Petra, questa celebre sconosciuta. Chi non ha mai sognato guardando le foto fiabesche che la ritraggono nei dépliant turistici? Chi non si è mai lasciato trascinare dalla fantasia percorrendo la storia di questa splendente città lungo le rotte carovaniere dell'Oriente? Chi non si è fatto domande sull' antica popolazione, i Nabatei, scomparsi da secoli, che ne fecero la capitale del loro regno commerciale?
Petra è diventata un must del turismo internazionale e accoglie ogni anno frotte di visitatori estasiati di fronte ai suoi panorami mozzafiato. Nonostante la Giordania sia piena di fascino e di richiami, dal deserto roccioso del Wadi Rum alle grandiose rovine romane di Jerash, passando attraverso luoghi suggestivi pieni di reminiscenze bibliche, la città rosa è diventata ormai la maggiore attrazione del Paese.
Ma Petra non è solo un sito archeologico che racconta la storia dei secoli prima di Cristo. In realtà, quei monumenti imponenti hanno una vita segreta fatta di uomini e donne che ancora vivono nelle tombe nabatee o nell'adiacente villaggio di Umm Sayoun, dove il governo giordano, con moderata fortuna, ha tentato di spostare quella comunità. Sono i Bdul, i beduini di Petra, una società a se stante dalle radicate tradizioni arcaiche, che qui vivono da secoli e si sentono, a torto o a ragione, gli unici veri custodi di quelle montagne e di ciò che contengono.
A svelare ciò che si nasconde dietro la maschera della fiaba è una giovane donna romana che quattro anni fa ha fatto una scelta scomoda e coraggiosa, quella di sposare un beduino e di vivere a Petra condividendo, insieme alla poesia del luogo, anche i molti angoli inquietanti. Al cuore non si comanda e lei, Cristina Cori, famiglia borghese con papà imprenditore e una laurea in lingue e civiltà orientali, combatte battaglie quotidiane per affermare la sua libertà in una comunità dove la poligamia è usanza consolidata, i genitori esercitano forti poteri sui figli e i mariti li esercitano sulle mogli, dove lo stupro all'interno del matrimonio non è considerato un crimine e dove l'istruzione è un optional e l'analfabetismo una certezza.
È una storia, quella che ci racconta nel suo libro La vita segreta di Petra che dimostra la distanza incolmabile che esiste tra visitare un luogo splendido e famoso e viverci a lungo. “Ammetto che i miei sentimenti verso questa antica città rosa non potranno mai prescindere dall'uomo che mi iniziò alla sua vita segreta”, scrive. “In definitiva per me Petra non è solo un posto, ma anche e soprattutto un fiume tumultuoso di emozioni che si sono coagulate in un sentimento nuovo, mai provato prima”.
La vita nascosta di Petra - che i turisti non vedono - e la storia personale di una donna occidentale si intrecciano in un equilibrio instabile dalle sfumature a volte poetiche, ma più spesso ruvide e dolorose. Sono il rovescio della medaglia che va oltre l'apparenza della statuarietà di quelle immense tombe scavate nella roccia.
Cristina, quali sono i segreti della Petra vivente?
Prima di tutto la sua cultura, nello stesso tempo coinvolgente e inquietante. Inquietante perché bisogna confrontarsi con l’amara realtà di alcuni diritti che noi diamo per scontati, ma che per loro non lo sono affatto. C'è una sofferenza taciuta e rassegnata nel villaggio beduino che non si percepisce con una breve visita, ma che si scopre lentamente quando ci si addentra nella profondità della sua vita. Parlo delle donne, spesso invisibili o relegate al ruolo di animale domestico; dei bambini che crescono senza alcuna istruzione; della poligamia, tradizione ancora perfettamente ancorata; delle costrizioni imposte dalle famiglia; della contraddizione fra le consuetudini del villaggio, i legami tribali, l'Islam e la modernità introdotta dalle migliaia di turisti che arrivano ogni giorno, contraddizioni che scoppiano nell'uso di droga e alcol. Ma da Petra trasuda anche un'energia vitale, fatta di gesti semplici, di dolci tè bollenti all'alba, di fuoco che profuma di ginepro, di forti legami tribali.
Ha senso lasciare una vita comoda e un futuro normale facendo una scelta difficile e complicata. O è stata una sfida?
Certamente è stata una sfida, anche se non la cercavo a priori. Una scelta fatta ascoltando solo il cuore. Se fossi stata una persona razionale non l'avrei mai fatta. All'inizio era difficile: vivere in un villaggio beduino con una cultura così diversa da quella in cui sei nato e cresciuto non è stato rose e fiori. Però adesso, col tempo, mi sono creata un mio equilibrio. Prima è stata tutta una sorpresa, a volte anche spiacevole. Poi, quando cominci a capire, non sei più spiazzata. O almeno sai cosa ti devi aspettare.
