Santino Spinelli, in arte Alexian, è un musicista, compositore, poeta e saggista, attività artistiche che riesce a conciliare con il suo ruolo di docente universitario.
Nato a Pietrasanta, in provincia di Lucca, il 21 luglio 1964, appartiene alla popolazione romanì costituita da diversi gruppi che si autodeterminano come rom/roma, sinti, cale/kale, manouches e romanichals e che rappresenta, con quasi dodici milioni di persone in Europa e circa 24 milioni nel mondo, la più grande minoranza etnica europea.
Laureatosi a Bologna in Lingue e Letterature Straniere (1998) e in Musicologia (2006), ha insegnato Storia, Lingua e Cultura romanì presso le Università di Trieste, Teramo, Chieti e al Politecnico di Torino ed è Ambasciatore dell’arte e della cultura romanì nel mondo per la International Romanì Union, l’organismo transnazionale che rappresenta la popolazione romanì all’ONU, di cui è attualmente Presidente il rom lettone Normund Rudevich.
E di certo, tra le varie forme di arte che lui frequenta, la musica riveste un ruolo preminente, da sempre è un amore di cui non può fare a meno. I suoi tre figli sono stati educati alla musica fin dalla nascita e fanno parte del suo Alexian Group nei concerti che lui propone incessantemente in Italia e all'estero.
Santino è un virtuoso di fisarmonica, suo figlio Gennaro è ritenuto uno dei migliori violinisti rom a livello internazionale per l’esecuzione di musica rom, mentre le sue due figlie sono laureate, Giulia suona il violoncello, mentre Evedise è la prima donna rom riuscita a laurearsi in arpa al Conservatorio di Pescara.
Sul tema musicale Santino nel 2010 ha pubblicato per la Ut Orpheus editore di Bologna i volumi "Carovana Romanì" per fisarmonica, ensemble e orchestra. Le raccolte contengono partiture da lui stesso composte che sono state eseguite al Palazzo del Consiglio d'Europa a Strasburgo il 7 ottobre 2010 ed al Consiglio Europeo a Bruxelles il 17 gennaio 2013 dall'Orchestra Europea per la Pace da lui fondata, attraverso la quale ha elevato la musica rom da folklorica a sinfonica e con cui tiene numerosi concerti in tutta Europa. Insomma parliamo di un compositore che è anche esecutore delle sue stesse musiche.
Come afferma lo stesso Alexian «Un artista appartenente alla popolazione romanì non viene valutato per la sua arte e per le sue capacità, ma visto piuttosto come un fenomeno che si è emancipato da una situazione di degrado e di emarginazione o come eccezione. La visuale sul mondo romanò è sempre deformata anche in presenza di eventi o personaggi positivi».
Infatti per il cittadino comune, i gruppi romanès sono spesso indicati ‘con l’eteronimo peggiorativo di zingari’ o anche ‘nomadi’ anche se non sono nomadi per cultura, ma per una necessità ‘figlia della discriminazione e della persecuzione’.
Quando sono stati accolti, come la famiglia Spinelli nel comune di Lanciano, si sono insediati stabilmente e hanno trovato anche impiego nelle economie locali. Quindi Santino ha scelto di dedicare tutto il suo impegno alla lotta contro la discriminazione del suo popolo e alla valorizzazione delle sue tradizioni popolari e artistiche.
Per il suo impegno ha ricevuto molti riconoscimenti tra cui il premio Premio Lussu alla carriera e l’Onorificenza di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Alexian ha avuto ruoli cinematografici in una decina di film e in due opere teatrali, ha scritto di poesia e di storia, cultura e tradizione popolare rom, in particolare il suo ultimo libro: Le verità negate – Storia, cultura e tradizioni della popolazione romanì pubblicato con Meltemi Editore nel 2021 è una sorta di esaustivo trattato elaborato dopo 37 anni dedicati allo studio e alla ricerca.
