Ricordo l’anno, l’ora, il giorno. Mattina presto. Suonano al citofono. “Dottore, dottore... mi apra, devo parlarle”. Cosa succede? Vado incontro al paziente lungo il vialetto che porta dal cancello alla mia casa. Bellissima giornata di sole.

Da lontano… “mia figlia è in rianimazione. Sta morendo.” Ha 20 anni. La morte mi manda un messaggero. Non una lunga storia di sofferenza o un corpo inanimato che richiede un sopralluogo e un documento: un uomo che mi viene incontro. Siamo vicini, scattano meccanismi istintivi, non è il momento della razionalità. Essere medico non conta, cos’altro direbbe un avvocato, un architetto, un ingegnere… Ci abbracciamo… “cosa è successo?” “Questa notte, un incidente.”

Un banale scontro tra due auto ha posto fine alla vita di due ragazzi e distrutto molte altre. Una delle vite che non saranno più è di fronte a me, presenza testimone di un’assenza. Irreversibile, irrevocabile.

S. se n’è andata, non ci sarà nessuna costruzione di storie, liete, tristi, devastanti, non ci saranno gioie da condividere.

Al loro posto c’è una storia arrivata a destinazione, un destino beffardo, un ritorno impossibile, nessuna possibilità di riprovare, di recuperare.

Verrà il tempo del non detto, del non dedicato, dei colloqui rinviati ad un futuro che non sarà. Ci saranno le vite di chi resta, il tentativo disperato di ritrovare un senso, un vettore. Non so cosa dire. Non mi è mai capitata una situazione simile. Ho avuto questa fortuna.

La razionalità tenta di farsi largo nel mare dell’emotività.

Mi vengono in mente frasi banali, patetiche… “almeno non ha sofferto… forse avrebbe scelto lei stessa di morire così…” Sciocchezze. Per fortuna dico solo che mi dispiace moltissimo e che andrò subito in ospedale.

Ho incontrato successivamente altre storie di morti giovani. Altre volte nel corso della vita, professionale e personale, ho fatto i conti con quella che il cardiologo B. Lown definisce:

destinazione che non è stata anticipata da un viaggio preparatorio… lascia la vita incompiuta, un fantasma che si attarda senza essere esorcizzato e ossessiona i vivi.

Ho imparato quanto il decesso inaspettato limiti nei superstiti la possibilità di venire a patti emotivamente con la perdita. Quanto, soprattutto nei casi di persone giovani, al dolore per la perdita della persona cara si aggiunga il tormento per la sensazione di ingiustizia, di inspiegabilità, di sovvertimento dell’ordine naturale delle cose.

I fratelli superstiti vengono posti, brutalmente, spesso per la prima volta, di fronte alla precarietà dell’esistenza, alla finitezza della vita umana. Si trovano per giunta caricati da eccessive attenzioni, assillati dal timore dei genitori che temono con orrore di rivivere la stessa situazione.

Di fronte a eventi così complessi mi sono sempre sentito investito di un compito al di sopra delle mie forze. Ho sempre peraltro avvertito la responsabilità di essere vicino alla famiglia, di assicurare la mia impacciata ma premurosa presenza.

Di utilizzare come principale riferimento, in mancanza di una formazione adeguata, l’esperienza personale, la cultura e la sensibilità.

Questa, forse inevitabile, “improvvisazione” mi ha spesso provocato una sensazione di inadeguatezza, il timore di compiere errori. Ho sempre cercato peraltro di evitare la facile tentazione del distacco, la fuga dalle responsabilità, umane e professionali, di evitare ai familiari una ancora maggiore solitudine nell’affrontare l’evento drammatico che li aveva travolti. Non credo di esserci sempre riuscito…

La morte cardiaca improvvisa (Sudden Cardiac Death, SCD) è definita come una morte inattesa, determinata da cause di origine cardiaca, che si verifica entro un'ora dalla comparsa dei sintomi, o anche senza l'insorgenza di sintomi, in soggetti con o senza cardiopatia nota preesistente, ma in cui l’epoca e la modalità di morte sono imprevedibili.

Circa l’80% delle morti cardiache improvvise è causato dalla cardiopatia ischemica, principalmente nelle classi di età più elevata. Viceversa nelle classi di età più giovani è maggiore la prevalenza di cardiomiopatie aritmiche o cardiopatie congenite non diagnosticate.

La morte improvvisa si manifesta in prevalenza nel sesso maschile (circa 60%) in tutte le classi di età, in particolare è la principale causa di morte nei maschi di età compresa tra i 20 ed i 60 anni. L’incidenza è di circa 1/1000 individui all’anno ed aumenta a circa 8/1000 soggetti all’anno affetti da cardiopatie note. In Italia è responsabile di circa 50.000 decessi all’anno. L’incidenza aumenta con l’età: è bassa durante l’infanzia e l’età pediatrica (1 caso per 100.000 persone all’anno) ma poi raggiunge circa 50 casi negli individui di età compresa tra 50 e 60 anni e 200 casi per 100.000 persone all’anno nell’ottava decade di vita.

Nei bambini, in particolare entro i primi 6-12 mesi di età, si parla più precisamente di sindrome della morte improvvisa infantile, in inglese Sudden Infant Death Syndrome (SIDS). La morte cardiaca improvvisa è un evento non infrequente negli sportivi, sia dilettanti e amatoriali che agonisti. L’incidenza della morte improvvisa tra gli atleti è simile a quella della popolazione generale, tuttavia fa particolarmente impressione perché si verifica solitamente in individui giovani (età inferiore ai 35 anni) e apparentemente sani che, anche in virtù del livello di attività fisica che svolgono, e dei controlli a cui sono sottoposti gli sportivi nel nostro Paese, sono ritenuti a basso rischio di problemi cardiaci.

Bibliografia

Morte improvvisa.