La morte, oltre a essere l’unica esperienza biologica inevitabile che certifica le nostre esistenze, rappresenta l’avventura più naturale e selvaggia che si possa sperimentare su questa pianeta.
Per la maggioranza delle persone la fine dell’esistenza terrena è un momento di transizione, di metamorfosi, di proiezione verso un universo senza materia.
Nonostante tutto, la ricerca dell'immortalità è il desiderio più grande di ogni essere umano. Inebriati da questo sogno, i cultori dell’eterna giovinezza per secoli hanno cercato di mettere in pratica ogni espediente per combattere l’invecchiamento e la conseguente decadenza del corpo.
Tra le classiche ricette di altri tempi, riservate a una ristretta cerchia di persone famose e potenti, spicca quella utilizzata dalla regina Cleopatra, la quale, per mantenere intatta la bellezza della sua pelle, era solita spalmare sul corpo un unguento a base di latte d’asina, olio di oliva, incenso e bacche di ginepro.
In alternativa, esistevano metodi decisamente più bizzarri, come dormire accanto a una vergine, cercando di inalarne il respiro, oppure accettare di sottoporsi a drastici trattamenti cutanei con estratti di placenta, punture di api, morsi di sanguisughe o bava di lumache.
Era possibile anche acquisire una buona dose di forza vitale facendosi trapiantare organi di animali. Un convinto sostenitore di questa strana forma di chirurgia fu il medico russo Serge Abrahamovitch Voronoff che, tra il 1920 e 1940, raggiunse fama e ricchezza trapiantando testicoli di scimmia nello scroto di varie persone facoltose, fortemente intenzionate a invertire il loro normale processo d’invecchiamento. Emulando le gesta di questo impavido sperimentatore, negli Stati Uniti, John Romulus Brinkley impiegò la stessa tecnica chirurgica, utilizzando dei montoni come ignari donatori.
Con le stesse finalità la dottoressa rumena Ana Aslan, dal 1950 al 1957, somministrò a oltre cinquemila persone il suo famoso Gerovital: un preparato a base di procaina, cioè un comune anestetico dalle presunte proprietà toniche e rigeneranti. Tra i molti personaggi famosi che hanno fatto largo uso di questo rimedio antinvecchiamento, figurano Charles de Gaulle, Marlene Dietrich, Charlie Chaplin, Conrad Adenauer e Paul Getty.
Il mito della giovinezza è anche il tema di fondo di molte opere letterarie e artistiche; basti citare Il ritratto di Dorian Gray, dove l’autore, Oscar Wilde, ispirandosi al dramma della fugacità della vita e al contrasto tra bellezza e dolore, afferma: «Com’è tragico! Io diventerò vecchio, brutto, ripugnante. E questa immagine rimarrà sempre giovane. [...] Oh, se si potesse realizzare il contrario! Se io potessi rimanere sempre giovane, e il ritratto diventasse vecchio! Per questo darei qualunque cosa! Darei la cosa più preziosa del mondo! Darei anche la mia anima per questo!»
In epoca moderna le cose non sono cambiate: sotto la spinta di un modello culturale basato esclusivamente sull’esteriorità e sul predominio delle immagini, cerchiamo di esorcizzare l’atavica paura della morte trasformando i nostri corpi in un’effigie di eterna giovinezza.
La pressione esercitata dai mezzi di comunicazione di massa ha accentuato un’ondata di vivo interesse soprattutto per la dimensione estetica del corpo. Tutto ciò che è giovane e bello, è sinonimo di felicità e appagamento sociale, ma un’esistenza vissuta solo in funzione di un bisogno estetico impedisce una seria riflessione sul concetto di qualità della vita, intesa come benessere fisico e mentale.
Apparire più giovani, sfruttando gli ultimi ritrovati della chirurgia, potrà incrementare il livello di autostima, ma non aiuta a mantenere integre le funzioni vitali dell’organismo.
Pensiamo di eludere le leggi della Natura sfoggiando corpi tonici, frutto di rotondità siliconate e di restauri chimici al botulino, ma nonostante i miracoli della chirurgia estetica e della chimica farmacologica quello che rimane è solo l’amara caricatura di un’utopia.
Sebbene nei paesi industrializzati l’aspettativa di vita sia aumentata a causa delle migliori condizioni igienico-sanitarie e dello sviluppo dei sistemi diagnostici, non esiste una strategia ben articolata, capace di mettere in atto efficaci strumenti di prevenzione nei confronti delle principali malattie cronico-degenerative che accompagnano la vita delle persone anziane.
Complessivamente si vive più a lungo, ma le disabilità acquisite e le patologie tipiche della vecchiaia sono aumentate in proporzione alla longevità della popolazione. Tale fragilità accentua il fenomeno dell’ospedalizzazione degli anziani che a sua volta incide negativamente sulle funzioni cognitive e sulle capacità di autonomia fisica delle persone.
Anche una cattiva alimentazione, l’abuso di alcool e fumo, uno stile di vita sedentario e una ridotta attività sociale contribuiscono ad alterare le funzioni cerebrali, coinvolgendo in particolare l’ippocampo e la corteccia prefrontale. Queste specifiche aree del cervello sono coinvolte nei processi della memoria e in numerose funzioni cognitive, comportamentali e motorie.
In passato, quando la vita sociale era scandita dalla ciclicità dei processi naturali, la vecchiaia era considerata un evento collettivo le cui radici affondavano nelle tradizioni e nella cultura popolare. Le persone anziane erano depositarie di saggezza e moralità, e incarnavano non solo gli ideali e la memoria del passato, ma anche la speranza nel futuro.
I nomi, i mestieri e la “terra” dei nonni e dei genitori erano, nel bene e nel male, la nostra dote materiale e spirituale nonché i pilastri della nostra identità personale.
Oggi i moderni eroi da emulare non sono più gli antenati che ci guardano da polverose cornici.
Il bisnonno generale, il padre chirurgo o lo zio esploratore non esercitano più nessuna attrattiva: i nuovi “maestri di vita” frequentano i talk show, i reality e dispensano la loro saggezza sulle pagine di facebook, tra l’immagine di un corpo scultoreo e quella di un piatto di bucatini all’amatriciana.