Nel contempo l’attività musicale che ha svolto parallelamente lo ha condotto dal 1986 ad oggi ad essere giunto al suo ventiduesimo disco: Romanò Simchà, Festa Ebraica Rom, Officine della cultura. La musica rappresenta davvero l’essenza della sua vita, tanto che ha una scuola di musica a Lanciano, e ha lavorato alacremente per produrre un patrimonio scritto su tutto quello che non abbiamo mai saputo della musica romanì, a cui è dedicato un importante capitolo del libro sopracitato ‘Le verità negate’.
Possiamo dare una definizione di musica romanì?
Per musica romanì si intende una musica vocale e strumentale transnazionale, spesso semi-improvvisata, caratterizzata da diversi stili che hanno in comune un’immediatezza di comunicazione, dei ritmi sovente complessi ma fluidi e trascinanti su cui si innestano melodie cariche di pathos o di brillante energia; sono stili spesso influenzati dall’eredità musicale orientale, con l’impiego, ove il canto e lo strumento lo permetta, dai quarti di tono e di fioriture ornamentali di ogni tipo.
Che funzione svolge la musica nelle comunità romanès?
Da sempre svincolate dai parametri di vita dei non-rom, le comunità romanès vivono la musica (basavipen) come espressione profonda dell’esistenza (dzivipen). La musica romanì è un’arte emotiva che si lega alla quotidianità: fa cantare, fa danzare, fa ricordare eventi e persone, evoca, immagina, sollecita stati d’animo.
Essa è una parte fondamentale della cultura romanì, perché nel mondo rom, il sacro, il magico, la comunità, il simbolico, le regole familiari (romanì kris) si fondono e si rafforzano. In tale modo le difficoltà e i dolori (dukh) di una vita vissuta ai margini di tutto (dos) sono maggiormente sopportabili. La musica allora gioca un ruolo determinante, non è solo mezzo di godimento estetico, ma anche mezzo di distensione psicologica ed emotiva. Con la musica, con il canto e la danza gli artisti delle diverse comunità romanès esprimono i sentimenti più profondi e l’intima esigenza di evasione da una realtà spesso soffocante a causa del pregiudizio e della costante discriminazione. Al musicista romanì non interessa tanto cosa suonare, ma piuttosto come e per chi suonare, perché la nostra musica riflette il nostro stato d’animo che ha fatto del dolore e della precarietà gli emblemi del proprio virtuosismo. La nostra arte è figlia di una esistenza travagliata che la rende graffiante, ribelle, triste, dissonante e melanconica ma nel contempo viva, trascinante, briosa e piena di ritmo incalzante. E questo temperamento forte e orgoglioso dell’artista romanò dà colore e condiziona le esecuzioni musicali.
Melodia e ritmo: quali contaminazioni ha subito la musica romanès?
La musica romanès risente degli influssi della musica antica originaria indiana, caratterizzata dal ‘raga’, che valorizza l’elemento melodico, e dal ‘tala’, che caratterizza l’andamento ritmico. Il ‘raga’ comincia con la melodia, che si sviluppa gradualmente sugli intervalli microtonali detti ‘sruti’, e l’esecuzione di un singolo ‘raga’ può durare da una quindicina di minuti a tre ore, limite teorico dettato dal cambiamento di fase del giorno: in India le 24 ore sono suddivise infatti in otto ‘spicchi’ di tre ore, ognuno dei quali è caratterizzato da un diverso sentimento dominante e da diversi ‘raga’ che possono essere suonati in esso.
Spesso i concerti di musica indostana durano interi giorni e notti, in cui numerosi musicisti e cantanti si susseguono con continuità in un flusso di musica quasi ininterrotto. E per questo che ancora oggi le feste romanès durano tante ore, spesso abbracciano due giorni e la musica è costantemente presente con l’utilizzo di melismi, di intervalli microtonali e delle scale di derivazione indo-orientale.
Della musica araba e mediorientale le comunità romanès hanno conservato l’accento sulla melodia e sul ritmo, i canti melismatici e le scale orientaleggianti. L’utilizzo degli abbellimenti e la ricca varietà di schemi ritmici usati per accompagnare i generi vocali e strumentali sono rimasti sostanzialmente gli stessi. L’omogeneità estetica delle strutture musicali, seppur evolute nel tempo, e il modo di concepire e vivere la musica sono rimasti invariati e identici per secoli nel mondo romanò.
