I tunisini, frustrati da un decennio di totale inefficienza politica e con la galoppante crisi economica e sociale, hanno creduto in Kaïs Saïed eleggendolo Presidente nel 2019 con una partecipazione al voto al secondo turno di circa il 55% degli aventi diritto e con una grandissima maggioranza (72,71%). Successivamente hanno ancora confermato in larga maggioranza la fiducia al Presidente dopo il 25 luglio 2021, quando ha avocato a sé i pieni poteri e schierato le Forze Armate; un’azione definita un golpe dal mondo intero e anche dagli islamici tunisini.
Le cose sono notevolmente cambiate dopo il referendum del 25 luglio 2022, con l’approvazione della nuova Costituzione, e successivamente con la vistosa diserzione alle elezioni parlamentari del 17 dicembre 2022, con la partecipazione dell’8,8% degli aventi diritto. Una diserzione che non è stato frutto della casualità, né è stato un fatto improvviso e inatteso, poiché già dal 25 luglio 2021, ma soprattutto dopo il 25 luglio 2022 ci sono stati forti segnali premonitori che trovano piena conferma nel famoso proverbio di origine remota: “Tanto tuonò che piovve”. Un proverbio che si fa risalire a Socrate e che ci induce alla prudenza e a non ignorare mai gli avvertimenti premonitori.
Le principali criticità tunisine
Dopo il 25 luglio 2022, le preoccupazioni per le successive elezioni da tenere nel mese di dicembre, hanno indotto i diversi partiti politici, le associazioni e movimenti vari tunisini a formare una coalizione nazionale per contrastare la politica del Presidente e agire per tentare di superare la crisi politica ed economica che stava mettendo in ginocchio il Paese. Si rendeva cioè necessario porre le basi per superare le ben note criticità, che hanno indotto quasi tutta la popolazione a disertare le elezioni, e che di seguito sono sinteticamente elencate:
- la galoppante crisi economica ed energetica;
- la crisi dei partiti politici che, essendo stati in Parlamento sempre l’un contro l’altro, sono stati di fatto delegittimati dalla popolazione sempre più scettica verso la loro capacità a risolvere i problemi economici e finanziari del paese;
- la perdita di consenso popolare di Ennahda, il partito di orientamento islamista moderato, di maggioranza relativa che in questa fase si è anche esso opposto alla politica di Saïed che in precedenza aveva sostenuto determinando la sua elezione;
- le tristi conseguenze del colpo di mano del 25 luglio 2021 da parte del Presidente con cui ha assunto un preoccupante crescendo di poteri assoluti;
- la vasta campagna contro l’opposizione condotta dal Presidente che ha cercato sempre più di delegittimare i partiti di opposizione puntando sul malessere della popolazione che non vedeva risolti i problemi che l’affliggevano;
- l’emanazione della nuova Costituzione, che legittima la nuova legge elettorale con l’elezione dei parlamentari a due turni uninominale, fortemente criticata di illegittimità dai partiti perché, così come è stata emanata, tende ad escluderli dalla vita politica, favorendo la candidatura di singoli candidati e non di candidati appartenenti a partiti politici;
- la certezza che, con la nuova Costituzione, sarebbe stato rieletto il Presidente e sarebbe stato eletto il nuovo Parlamento con particolari vincoli imposti nella formazione delle liste elettorali;
- la certezza che il nuovo Parlamento non avrebbe comunque potuto destituire il Presidente, né controllare e tanto meno censurare le azioni del governo e che le proposte di legge presidenziali avrebbero avuto la precedenza assoluta su quelle parlamentari;
- la consapevolezza che tali previsioni avrebbero ulteriormente limitata e forse anche annullata la voce dei partiti e delle varie associazioni.
In definitiva dall’approvazione della nuova Costituzione, con l’accentramento dei poteri da parte del Presidente e il conseguenziale annullamento del modesto livello di democrazia che era stato comunque raggiunto, c’era la diffusa sensazione che l’unica democrazia, ancorché debole, uscita dalla primavera araba sembrava ormai avviata verso una deriva autoritaria.
Crisi economica e finanziaria
A gennaio 2023 il rinvio della decisione del Fondo Monetario di concedere il forte prestito richiesto dalla Tunisia ha certamente aggravato la crisi economica tunisina e creato forti tensioni interne. Nell’articolo sul sito di Al Jazeera del 19 Dicembre 2022 è scritto che «la Tunisia, ancora una volta, è una bomba pronta a esplodere. E le finte elezioni di sabato non hanno fatto nulla per disinnescarla».
