Nel 1873, come attestato da un atto notarile, l’industriale Giorgio Enrico Falck acquistò una fabbrica nel lecchese i cui primi nuclei risalivano a prima del 1760. Poi ristrutturato, l’opificio consisteva in una fabbrica sociale con un maglio che modellava utensili in ferro. Quando Falck decise di trasferire l’attività a Sesto San Giovanni intorno al 1930, Alberto Gianola acquistò lo stabilimento dando vita ad ampliamenti e ristrutturazioni che presero il nome di Trafilerie di Malavedo. Esse, come molti altri siti, fanno parte della lunga storia che caratterizza Lecco e il suo territorio idoneo alla metallurgia, vista la presenza di miniere, boschi e acqua, quindi di materia prima, di legna per azionare i forni e di acqua per azionare le macchine. Il torrente Gerenzone era il fornitore della forza motrice, tanto che lungo il suo corso nacquero fucine e fabbriche, così come il lavoro degli abitanti del posto e la loro mentalità. Il corso delle acque venne sapientemente canalizzato in un complesso sistema che garantiva l’approvvigionamento per la produzione di materiali in ferro, rame, ottone. Nell’Ottocento l’attività si sviluppò ancora di più, grazie alle innovazioni tecnologiche, a motori che facilitavano il lavoro e a macchine che lo permettevano più agilmente.
La zona si sviluppò ancora, con fabbriche industriali e grandi laminatoi: anche se non perse mai la prevalente connotazione artigianale, divenne il terzo polo industriale italiano. Oggi le grandi industrie hanno lasciato il posto a imprese medie altamente specializzate. Gli enti locali hanno sapientemente trasformato il sapere antico in un agile tour anche eco-sostenibile che permette di visitare posti stupendi seguendo l’archeologia industriale. Si possono vedere ancora ponticelli e chiuse, mentre si cammina verso altri opifici, come il Bolis nato prima del 1819, poi Metallurgica Celeste Piazza che mantenne il maglio a caduta: produceva sottili barre metalliche che venivano arrotondate e poi trafilate, cioè fatte passare da una lastra di acciaio dotata di fori da cui si otteneva il filo di ferro.
Anche il Laminatoio di Malavedo, sorto dalla fusione di due fucine settecentesche, era gestito nel 1870 da Falck con Redaelli e Bolis e, da buona fucina grossa, forniva il materiale a quasi tutte le fabbriche lecchesi. Enrico Falck, di origini alsaziane, aveva importato la tecnologia a cilindri prima a Dongo e poi a Lecco, da dove si trasferì nel milanese per dare vita ai grandi complessi industriali. Nel 1906 il laminatoio divenne una cartiera e poi abbandonato per il lavoro, fino all’uso residenziale. Ad uso abitativo è diventato anche lo stabilimento che prima ospitava una filanda dove veniva praticata la torcitura del filo di seta; nel 1920 la filanda diventò un catenificio. Oltre alla lavorazione della seta, a Lecco si follava la lana per il panno, come avvenne per quella che sarà la Ditta Carera Felice & C., poi filanda e trafila proprio per i Carera. Sono state accatastate lì nel XVIII secolo ben sette ruote per la fucina, di cui ne rimane una. Durante la metà del XIX secolo Giuseppe Badoni introdusse nelle sue fabbriche innovazioni come il puddellaggio, cioè l’arricchimento della ghisa, e i forni a riverbero per poter costruire macchinari per la ferrovia e l’industria tessile: era stato realizzato il connubio tra metallurgia e meccanica, così la Badoni realizzò in tutto il mondo edifici in ferro, locomotive, linee ferroviarie e telefoniche, ponti, gasdotti.
Nel 1920 lo stabilimento aveva anche le turbine idroelettriche. Riproduzioni di una miniera di ferro medievale, di una fucina, reperti ferrosi dei Piani d’Erna (il più antico sito metallurgico delle Alpi), spiegazioni del processo di estrazione, fusione e lavorazione del ferro si possono trovare nel museo storico e archeologico di Lecco, sito nel Palazzo Belgiojoso. I punti di interesse storico individuati sono undici, raggiungibili alla scoperta dell’interessante legame tra uomo e natura nei secoli.