Le comunità romanès dunque, in una perenne evoluzione, hanno saputo conservare straordinariamente, nel tempo e nello spazio, i propri tratti culturali, linguistici, musicali ed estetici essenziali (romanipen). Con la loro comparsa in Europa, le comunità romanès portarono il patrimonio artistico e musicale balcanico e orientale con canti intrisi di mielismi, melodie originali, ritmiche particolari, poliritmie inusuali, strumenti nuovi e danze sinuose e provocanti.
Insomma, musica, canto e danza, sono tutto per noi rom, invadono ogni campo della vita, ogni istante della giornata, ogni emozione, ogni accadimento, sono profondamente radicati nella nostra cultura, anche perché sono le espressioni artistiche che soddisfano le esigenze della filosofia edonistica, praticata dalla popolazione romanì nel corso dei secoli, per via della loro immediatezza.
Quali messaggi trasmette la vostra musica?
I messaggi sono plurimi e spesso contrastanti perfettamente in linea con la natura romanì: si passa da stati allegri e travolgenti, a stati commoventi e lamentevoli, da situazioni carezzevoli a interpretazioni assolutamente furiose. Spesso la musica rappresenta l’unico mezzo per comunicare e avere “ascolto” nel mondo esterno.
Che relazione c’è tra musica e danza?
C’è una stretta relazione fra l’esecuzione musicale (basavipen) e il movimento della danza (kelipen), tra la creazione spontanea e l’improvvisazione, fra l’individuo (dzeno) e la comunità (romano them), tra il canto (gili) e le sue variazioni, tra il ritmo trascinante e la calda ovazione, tra il patriarca (phuro) e i suoi familiari (familje), tra il consenso e l’approvazione.
L’interpretazione musicale e la danza sono creative, guidate dall’improvvisazione, cariche del proprio personale vissuto e delle conoscenze tramandate di padre in figlio, di generazione in generazione dall’antica scuola orientale. La popolazione romanì ha bisogno della musica per vivere, come un pesce dell’acqua del mare, perché la musica e la danza uniscono e consolano, sono portatrici dell’identità collettiva e della morale comune del popolo romanì. La festa nel mondo romanès è un momento solenne, intriso di sacralità, quasi un rito magico, a cui i membri della comunità partecipano volentieri per rafforzare il senso di appartenenza alla propria comunità. Musica e danza sono l’ingrediente essenziale della convivialità.
Quale dei diversi stili del patrimonio musicale romanès ne rispecchia meglio il carattere?
La csàrdàs rispecchia bene la concezione dualistica della vita del nostro popolo. Il termine ungherese significa “osteria, taverna”, che erano i luoghi dove i romanès erano invitati a suonare.
Questo stile ha una parte lenta (il lassan), in tonalità minore, melanconica, triste e una parte veloce (la friska), quasi sempre modulata in tonalità maggiore con un ritmo allegro vivacissimo. La csàrdàs in realtà trae origine dallo stile verbunko che in ungherese significa “ingaggio” perché l’ingaggio dei soldati reclutati nelle piazze avveniva accompagnata dal suono delle fanfare di musicisti rom che suonavano archi, clarinetti, cimbalon, cornamuse e trombe.
La cosa piacevole era che i soldati accompagnavano spesso la musica dei complessini rom con il martellio dei tacchi e il tintinnio degli speroni, dando a questo stile anche il carattere di danza.
Come si differenza la musica strumentale dalla musica vocale?
I due filoni in realtà non sono separati ma coesistono nello stesso repertorio. In genere le esecuzioni vocali (gila) sono contraddistinte da timbri acuti, spesso forzati o nasalizzati, e dall’utilizzo di melismi e di vibrati. I canti tradizionali rappresentano la ricchezza della nostra cultura orale. Spesso sono accompagnati dal movimento del corpo (kelipen), dal dondolio della testa, dallo schiocco delle dita e dal battito dei piedi. Esistono canti lenti e veloci, i bambini li apprendono dagli adulti, dai nonni che spesso cantano le canzoni della loro infanzia tramandandole oralmente e questo significa anche tramandare la lingua e la cultura millenaria romanì.