Certamente non è stato un caso se l’UGTT (Union Générale Tunisienne du Travail), che è il più potente sindacato tunisino che all’inizio aveva sostenuto l’ascesa di Kaïs Saïed, ora sia passato dall’altra parte. Ed è stato proprio il Presidente dell’UGTT, come riportato in “Vatican News” del 21 dicembre 2022 che ha ritenuto che nell’attuale difficile situazione economica il popolo alla fine "affermerà la propria volontà attraverso la lotta e la pressione".
Nello stesso comunicato è riportato che l'agenzia internazionale di rating Moody's in una nota emanata subito dopo le elezioni, a seguito della notizia del rinvio a gennaio della richiesta di esame definitivo del dossier tunisino già fissato per il 19 dicembre, ha affermato che « Il ritardo nel raggiungimento dell'approvazione finale in favore della Tunisia di un nuovo programma del Fondo monetario internazionale (Fmi) rischia di aggravare una posizione del finanziamento già difficile e di erodere le riserve di valuta estera». Ed è anche riportato che, in merito alla futura decisione sull’assegnazione dei fondi gli Stati Uniti avanzano serie riserve.
Infatti, come dichiarato dal portavoce Ned Price del 18 dicembre 2022: «Le elezioni parlamentari che si sono svolte in Tunisia il 17 dicembre rappresentano un primo passo essenziale verso il ripristino della traiettoria democratica del paese. Tuttavia, la bassa affluenza alle urne rafforza la necessità di espandere ulteriormente la partecipazione politica nei prossimi mesi. Mentre il processo elettorale continua nel 2023, ribadiamo l'importanza di adottare riforme inclusive e trasparenti, tra cui il potenziamento di una legislatura eletta, l'istituzione della Corte costituzionale e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti i tunisini». Sono parole che non hanno bisogno di particolari interpretazioni.
Crisi energetica
La Tunisia non è stato mai un grande produttore di energia, ma un consumatore. L’attuale crisi energetica, che si somma alle altre crisi (sanitaria, alimentare, ecc.) spesso legate in buona parte alla stessa crisi energetica, ha contribuito certamente alla criticità generale di questo Paese partecipando fortemente al deficit economico generale. Negli ultimi 10 anni le poche risorse energetiche tunisine sono diminuite sempre più e il deficit energetico è più che raddoppiato incidendo pesantemente sulla bilancia economica del Paese.
La primavera araba ha contribuito negativamente, infatti, non essendoci stata una successiva stabilità politica sono diminuite anche le ricerche delle risorse energetiche naturali. Inoltre, è stato lento l’incremento di fonti energetiche alternative poiché non c’è stato un serio programma energetico nazionale e non potrà mai esserci fin quando non si avrà una stabilità governativa sostenuta dalla maggioranza della popolazione.
Crollo del potere d'acquisto
La scarsa gestione dell’economia ha portato la Tunisia a un alto livello d’inflazione che, soprattutto negli ultimi dieci anni, sta fortemente condizionando la vita della popolazione, erodendo anche i pochi risparmi di quelli che avevano avuto la fortuna di accumularli e rendendo invece insostenibile la conduzione della vita quotidiana per la maggior parte della popolazione.
Sul sito è possibile avere una chiara visione degli effetti inflattivi in Tunisia. Ad esempio, in Tunisia nel 2021 c’è stato un tasso d’inflazione di 5,7%, contro 1,9% dell’Italia. Un articolo che costava 100 dinari nel 1984 è stato fatturato a 601,14 dinari all'inizio del 2022 per la forte inflazione. Di pari passo all’indice d’inflazione sembra sia cresciuto anche l’indice di corruzione, quest’ultimo è stato uno degli elementi che il Presidente ha portato a giustificazione delle proprie azioni e in particolare all’azzeramento del parlamento, ma sembra che poco sia cambiato anche in tal senso.
La delusione del popolo tunisino
I tunisini, frustrati da un decennio di totale inefficienza politica e con la galoppante crisi economica e sociale, subito dopo il 25 luglio 2021 hanno creduto ancora nelle azioni di Saïed. Hanno creduto che egli, con le sue azioni, avesse potuto fare superare l’impasse in cui si trovava il Paese bloccato dalle opposizioni politiche al governo dovute ai forti contrasti tra Ennahda e la maggior parte degli altri partiti.
