammante, la coagulazione. Croce e Resurrezione sintetizzate nella fiammante Stella!
Altri due passi ci rinviano all’arte regia: il Veglio di Creta del Canto XIV (94-116) dell’Inferno e l’Aquila della troade che conduce al Paradiso terrestre (Pur. IX, 13-42, 105-107). Nel primo caso assistiamo all’esaltazione di Saturno, emblema dell’alchimia e segno dell’Impero. Il Sacro Vegliardo guarda verso Roma dove “si specchia” e il suo simulacro, sul monte Ida, reca una testa aurea perfetta e un corpo crepato e lacrimante fatto di argento nelle braccia, nelle spalle e nel petto, di rame nel ventre e nei fianchi, di ferro nelle gambe e di argilla nel piede di appoggio. Saturno reca e gesta in sé tutti i metalli alchemici e gronda dell’ermetica rugiada la quale dà origine ai quattro fiumi infernali fatti di acqua, fango, fuoco e ghiaccio, scorie del travaglio.
Saturno/Cristo è colui che regola e presiede alla trasmutazione, medium regale fra gli elementi. Rea, cioè Maria, rupes constantiae, materia pura e virginale, reca la pietra morta al Re della sapienza affinché la digerisca e generi tutte le potenze cosmiche dei suoi figli. Saturno quale cristica ed ermetica pietra viva, proiettiva e moltiplicatrice.Dalla pietra emetica alla pietra ermetica, dalla pietra della morte alla pietra di vita. Ecco una maschera mirabile per il mistero della nascita spirituale dei figli di Dio e per il mistero dell’Eucarestìa che divora misticamente chi se ne ciba trasfigurando il cuore di pietra in un cuore nuovo di carne.
Il corpo petreo e aureoplumbeo di Saturno, proprio perchè contiene in sé tutti gli spiriti dei metalli, ne garantisce la possibile liberatoria trasfigurazione. I fiumi che escono dall’intimo della materia prima dell’Opera rappresentano i canoni ermetici di aridità/umidità, caldo/freddo oltre a rivelare il senso della terra filosofica, calda e umica, concentrata e fissa, ma possono indicare anche le scorie del vaso ermetico. Il percorso saturnino è lo stesso percorso del Cristo che scende agli inferi fra la sua morte e la sua resurrezione, immagine della liberazione degli spiriti dei metalli dalla terra ed all’acqua morta che anticipa la resurrezione cioè l’apparire della Pietra gloriosa e perfetta.
Nel Purgatorio Dante accede al Paradiso terrestre, regno dell’età dell’oro, tramite l’ “investitura” graalica ed imperiale che gli concede l’Aquila uranica, aurea e fiammaggiante. La stessa Aquila rampante e discendente che sovrintende all’androgino nell’Aurora consurgens e che regge la scena della genesi di Eva nel paradiso terrestre nella lunetta del portale del Duomo di Milano. L’Aquila/Fenice del Fuoco alchemico, dello Zolfo filosofico, dell’Oro perfetto. L’Aquila che rapì il pastore Ganimede facendone coppiere graalico e divino. La scena è precisa nei suoi dettagli. Sul finire della notte quando Aurora si imbianca nel freddo scorpione della Crocefissione Dante al suono delle ghibelline e mistiche rondini si addormenta come Adamo, Giacobbe, ed Elìa, e allora cala la folgore che porta l’anima di Dante nel fuoco divino, liberazione dal fuoco del mondo. Il risveglio, pallido e freddo dopo la morte mistica, è il risveglio di Achille nella momentanea tregua che gli dona Teti nel tempo del suo destino di morte gloriosa.
Dante viene iniziato dall’Angelo guardiano dell’Eden dalla spada fiammeggiante tramite sette incisioni sulla fronte. Colui che ricerca Dio viene inciso come il pane dalla lancia nel rito bizantino e graalico della proskomidìa. Colui che focalizza sull’arte regia si trasmuta e trasfigura esso stesso attraverso le tradizionali e sacramentali sette fasi dell’Opera. Prima di entrare per la porta santa si e su tre gradini simbolici di marmo riflettente, di pece e di sangue vivo, mirabile e limpida sintesi dell’Opera ermetica. La porta edenica infatti si apre solo con le due chiavi sacre: aurea e argentea, le stesse della Chiesa, del sangue e dell’acqua del costato di Cristo, doppia fontana, e le stesse che ancora ricorda la sapiente Matilde.
Le due chiavi sono tratte fuori dalla cenere, dalla terra secca. La prima è più preziosa ma è la seconda “ che ‘l nodo disgroppa”, segno del mercurio dissolvente, oltre che del sacramento dell’assoluzione. Gli spigoli della Porta non a caso sono di metallo risonante e la soglia è di diamante. Ma non bisogna fermarsi nel processo sacro né voltarsi indietro mentre si conduce l’aratro nel capo di Cristo altrimenti si è rigettati e si diventa statua di sale morto, senza più sapore