Il nostro inno Zgelem, Zgelem [Camminai, camminai] è stato scritto da Žarko Jovanović nel 1949, è il canto in cui si riconoscono tutte le comunità romanès distribuite in ogni continente.
Cosa ha apportato la tradizione musicale romanì al ricco mosaico culturale europeo?
Ha contribuito con colori e forme particolari che vanno dalla tradizione musicale orientale a quella dei Balcani, dal flamenco iberico-francese, allo swing sinto tedesco, belga e olandese, dal jazz manouche allo swing-musette francesi, dalla csàrdàs al verbunko ungherese alla musica russa.
Uno degli strumenti tradizionali che la popolazione romanì ha introdotto nell’Est Europa è il cimbalom, che deriva dal santur, uno strumento musicale persiano diffuso in Medio Oriente. È uno strumento che si trasporta facilmente a spalla formato da corde tese su una cassa a forma di trapezio che si percuotono con bacchette di legno la cui testa è ricoperta di pelle o di cotone.
In Abruzzo e Molise i rom hanno introdotto la zurla, uno strumento a fiato dalla forma conica allungata, dotato di doppia ancia e ricco di armonici. Nel Sud Italia hanno prodotto e diffuso lo scacciapensieri che ancora oggi in Campania viene chiamato “la tromba degli zingari”. È uno degli strumenti che accompagnava la tamorriata.
Chi sono i rom lautari?
Sono musicisti professionisti della tradizione romanès in Romania. Sono organizzati in gruppi detti Taraf, essenzialmente costituiti da membri della stessa famiglia. Ogni gruppo viene diretto dal principale solista detto Primas. Un tempo suonavano ad orecchio, oggi sono in grado di leggere ed eseguire partiture musicali.
La loro musica è davvero complessa ed elaborata, con un virtuosismo vertiginoso innestato su dense armonie e raffinate fioriture musicali. Sono tecnicamente straordinari e condensano diverse influenze: la musica pastorale rumena, la musica bizantina delle chiese ortodosse, la musica romanì e la musica turca. La loro musica è caratterizzata da improvvisazione, ritmo e creatività e si può facilmente accostare al jazz con un ritmo folklorico orientale.
Ai calè spagnoli si deve la conservazione e diffusione del flamenco, come lo definisci?
Prima che un’espressione artistica, il flamenco è un vero e proprio movimento filosofico che nasce dall’incontro interculturale e musicale di diversi popoli in un dato periodo storico: quello moresco, andaluso, ebraico e romanò al tempo della Riconquista.
Nasce in Andalusia e si diffonde in tre forme: il canto (el cainte), la danza (el baile) e l’esecuzione strumentale con la chitarra (el toque). Spesso si avvale di un accompagnamento ritmico (jaleo) ottenuto con un battimano (palmas) o da incitamenti vocali indirizzati all’interprete, vuoi che sia una cantante, una ballerina o un chitarrista.
È stato tramandato grazie alle feste familiari (juergas) dei calè che l’hanno poi diffuso in tutto il mondo con i loro concerti.
Ricordiamo che il flamenco esisteva già ai tempi di Cervantes che ne parla nel suo romanzo La gitanilla del 1613.
Nello stile jazz manouche ci fu un geniale chitarrista romanì che ne divenne il massimo esponente, ce lo presenti?
Jean-Baptiste Reinhardt, detto Django ha reso possibile l’unione tra l’antica tradizione musicale romanì del gruppo dei manouches e il jazz americano.
Era un chitarrista inarrivabile per quanto suonasse solo con due dita, l’indice e il medio, perché aveva una menomazione della mano sinistra. Lui inventò la “rullata di scale cromatiche” che si realizza con un solo dito che scorre sulla tastiera eseguendo tutte le note in senso ascendente o discendente in sincronia perfetta con la pennata.