La fiducia del popolo si fondava soprattutto sulla speranza di una veloce soluzione alle sofferenze economiche, purtroppo in Tunisia dal luglio 2021 si è avuta una crescita dell’inflazione, della disoccupazione e delle diseguaglianze. A causa di ciò mutò velocemente il sentimento del popolo verso Saïed e il Presidente venne visto come un vero autocrate che non era riuscito a migliorare minimamente la vita dei tunisini e le sue azioni causavano una costante curva discendente nel settore economico che creava ansia e preoccupazione nell’attesa delle elezioni.
Gli aspetti sopra menzionati, assieme ad altre criticità sempre derivanti principalmente dall’applicazione della nuova Costituzione, sono state certamente tra le motivazioni che hanno indotto la popolazione a far cambiare velocemente l’indice di gradimento nei confronti del Presidente.
Prima del referendum del 25 luglio 2022, il Presidente giustificava la necessità della nuova Costituzione per modificare l’andamento del post rivoluzione attraverso modeste modifiche sul rispetto dei diritti umani, per creare un sistema elettorale più evoluto e più efficace, con un parlamento più rispondete alla rappresentatività della popolazione. Di fatto nessuno di questi propositi è stato messo in atto con la nuova Costituzione, anzi, oltre a tentare di annullare tutti i partiti è stata minata l’indipendenza della magistratura, poiché il Presidente avrà il potere di licenziare sommariamente i giudici e sembra che già lo stesso giorno dell’emanazione del decreto del 12 febbraio 2022, sciogliendo il CSM ne abbia costituito uno nuovo, licenziando alcune decine di magistrati. Non è risuscito a risolvere neanche il problema religioso, facendo rientrare dalla finestra ciò che aveva formalmente e a parole fatto uscire dalla porta.
Sulle elezioni del 17 dicembre 2022
Per quanto sopra descritto non può essere dunque frutto della casualità se oltre il 91% degli aventi diritto al voto hanno disertato le elezioni, trovandosi d’accordo contro le azioni del Presidente tutti i partiti di opposizione, islamisti e non, assieme ad associazioni e movimenti politici vari. È evidente che ci sono stati fatti eclatanti per riuscire ad unire, in così breve tempo, tutte le opposizioni politiche e anche la maggior parte di quelli che avevano sostenuto il Presidente anche dopo il 25 luglio 2021. Un’affluenza così bassa non sembra essersi mai verificata nel mondo nella storia moderna. Un’affluenza che lascia seri dubbi sulla legittimità stessa di queste elezioni, il cui risultato è definibile come un vero e proprio “crollo della nascente democrazia”.
Il risultato delle recenti elezioni ci fornisce un termometro della situazione di alta criticità sociale e politica appresentata anche dal bassissimo numero di donne candidate, il 16% circa del totale. Infatti, la carenza di clausole previste dalla nuova Costituzione per la maggiore rappresentatività delle donne in parlamento ha causato una forte critica sulla disparità di genere, ha comportato una bassissima percentuale di donne presentate che al secondo turno e a causa del nuovo sistema elettorale, sarebbero poi di fatto sparite. È altresì da evidenziare che si è votato su 161 circoscrizioni elettorali, alcune addirittura con un solo candidato, mancando così la vera rappresentatività del popolo, un fatto anch’esso fortemente criticato. Una vera tendenza al ritorno del sistema patriarcale, che rappresenterebbe un arretramento culturale e un fallimento della primavera araba.
Il risultato delle elezioni, al di là di qualsiasi eventuale difficile interpretazione, sancisce che un’ampia maggioranza della popolazione non crede più nell’attuale percorso politico tracciato dal Presidente della Repubblica pur avendo egli assunto i tutti i poteri e non crede più che il nuovo governo, che nascerebbe dalle condizioni poste dopo il luglio del 2022, possa garantire condizioni di vita migliori di quelle attuali che, in realtà, sono sempre più peggiorate.