Ma tutto è diverso: religione, istruzione, educazione, formazione....
Il mio stile di vita al villaggio non è certamente quello di un animale domestico, come la cultura beduina si aspetterebbe da me. Oltretutto, le persone che amo sono sparse per il mondo. A Petra ne ho solo una e spesso la sento costretta in una gabbia da cui non riesce ad uscire. Questo non fa altro che aumentare il mio senso di inadeguatezza e incomprensione. Ma è lì, in quell'intreccio di rocce, che mi pervade un senso di pace e di pienezza. E' lì che mi sento a casa.
Però alla fine del libro scrivi così: 'È vero, spesso mi sento esausta. Esausta di combattere contro una mentalità che fa acqua da tutte le parti e con una cultura che mi esaspera. Esausta di assistere all'ignoranza che quotidianamente calpesta la logica ed il buonsenso'. Come trovi la forza di resistere?
Quando mi sento oppressa devo tornare a respirare. E allora vengo in Italia, dove riesco a sollevarmi di nuovo. Ma dopo un po' sento di nuovo il bisogno forte di tornare a Petra. Per me Petra non è solo un sito affascinante, ma è piuttosto una vibrazione che mi richiama a sé, e quando le sto lontana a lungo finisco col provare fitte di nostalgia così forti che si tramutano quasi in dolore fisico.
Cosa ti piace a Petra che non c'è in Italia e viceversa?
In Italia mi piace la libertà: nessuno fa caso a come mi vesto, né mi chiede quando esco e quando rientro. Non è così al villaggio beduino. Quello che mi piace di più a Petra è invece il senso di appartenenza che hanno i beduini. Un senso di appartenenza che può diventare eccessivo, ma che ti fa sentire parte del tutto, al sicuro. In Italia non è più così da tempo. Là mi sento una di loro e loro mi hanno accolta senza riserve.
In questo libro, però, racconti anche episodi forti che potrebbero infastidire gli abitanti del villaggio e la tua stessa famiglia beduina. Come pensi che reagiranno al tuo ritorno?
Mentre scrivevo mi sono posta più volte questo problema. Sapevo di scrivere cose scomode e mi domandavo se non fosse più opportuno censurarle. Poi, però, ho optato per la verità. Sì, questo potrebbe crearmi dei problemi, perché i beduini sono permalosi e vorrebbero che della loro realtà si parlasse sempre bene. Non so come potranno reagire: è un punto interrogativo. Per ora mi aiuta il fatto che il libro è in italiano.
E tuo marito Raaed, cosa ne pensa?
Glielo dovrei tradurre…lui riesce un po' a leggere l'alfabeto arabo, ma soltanto un po'. Mi ha chiesto di che cosa parla il libro e quando gli ho detto il titolo è rimasto perplesso. Però non conosce i dettagli: non me li ha chiesti. Strano ma vero.
Se tornassi indietro faresti le stesse scelte, sposando un beduino e andando a vivere nel suo villaggio?
Farei le stesse cose, ma oserei di più. Nel senso che sarei più assertiva. All'inizio su molte cose mi sono arresa. Tornando indietro dispenserei molti più 'no'. Ma questo col senno di poi.
La vita a Petra ti ha dato più gioie o più dolori?
Sicuramente più dolori...tante porte chiuse. La mentalità delle famiglie è molto invasiva e questa cappa di controllo è pesante. Però è a Petra che voglio ancora vivere. Lì c'è la mia vita lavorativa, c'è l'amore, anche se non mancano alti e bassi dovuti soprattutto alla differenza di cultura.
Non ti spaventa la poligamia?
Moltissimo. Nel contratto matrimoniale ho fatto scrivere che non accetto altre mogli, ma legalmente lui potrebbe chiedere di averle.
Come pensi di educare i tuoi figli, se ne avrai?
Vorrei che almeno l'istruzione avvenisse in Italia...Ma quando mi viene a mente mi preoccupo talmente tanto che adesso non ci voglio pensare.
Qual è la tua paura più forte?
Che questa mia vita crolli e debba ricostruirmi un'identità cominciando tutto da capo.
Tu pensi di cambiare il mondo dove adesso vivi o alla fine sarai tu a dover cambiare?
Il mondo è più grande e più forte di ogni singolo individuo, quindi è inevitabile restarne coinvolti e forse anche succubi. Ma credo che gettare un seme contribuisca ai cambiamenti. O almeno lo spero.