Un Museo dove la storia del design del Novecento abita il secolo breve e in cui la modernità, e il gesto definitivo di Emilio Vedova, possono trovare uno spazio unico in cui esprimersi. “Rivoluzione Vedova” è proprio questo: un dialogo continuo tra la creatività del Novecento e il genio di un artista che ha, appunto, rivoluzionato l’arte contemporanea ridefinendo l’astratto, l’action painting e l’informale. Un’esposizione quella voluta dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova all’M9 Museo del ‘900 che ha visto l’impareggiabile curatela di Gabriella Belli con l’allestimento originale e coerente dello Studio Alvisi Kirimoto.
Uscire dal Magazzino del Sale alle Zattere a Venezia per portarsi in terraferma a Mestre, è ulteriormente un atto rivoluzionario e coraggioso. Un prolungarsi del gesto pittorico del maestro veneziano che attraversa il ponte della Liberta, lingua cementizia che unisce i due universi così vicini ma così lontani, e riannoda un percorso di ricerca che, comunque, è influenzato dai due universi paralleli da sempre destinati a non incontrarsi.
“Rivoluzione Vedova” nello spirito anarchico e innovativo dell’artista riesce a rendere lo spazio della sua poetica un unicuum tra Venezia e Mestre, così il miracolo si è compiuto. Del resto, la mostra apre un percorso inedito che sceglie l’arte contemporanea come strumento per esplorare e interpretare la storia sociale, culturale, politica ed economica del Novecento. Il ruolo centrale nell’arte contemporanea di Emilio Vedova, la cui opera è interprete e testimone di un forte legame storico e civile con gli eventi che hanno segnato il XX secolo, mantiene oggi la forza di una costante attualità.
L’originale operazione delinea un disegno nuovo ed un necessario nuovo approccio alla politica culturale in senso lato. Che cosa poteva rappresentare il segno artistico come necessità che si fa storia più dell’opera di Vedova?
“Un unico destino affianca Venezia e Mestre, città lagunare e terraferma – sottolinea il Presidente della Fondazione Vedova, Alfredo Bianchini – confermando questa visione unitaria, anche nelle strategie culturali, usciamo quindi dai consueti spazi al Magazzino del Sale alle Zattere, lungo la ‘strada liquida’ del Canale della Giudecca, per farci parte costitutiva di una nuova prospettiva di proposta artistica. Questo però non costituisce un semplice viaggio, uno spostamento per andare lontano lasciando un luogo d’origine ma un progetto che abbraccia la complessità, che apre le porte, analogo all’incedere nel mondo di Emilio Vedova, che mette in relazione l’Arte con il contesto. L’Universale con il contingente.
Il suo è stato un urlo di denuncia dei mali e delle ingiustizie umane: un urlo costante diretto a ignoti infiniti interlocutori e spettatori e verso ignoti infiniti mondi per cui si può ben dire che per lui non vi siano mai stati luoghi vicini e lontani perché la sua centralità non dipendeva e non dipende, non era condizionata e non è condizionata, dalla fisicità di un luogo bensì dalla intensità e dalla forza del suo messaggio”.
Percorrere le sale dell’M9 in cui le opere di Vedova troneggiano sospese alle pareti in posizioni sghembe, come sghembe erano le sue linee tracciate con impeto ancestrale, è un’esperienza spirituale. Un viaggio che riporta all’energia cinetica che il maestro trasmetteva nella sue tele apparentemente caotiche e dense. Proseguendo ci si accorge della maestosa presenza scenica dei suoi celeberrimi tondi, immersi nel biancore della struttura museale dell’M9, essenziale e quasi zen per scansione e definizione cromatica e materia. Il legno natura si sposa con la visione spirituale delle tele di Vedova che sembrano decrittare l’universo a colpi di pennello e spatola.
“Rivoluzione Vedova”, la potente evocazione in questo titolo va intesa come cambiamento delle modalità di fare arte e come impegno civile nella cronaca quotidiana della storia. La scelta di Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006) per aprire questo nuovo filone di ricerca negli spazi di M9 è quasi d’obbligo, trattandosi del più grande pittore del secondo dopoguerra veneziano – e proiettato nel mondo – che, proprio in questo territorio, ha lasciato segni tangibili della sua feconda eredità artistica, dove etica ed estetica, per lui binomio indissolubile, erano una costante.
Un patrimonio di opere straordinarie, le sue, che non sono solo fatti d’arte ma anche inestimabili documenti della storia sociale e politica di quei cinque decenni pieni di contraddizioni, rimorsi, speranze e colpe, a cui Vedova ha prestato voce e la potenza del segno inconfondibile e irreversibile della sua pittura.
Del resto – come sottolinea la curatrice, Gabriella Belli – ben pochi artisti italiani del Novecento hanno non solo eguagliato la potenza narrativa degli antichi Maestri come Vedova – è ben noto il suo amore per Tintoretto – ma sono stati simbolo altrettanto forte e riconoscibile di quella generazione nata nel primo dopo guerra che, negli anni ’40, nell’incombenza del secondo conflitto mondiale e subito dopo la resa, ha saputo guidare l’attenzione degli intellettuali e degli uomini di buona volontà verso una incondizionata presa d’atto delle atrocità delle dittature, fascismo, nazismo e stalinismo in primis, e che tutt’ora attraverso il loro straordinario lascito di opere, testimonianze documentali e il ricordo delle loro concrete battaglie di protesta per i diritti civili, per la pace, per la democrazia continuano a premere sulla coscienza collettiva”.
La mostra racconterà con centotrenta opere, tra installazioni e opere a parete, il punto di vista di questo grande artista ed intellettuale, mettendoci a confronto, attraverso i suoi lavori, con i capitoli “caldi” della nostra storia recente, dalle macerie della Seconda guerra mondiale agli avvenimenti della politica internazionale che hanno sconquassato il mondo negli anni Sessanta e Settanta e ben oltre, fino alle soglie del Duemila.
Cadenzato da un allestimento progettato dallo studio di architettura Alvisi Kirimoto, il percorso suggerisce al visitatore due livelli di lettura: da una parte grande protagonista è la pittura, il gigantismo delle opere, la potenza del segno, la forza della materia, la risonanza della luce, dei bianchi e neri e del colore.
Un’epifania che ha la massima espressione nelle tre grandi installazioni, poste al centro dello straordinario spazio espositivo al terzo piano del museo, ben 1.300 metri quadrati: Absurdes Berliner Tagebuch ’64 (1964), Tondi e Dischi (1985-1995), …in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88 (1987-1988). Dall’altra parte è il resoconto della storia a farsi protagonista con una decina di lavori disposti in sequenza cronologica, come tappe di una via crucis laica, sulle bianche pareti perimetrali della sala. Sono opere nate dall’impellente necessità di Vedova di dare voce a quel “malessere tra l’essere dentro questa società e il volerne un’altra” (Emilio Vedova, 1968) . L’esposizione “Rivoluzione Vedova”, è visitabile all’M9 Museo del Novecento di Mestre fino al 26 novembre 2023.