Questa famosa opera di Gentile da Fabriano – pittore (1370-1427), attivo a Venezia, Brescia, Siena, Firenze e Roma – conservata oggi nella Galleria degli Uffizi, e realizzata nel 1423 per Palla Strozzi (banchiere, politico, letterato, 1372 - 1462) nella Chiesa S. Trinità, rappresenta un capolavoro del nostro Quattrocento, con la sua trama fitta, sfarzosa e ricca di luce e colori pur trattenuti dall’immaterialità dorata dell’impianto artistico bizantino.
Protagonisti dell’evangelica scena sono i tre elegantissimi Magi, ritratti nel momento – seppur solenne, immobile e distaccato – di rendere omaggio al divin Bambino. Come sappiamo, i Magi sono circondati da una certa aria di mistero (anche alimentata dagli scarni dati evangelici), e oltre a non sapere esattamente chi fossero e da dove venissero, non sappiamo nemmeno il loro numero esatto; secondo la tradizione sarebbero tre, in quanto tre sono i doni che portano a Gesù bambino. Questi tre magi (“nome ingombrante e inquietante”, sul quale è prevalsa la qualificazione regale), sono chiamati a testimoniare il ruolo universale e divino di Cristo, adorato dai più potenti, ricchi, sapienti re della terra.
“Sapienza, potenza e ricchezza (la divinità dell’incenso, la regalità dell’oro, la preziosità dell’unguento ricavato dalla mirra) erano d’altronde le tre funzioni basilari della società… e fare dei magi il simbolo di tali funzioni significava trasformare l’episodio dell’adorazione in un compiuto trattato di teologia politica: e insegnare che il Cristo andava posto al centro di ogni attività, di ogni istituzione, di ogni aspetto della vita dell’uomo” (così F. Cardini, “I re Magi – Leggenda cristiana e mito pagano tra Oriente e Occidente”, Marsilio 2017). Interessante, poi, l’interpretazione offerta da Papa Francesco (nell’Angelus del 6 gennaio 2023), secondo cui gli stessi Magi ricevono anche loro tre doni. Il primo è la “chiamata”, essi “non l’hanno avvertita per aver letto la Scrittura o aver avuto una visione di angeli, ma l’hanno sentita mentre studiavano gli astri. Questo ci dice una cosa importante: Dio ci chiama attraverso le nostre aspirazioni e i nostri desideri più grandi. I Magi si sono lasciati stupire e scomodare dalla novità della stella e si sono messi in cammino”.
Il secondo è il “discernimento”, pur cercando un re non si sono fatti ingannare da Erode, e non sono rimasti nel suo sontuoso palazzo, ma vanno avanti attenti al segnale di Dio (sapendo distinguere “la meta della vita dalle tentazioni del cammino”). Terzo dono è la “sorpresa”, dopo un lungo viaggio questi uomini di alto livello sociale forse si aspettavano un Messia potente, e invece trovano un bambino con la mamma. “Eppure non pensano di essersi sbagliati, sanno riconoscerlo. Accolgono la sorpresa di Dio e vivono con stupore l’incontro con Lui, adorandolo”, sapendo trovare “la grandezza nella piccolezza che Dio tanto ama”.
La geniale e magnifica proposta artistica di Gentile da Fabriano presenta in primo piano i tre magi: a destra quello più giovane, alto, fiero, consapevole della propria forza e bellezza che sembra quasi ostentare il proprio dono (“E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”, Genesi 1,26.31; infatti “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi?... Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato”, Salmo 8,4).
Dopo abbiamo il re di mezza età, semi inclinato, che ha già capito le sofferenze e le delusioni della vita, ma che ha anche sperimentato il soccorso della Grazia divina (perché “Di ogni cosa perfetta ho visto il limite, ma la tua legge non ha confini”, Salmo 118,96). Infine, umilmente inginocchiato, abbiamo quello più anziano: con il capo scoperto, senza il dono già consegnato (in mano alle donne), perché il dono più prezioso è il dono di sé stessi, nell’amore. Al di là del rispetto dell’anzianità (“Non disprezzare un uomo quando è vecchio, perché anche di noi alcuni invecchieranno”, Siracide 8,6), può sorprendere che il più anziano si trovi ad essere il più prostrato davanti a Gesù bambino (tuttavia, “chiunque si innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato”, Luca 14.11; ed ancora “prima della caduta il cuore dell’uomo si esalta, ma l’umiltà viene prima della gloria”, Proverbi 18,12; “quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore”, Siracide 3,18).
Perché la vera grandezza consiste nel mettersi a servizio degli altri, in conformità allo stile di Dio, che si abbassa ed assume la natura umana (infatti “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua somiglianza con Dio; ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo”, Filippesi 2,5). Ecco dunque l’universalità umana – rappresentata dalle tre età dell’uomo – che può e deve adorare Cristo, in qualunque tappa del cammino terreno e in ogni condizione; anche se – come abbiamo visto – c’è un’età più propizia: quella della piena maturità, della totale fiducia in Dio e dell’abbandono salutare della superbia. Tra l’altro, questa idea di fondo della ricerca, del cammino, del dinamismo della Fede e del movimento benigno e operoso della Carità si riflette nella scena superiore del dipinto, dove si scorge con evidenza il lungo corteo processionale che si snoda tra le vie del mondo. Una suggestiva interpretazione, poi, propone di guardare i tre magi come fossero “fotogrammi di un unico movimento che parte dalla postura eretta del giovane, passa per quella inchinata dell’adulto per giungere alla prostrazione dell’anziano” (così Giovanni Cesare Pagazzi, “L’enigmatica ‘Adorazione dei Magi’ di Gentile da Fabriano – Vuoi giocare?”, in “L’Osservatore Romano” del 5 gennaio 2021, pag. 2), quasi una sintesi dinamica dell’unica realtà trinitaria.
Merita, infine, una breve annotazione il rapporto empatico e gioioso tra Gesù e il vecchio re barbuto: il primo nell’atto di giocare con la testa liscia che ha davanti a sé, ed il secondo nel gesto d’amore di baciare i piedini di Gesù. Il gioco rivela una superiore visione di gratuità, di relazione e di sapienza. Infatti, “Io la Sapienza, possiedo la prudenza e ho la scienza e la riflessione. Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività… Ero con lui come una giovane, ero la sua delizia ogni giorno, giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre”, Proverbi 8,12.22.30-31). Che è come dire, più amiamo, più ci abbassiamo, più viviamo i nostri rapporti nella disinteressata letizia e più siamo vicini a Dio, potendo anzi giocare con Lui, nella pace perfetta, perché “quando riponiamo la nostra Fede in Cristo, siamo identificati e uniti con Cristo” (Romani 8,1).