Tra i gioielli del nostro Paese che si può scegliere di visitare durante la primavera, oppure in estate quando sono presenti gli archeologi per i loro studi come accade al sito del Lucone, si possono scegliere i siti più antichi, che raccontano dei nostri antenati e di come hanno iniziato a vivere, tramandandoci usi e costumi che ci appartengono ancora oggi.
Quindi è interessante approfondire il sito transnazionale “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”, dal 2011 Patrimonio UNESCO. Il sito si estende per Svizzera, Italia, Francia, Germania, Austria e Slovenia e vi sono stati inseriti 111 villaggi palafitticoli dei circa mille che esistono, edificati a partire dal Neolitico fino all’Età del Ferro, pertanto un viaggio iniziato oltre 5mila anni prima di Cristo, fino a circa il 500 a.C. Attraverso quei siti possiamo conoscere la vita quotidiana delle più antiche comunità europee, grazie al recupero dei pali che sorreggevano le case e ancora infilzati nel terreno, oltre a suppellettili, tessuti, resti di piante e pollini: gli abitanti dei villaggi palafitticoli, infatti, furono tra i primi a coltivare i campi e ad allevare animali nella regione alpina.
I siti palafitticoli italiani che fanno parte della tutela sono ben 19, di cui 10 in Lombardia, poi 4 nel Veneto, 2 in Piemonte, 2 in Trentino e uno in Friuli Venezia Giulia. Ogni anno proseguono campagne di scavo per approfondire i siti e la conoscenza del passato: la scorsa estate al sito Lucone presso il lago di Garda sono stati scoperti interessanti e preziosi manufatti in numero sorprendente, che verranno studiati e poi posti in un museo. È stata del 28 aprile 1863 la scoperta dei campi di pali dell’Isolino Virginia e della palafitta di Bodio Centrale sui laghi varesini, che sono poi stati interessati da varie campagne di scavo negli anni, fino alla ripresa nel 2020.
La nota importante è che il legno si deteriora facilmente a meno che non si trovi in condizioni più che ideali, come sul fondo dei laghi o nelle torbiere. Nelle palafitte del lago di Monate sono state condotte le prime ricerche archeologiche subacquee del varesotto, che hanno precisato come gli alberi utilizzati per i pali necessari a costruirle siano stati abbattuti nel 1632, 1599, 1563 a.C., com’è stato stabilito dalla dendrocronologia. Due capanne, ad esempio, sono a due navate, a tetto a doppio spiovente e utilizzate per una ventina d’anni, con la sostituzione/riparazione dei pali. Il legno più utilizzato è stato di ontano, poi quello di quercia, quindi di frassino, olmo, acero, betulla e salice.
Quindi gli antichi sceglievano legni adatti alla permanenza in acqua, iniziando ad abbattere piante vicine al lago, per poi allontanarsi mano a mano che il numero di alberi diminuiva, addentrandosi nel bosco. I resti di fauna trovati dimostrano che venivano allevati caprovini e bovini, poco i suini; venivano cacciati i cervi. A volte i villaggi venivano abbandonati per allagamenti o per incendi. Nei loro pressi sono stati spesso trovati anche manufatti in bronzo come le asce.
Nel caso del ripostiglio della Malpensa una trentina di reperti sono stati rinvenuti insieme, forse perché raccolti in un contenitore andato perduto: ne fanno parte anche lame di falcetti e parti di armamenti di un guerriero, ma sono stati trovati in altre zone anche ami in osso e in bronzo, vertebre di luccio, galleggianti e pesi da rete, resti di aratri, tazze e molto altro. Molti reperti del varesotto si possono ammirare e conoscere al Museo civico archeologico di Villa Mirabello di Varese, situato nei giardini estensi della città.