Dopo che nel 2011 milioni di persone avevano chiesto a gran voce «libertà e dignità». Purtroppo, di queste due importanti parole solo in parte si è concretizzato il loro significato. La maggioranza della popolazione, dopo avere dato piena fiducia al Presidente Kaïs Saïed, salito al potere nel 2019 con le sue chiare dichiarazioni di volere sradicare la corruzione ingaggiando una intensa lotta contro tutti i partiti, compreso il partito Ennahda, si è accorta tardivamente di avere commesso un errore. Si è accorta di avere lasciato la porta aperta al Presidente per il suo colpo di mano del 25 luglio 2019, giorno della festa della Repubblica, in cui ha azzerato le istituzioni tunisine congelando il parlamento e sciogliendo il governo.
Ciò nonostante il popolo tunisino continuò a sostenere ancora il suo Presidente subito dopo il suo annuncio dell’avvenuto congelamento del parlamento, quando egli giustificava tale azione dichiarando di volere salvare la Tunisia dai veti incrociati dei partiti che di fatto bloccavano il parlamento e dalla corruzione del sistema politico che non riusciva più a gestire la pandemia. Insomma, il popolo in larga maggioranza aveva accettato la giustificazione del gesto del Presidente per la situazione politica ed economica che risultava ormai ingestibile e nella speranza che venisse portato a termine il processo democratico già iniziato. Forse si è data poca attenzione al fatto che tale azione a era stata definita a livello internazionale un golpe, dunque in netto contrasto col concetto di democrazia.
Il malessere generale non tardò ad arrivare e si evidenziò in maniera vistosa dopo l’approvazione della nuova Costituzione nel luglio del 2022 che vedeva il crollo dell’adesione al voto con la partecipazione del 27,5% degli aventi diritto. Il Presidente ha tentato di tenere tranquilla la popolazione nascondendo la verità sul disastro economico in cui si trovava e si trova ancora la Tunisia, ostentando che nel paese tutto procedeva bene. Ma non è nascondendo la verità o facendo credere che i problemi non esistono che si possono superare le reali criticità del paese.
Fu quello il momento in cui, dopo un iniziale sbandamento, la popolazione cominciò a comprendere i veri obiettivi del Presidente e fu da quel momento che cominciò velocemente a cambiare l’indice di gradimento verso il Presidente perché cominciava a capire che l’applicazione della nuova Costituzione avrebbe potuto provocare un disastro con le prossime elezioni.
Il Presidente, da parte sua, non fece nulla per nascondere i suoi veri obiettivi. Infatti, con l’emanazione della nuova Costituzione sembra avere sfidato i partiti e le associazioni coalizzate contro di lui, mettendoli nelle condizioni di non potere più nuocergli qualunque sia stato l’esito delle nuove elezioni. Purtroppo per il Presidente l’esito sfavorevole della scarsissima partecipazione alle elezioni ha evidenziato una vera e propria delegittimazione popolare nei suoi confronti, un vero disconoscimento popolare della sua attività e dei suoi obiettivi.
L’approvazione dell’anomala nuova Costituzione rappresentò sicuramente l’elemento catalizzatore che nella popolazione ha fatto maturare velocemente, in pochi mesi, le decisioni di azzerare i sogni e le prospettive del Presidente e del suo entourage.
Considerazioni finali
Non vi è alcun dubbio che un’ondata di maltempo politico ha investito la Tunisia, un maltempo che è stato preannunciato da segnali precisi, da veri lampi e tuoni generati dal malessere della cittadinanza, dalle reazioni all’insolita nuova costituzione che mira ad annullare i principali diritti civili già acquisiti dai tunisini, di minimizzare la partecipazione delle donne al governo e dunque alle decisioni politiche per uscire dall’emergenza economica e sociale che si è creata. Sono stati segnali precisi che impongono una seria riflessione anche sull’opportunità di rimettere in gioco personalità che si erano distinte positivamente nel periodo precedente la Rivoluzione dei Gelsomini.
Sotto il precedente regime, assieme ad alcuni aspetti non positivi c’è stata certamente una qualificata presenza di politici, tecnici ed operatori economici preparati che avevano contribuito a far diventare la Tunisia l’oggetto di aspirazione per grandi investitori economici a livello internazionale. Dunque, perché non fare riemerge alcune di quelle personalità di comprovata esperienza e assieme a loro affiancare giovani e donne preparate ad assumere ruoli importanti nella governance del Paese?
