C’è una cosa che non ti dicono riguardo al cambiamento: cambierai.
Lavoro, amici, relazioni, hobby. Tu.
Ti sei mai chiesto cosa significa davvero cambiare?
Per usare la frase di Janet Finch, devi lasciare andare chi eri per diventare chi sarai e fin troppo spesso, al primo segnale di disagio, si torna di corsa nella propria zona conosciuta, sicura e confortevole.
Di lavoro, aiuto le persone e la prima di cui mi occupo sono io. Egoista? No, professionista e professionale. Diffida di chi ti racconta favole anziché storie, di chi ti consiglia di armarti e partire senza aver mai combattuto una sola battaglia, di chi ti mostra lo schema per vincere partite a cui non ha mai giocato.
Nelle prossime righe voglio parlarti delle fasi del cambiamento e della terra di nessuno, quella zona grigia che intercorre tra chi sei all’inizio del tuo percorso e chi sarai alla fine. Anche se, nella crescita personale, una vera fine non c’è.
I cambiamenti destabilizzano e lo fanno tutti, quelli inaspettati e quelli desiderati. Al cervello piace la predittività e all’essere umano piace la prevedibilità.
Le quattro fasi del cambiamento
Il processo di trasformazione si divide in quattro fasi:
Caos / incertezza.
Riflessione / esplorazione.
Riorganizzazione.
Rinnovamento / accettazione.
La rottura dello status quo porta con sé incertezza, disordine e ti fa sentire destabilizzato. La confusione, la nebbia sollevata dal crollo delle certezze – o presunte tali – annebbiano la tua vista e ti senti sopraffatto. È naturale provare ansia, paura o tristezza quando l’ordine conosciuto è perso e il nuovo è ancora lontano.
Il caos apre le porte della dissonanza cognitiva, cioè il disagio provocato dal conflitto interno tra valori, convinzioni, atteggiamenti e comportamenti agiti e informazioni esterne. A questo punto nascono domande, dubbi, e inizia una fase introspettiva ed esplorativa. Inizi a camminare nel nuovo territorio osservandone la conformazione, chiedendoti dove vuoi andare e perché.
Il movimento è lenitivo, l’azione rischiara il cielo dalle nuvole del dubbio e il paesaggio non è poi così male. Questa è la fase riorganizzativa, dove sperimenti un nuovo equilibrio, la paura scende all’aumentare della sensazione di pace ritrovata. È come la quiete dopo la tempesta.
Infine, con nuova chiarezza e serenità, puoi accettare il cambiamento. Le lezioni apprese nelle fasi precedenti aumentano il tuo senso di auto-efficacia, sei più resiliente e finalmente puoi goderti i frutti delle tue fatiche.
Sulla carta funziona così e a parole siamo tutti bravi, ma com’è nella vita reale?
Cosa significa davvero cambiare
Personalmente i cambiamenti mi piacciono poco, anche quelli voluti. Ed è per questo che ho imparato a padroneggiare le emozioni e i passi necessari per affrontarli, per aiutarti a fare altrettanto. Questo mi permette non solo di parlare di evoluzione, soprattutto di guidare gli altri nella loro crescita personale.
La resistenza al cambiamento è onnipresente in ognuna delle quattro fasi. Va e viene con un movimento ritmico come le onde del mare e quando il vento soffia puoi esserne travolto o imparare a stare in piedi sulla tavola.
Il caos iniziale è quasi piacevole in confronto al silenzio assordante che percepisci dopo il crollo del mondo conosciuto e ti ritrovi nella terra di nessuno.
La terra di nessuno è quella zona grigia che esiste tra chi eri e chi sarai. È un posto freddo, desolato, scomodo. A nessuno piace stare lì. Neanche a me, ecco perché capisco come ti senti.
Nella terra di mezzo puoi sentire l’eco delle domande che ti poni rispetto alla bontà delle scelte fatte e di quelle che ti fanno gli altri: perché lo fai? Perché non lasci perdere? Perché non sei più dei nostri?
Fa un gran male, brucia come quell’ultima serie di addominali. A chi piacciono i crunch? Però li facciamo lo stesso.
Non sei più chi eri, non sai chi sei. Hai lasciato quelle relazioni che ti trattenevano nel dolore. Sei saltato fuori dal pentolone dell’acqua prima di cuocere come nella storia della rana bollita e non sai dove andare. Il tuo pelo è arruffato, un po’ vecchio, un po’ nuovo, come un lupo quando fa la muta.
Fa male, sì, ma è proprio in quel dolore che si costruisce la tua forza.
É che spesso non ti raccontano questa parte della storia, ma voglio farlo io. Perché è qui che nasce la tua resilienza, è qui che puoi apprendere le lezioni più importanti di tutto il processo, è qui che si vede la differenza tra chi dice di voler fare qualcosa di nuovo e chi lo fa.
E proprio tra una fase e l’altra, ci si ritrova in un luogo particolare: la terra di nessuno.
La terra di nessuno: la zona grigia del cambiamento
“Tutti vogliono mangiare, pochi hanno la volontà di cacciare” - lo scrivono anche sulle magliette.
La terra di nessuno è quel posto dove te ne stai a lavorare sulle tue idee e sui tuoi progetti, mentre i tuoi amici tirano l’alba tra un bicchiere e l’altro.
La terra di nessuno è l’allenamento in palestra al posto del binge watching.
La terra di nessuno è credere in te stesso quando gli altri dubitano.
La terra di nessuno è quando piangi travolto dall’incertezza.
La terra di nessuno è quando ridi per il raggiungimento dei primi traguardi.
La terra di nessuno è sapere che hai tutte le carte in regola per farcela.
La terra di nessuno è l’aria fresca sul viso dopo giorni, settimane, mesi, anni chiuso nello scantinato.
La terra di nessuno è temporanea e, alla fine, ti mancherà.
Eppure, anche la terra di nessuno non è eterna. Superarla significa completare il processo e scoprire un nuovo sé.
Sulla carta il cambiamento è uno schemino in fasi fatto di parole vuote, in realtà è un’esperienza unica, personale, profonda, liberatoria che trasforma la ghianda in quercia.
So come ti senti, sono qui per questo.