Django è il soprannome romanès che significa “sapiente”, perché lui nacque con un talento innato per la musica e con l’orecchio assoluto.
Torniamo a te e al tuo Alexian Group, quali sono i musicisti che lo compongono?
Alexian Santino Spinelli (fisarmonica), Gennaro Spinelli (violino), Giulia Spinelli (violoncello), Evedise Spinelli (arpa), Davide Chiarelli (percussioni), Francesco Mancini (contrabasso), Marco Vignali (tromba e flicorno), David Perpetuini (clarinetto e sassofono).
Il tuo ultimo disco Romanò Simchà, realizzato in collaborazione con il tuo Alexian Group, con il compositore, cantante, flautista fiorentino Enrico Fink, con l’Orchestra Multietnica di Arezzo (Oma), quale messaggio vuole trasmettere?
Il disco è stato registrato con musicisti di alto profilo tecnico e artistico, Enrico Fink (voce, flauto), Alexian Santino Spinelli (fisarmonica), i Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo con Luca Baldini (basso, contrabbasso), Massimiliano Dragoni (percussioni, salterio), Massimo Ferri (chitarra, bouzouki, cümbüs), Gianni Micheli (clarinetti), Saverio Zacchei (trombone), Alexian Group con Gennaro Spinelli (violino), Silvia Faugno (voce), Marco Vignali (tromba), Davide Chiarelli (percussioni).
È un disco dove mondi musicali s’incontrano, tradizioni a confronto, contaminazioni timbriche e armoniche di due culture che più volte nella storia hanno incrociato il proprio cammino e che in Romanò Simchà dialogano sul palcoscenico dando vita a nuove strutture musicali.
Il mondo musicale Rom, rappresentato dalle mie composizioni, dalla mia storia familiare, dal mio carisma e dalla mia fisarmonica, incontra in questa festa ebraica rom il mondo musicale ebraico italiano veicolato da una delle sue voci principali, Enrico Fink, con il suo eclettismo musicale e la preziosa ricerca di canti capaci di raccontare la lunga storia di interazione e scambio della musica ebraica con le tradizioni popolari e colte italiane, pur mantenendo un’identità e un carattere tutto proprio.
Mondi storicamente vitali che, in questa occasione, si arricchiscono degli spunti e dell’impegno civile e sociale, oltreché musicale, dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, associazione impegnata da anni nel racconto dell’Italia delle mille culture, delle minoranze e delle differenze da valorizzare, nelle piazze, nei teatri e nelle scuole.
Dal folklore al romanismo, ci spieghi il progetto della musica etnosinfonica europea?
Si tratta di portare in scena un concerto etno-sinfonico che ha segnato il passaggio storico della musica rom dal folklore al sinfonismo dopo 600 anni di presenza delle comunità romanès in Europa e in Italia. Sul palco l’Alexian Group (Alexian Santino Spinelli alla fisarmonica solista, e i miei figli, Gennaro al violino solista, Giulia al violoncello ed Evedise all’arpa), ha interagito con i solisti dell’Orchestra Europea per la Pace e con l’Orchestra Sinfonica Gioacchino Rossini, diretta dal Maestro Nicola Russo.
Si tratta di un viaggio suggestivo, tra suoni e parole, sulle tracce di un popolo millenario. Dopo l’esecuzione dell’inno delle popolazioni Rom, Zgelem, Zgelem, con cui si apre lo spettacolo, il concerto prosegue con le musiche da me composte, oltre che con l’esecuzione sinfonica di brani rom celebri.
Di cosa ti stai occupando in questo momento e quali progetti si muovono nella fucina della tua fantasia?
I miei progetti sono numerosi e in questo momento in cui ricorrono le commemorazioni della Shoah e del Samudaripen sono invitato in molti eventi significativi.
Sto anche girando una serie Netflix con mio figlio Gennaro, Suburra, dove io come musicista interpreto i miei brani Paquito e Ah mri romni Ahmri chave, mentre Gennaro è nella produzione come consulente, infine, ma non meno importante, sto portando in concerto il mio disco Romanò Simchà con numerosi appuntamenti musicali dell'Alexian Group.