Forse alcuni di loro hanno a suo tempo peccato, ma in una famosa parabola cristiana è riportato che Gesù, nel momento in cui molti uomini si apprestavano a scagliare le pietre contro una donna accusata di prostituzione disse le famose parole “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, e tutti gli uomini presenti si allontanarono. L’esempio è abbastanza eloquente e non credo abbia bisogno di spiegazioni per gli appartenenti a qualunque partito politico e che professano qualunque religione. La perfezione non dimora sicuramente in questo mondo.
Il Presidente Kaïs Saïed è un costituzionalista, ex professore universitario di diritto, persona colta che ha sempre dichiarato di volere una Tunisia in armonia, lontana dai fanatismi religiosi e inserita in un circuito internazionale che la possa vedere crescere economicamente e socialmente assieme alla crescita di una vera democrazia interna.
Ciò dovrebbe fare supporre che il Presidente potrebbe anche prendere atto della mancata condivisione del suo progetto da parte della popolazione e da parte di tutte le più importanti forze sindacali, industriali, artigianali, economiche e sociali del Paese, rassegnando le sue dimissioni come atto dovuto per amore verso il suo popolo. Un atto questo che potrebbe fare rialzare il gradimento nei suoi confronti da un’ampia parte della popolazione. Subito dopo le sue dimissioni potrebbe essere annullata la nuova costituzione, la cui approvazione è già stata fortemente contestata per illegittimità e potrebbero essere indette così le nuove elezioni secondo quanto previsto dalla precedente Costituzione, con la possibile candidatura anche di importanti esponenti dei vari settori produttivi e sociali.
L’alternativa potrebbe essere quella, anche in contestazione con la volontà presidenziale, di procedere, se ricorrono le sufficienti condizioni giuridiche, all’ufficiale annullamento della Costituzione e conseguentemente all’annullamento delle elezioni già in buona parte delegittimate anche da parte di importanti studiosi locali e internazionali del diritto.
L’ultima estrema ipotesi potrebbe essere, malauguratamente, l’esplosione di una nova rivoluzione i cui limiti sarebbero di difficile individuazione aprioristica; cosa certamente poco auspicabile per un popolo che versa già in profonda crisi economica e sociale. Le dimissioni del Presidente sono state evidenziate da più parti a livello nazionale e internazionale. Cito come esempio quanto è riportato sul governo del Presidente Saïed sul sito di “Al Jazeera” sopra citato «l'unica domanda è quando - non se - se ne andrà. E la grave situazione economica della Tunisia potrebbe significare che la sua caduta sarà più rapida che tardi».
La massiccia folla che, in occasione delle manifestazioni del 14 gennaio, anniversario della rivoluzione dei gelsomini del 2011, ha contestato fortemente il governo a Tunisi, conferma ancora una volta la via di non ritorno intrapresa dalla popolazione.
Infine, nel caso di nuove elezioni è auspicabile che possano farsi riemergere personalità che hanno dato, negli anni scorsi e anche sotto il governo di Ben Ali, precisi segnali di capacità operative, di avere saputo creare attività produttive, di avere portato a termine azioni politiche che hanno fatto segnare passi positivi alla Tunisia a livello internazionale. In particolare includendo tra queste persone gli industriali e anziani politici le cui capacità sono tutt’oggi incontestabili e verso i quali ancor oggi emergono sentimenti di simpatia e gratitudine da larga parte della popolazione o di personalità che sono state promotrici di iniziative industriali che avevano fatto incrementare la mano d’opera locale.
Uno degli errori del post primavera araba è stato certamente quello di vare fatto piazza pulita di tutti quanti avevano avuto contatti con i precedenti governi, senza che sia stata mai fatta alcuna valutazione su ciò che realmente avevano fatto di positivo, insomma, “è stato gettato il bambino insieme all’acqua sporca”. Nella foga della rivoluzione e nel dare colpa a tutti di tutto, nessuno si è preoccupato di separare il bene dal male e tutto è stato buttato via indiscriminatamente. Forse si è peccato di zelo, perdendo di vista ciò che era realmente recuperabile.
Sono state annullate di colpo grandi capacità politiche che avrebbero potuto dare un grande contributo anche in questa nuova fase di riorganizzazione del Paese per mirare ad una vera democrazia. Un errore grave che, essendo ancora trascorsi poco più di dieci anni, potrebbe essere in parte recuperato e integrato con nuova linfa derivata dall’apporto di giovani e donne che oggi presentano caratteristiche idonee per potere partecipare all’armonizzazione del Paese.