Immaginiamo se a inaugurare la nuova stagione scaligera fosse stata Da una casa di morti o Lady Macbeth di Mcensk, tanto per citare due titoli tra le opere meno popolari, purtroppo, del repertorio corrente. Così come accadrà per la prossima stagione con Fidelio, e per quella successiva ancora con la verdiana Giovanna d’Arco, è abbastanza probabile che il successo sarà straordinario. I titoli sono infatti non abbastanza celebri da permettere alla massa di “critici” improvvisati di esprimersi al meglio e forse si eviterà la serie di banalità che hanno invaso pagine online, colonne di facebook, twitteraggi e similia in occasione di quest’ultimo 7 dicembre. Taceranno come i Fieschi oppure, meglio, diranno mirabilie anche delle oscenità?

L’aspetto più fastidioso è che questo coacervo di allenatori della vocalità si esprime dal proprio scranno domestico, dimentico che il primo requisito per poter avanzare un giudizio è andare a vedere gli spettacoli in teatro, essendo ovviamente il risultato televisivo sempre difforme e parziale. Tanto basta però al popolo di facebook e twitter, dei blog e di certi patetici corrieri online, accomodati sul divano ma confortati dal rabbioso loggione scaligero, per decretare in diretta una condanna senza appello e unanime alla Traviata firmata Tcherniakov e Gatti. Condanna ingiustificata e incomprensibile che non si è ripetuta infatti, o comunque decisamente in toni più moderati, durante le repliche. Superata la frenesia del S. Ambrogio, in sala è tornato un pubblico più sobrio e appassionato, che ha potuto apprezzare e valutare lo spettacolo con maggiore serenità. Ad esempio l’abbonata storica del turno B, la sera del 15 dicembre, commentava: «mi è piaciuta: senza crini e merletti, ma il succo c’è!». Semplice ma efficace giudizio di uno spettacolo che effettivamente non è di quelli che stravolgono, ma ha avuto il merito di presentare un’opera abusatissima da una prospettiva diversa e non scontata.

Se i luoghi e le situazioni sono infatti abbastanza tradizionali, è il contesto sociale e il dramma interiore della protagonista ad essere esasperato. Dmitrij Tcherniakov, quarantenne moscovita, è oggi uno dei registi più interessanti nel panorama internazionale; alla Scala aveva già debuttato con grande successo nel 2009 con una produzione di Eugen Onegin proveniente dal Bolshoi di Mosca e si attendeva quindi con grande curiosità questo nuovo allestimento di Traviata di cui Tcherniakov firma sia la regia che le scene. Gli ambienti in cui si svolge il dramma sono tradizionali e abbastanza sobri: degli ampi saloni in stile classico, con pochissimo arredamento, sono come dei contenitori per accogliere una massa di umanità priva di valori. È una società basata sull’apparenza, perennemente in maschera; semplicemente uomini e donne di oggi, gravidi di vacuità morale e culturale. Ad essi si contrappone Violetta, non prostituta, non tisica bensì una donna sola che si aggrappa a questo mondo stancamente, annoiata forse anche di se stessa. Le è unica compagna Annina, un personaggio chiave della drammaturgia concepita da Tcherniakov: straordinariamente interpretata da Mara Zampieri, spesso la ritroviamo in scena - attrice consumata - capace di rendere gigante una parte musicalmente minima sempre confinata al comprimariato. Non serva, ma confidente, forse anche silenziosa amante, Annina partecipa al dramma condividendo il tracollo emotivo della protagonista ed è molto bella la scena finale del primo atto in cui Violetta con la sua aria “racconta” ad Annina, condividendo un bicchiere di liquore, la scoperta del nuovo amore.

Spostandoci in campagna si avverte la maggiore debolezza dello spettacolo: la scena, i costumi, l’ormai celeberrimo taglio delle verdure durante l’invettiva di Alfredo, e in generale un’atmosfera troppo da fattoria non restituiscono pienamente il dramma che si consuma. Si comprende la ricerca ostentata di quella quotidianità e apparente normalità di cui necessita questo amore tormentato, ma risulta tutto troppo artificiale e nel complesso non appropriato. Sono dunque gli interni borghesi le cornici dove Tcherniakov riesce maggiormente a sviluppare il dramma di Violetta, fragilissima donna tradita dalla vita. Le viene negata qualsiasi speranza ed è rinnegata impietosamente anche da Alfredo, che a fronte di una gentile apparenza si rivela egoista, vile, incapace di provare sia reali sentimenti che pietà. Violetta morirà di solitudine, di dolore, di rassegnazione: il terzo atto è il più crudo, ma anche il più interessante dal punto di vista registico, tutti gli interpreti assecondando straordinariamente l’intenzione di Tcherniakov di realizzare un dramma esistenziale moderno.

Tutti gli artisti coinvolti nella produzione hanno dimostrato ottima preparazione e perizia vocale: i due protagonisti, Piotr Beczala e Diana Damrau, sono tra i più noti e celebrati dello star system internazionale e confermano anche in questa produzione le proprie qualità, soprattutto la Damrau che ha fatto ormai suo il ruolo di Violetta e supplisce a un timbro non particolarmente seducente con una vocalità brillante, salda e allo stesso tempo robusta. Beczala, in forma migliore rispetto ad altri ruoli affrontati recentemente, ha costruito il personaggio di Alfredo in modo molto credibile e ha retto le numerose insidie vocali del ruolo con sicurezza, assecondando i tempi e le variazioni a volte inconsuete del direttore Daniele Gatti. Controllato, sicuro, sobrio e dal nobile accento il vecchio Germont di Željko Lučić. Tutti italiani, almeno, sono i titolari degli altri ruoli dell’opera, su cui naturalmente trionfa la già citata Mara Zampieri. Tra essi, di buon livello ciascuno, occorre ricordare Antonio Corianò, nei panni di Gastone, tenore giovane dalla bella e sicura vocalità, già ottimo interprete di Malcolm nel recente Macbeth al Maggio Musicale Fiorentino.

Daniele Gatti sul podio ha scelto di aprire tutti i tagli e revisionare personalmente alcune cadenze: non sempre l’esito è stato felicissimo, vedi la cabaletta del secondo atto di Alfredo, ma nel complesso è una direzione affascinante che si dipana con mestizia “raccontando” in musica il dramma con straordinaria aderenza al testo, alle intenzioni verdiane, e allo spettacolo raggiungendo nell’ultimo quadro, in un climax emozionale sempre crescente, il vertice dell’intero spettacolo.

Testo di Alessandro Di Gloria

La Traviata
Melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco M. Piave
Direttore
Daniele Gatti
Regia e scene
Dmitrij Tcherniakov
Costumi
Elena Zaytseva
Luci
Gleb Filschtinsky
Cast
Violetta Valery, Diana Damrau
Flora Bervoix, Giuseppina Piunti,
Annina, Mara Zampieri
Alfredo Germont, Piotr Beczala
Giorgio Germont, Željko Lučić
Gastone, Antonio Corianò
Barone Douphol, Roberto Accurso
Marchese d'Obigny, Andrea Porta
Dottor Grenvil, Andrea Mastroni
Giuseppe, Nicola Pamio
Domestico di Flora, Ernesto Petti
Commissionario, Ernesto Panariello
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore del Coro
Bruno Casoni