Ricorrono ben 800 anni dalla fondazione dell’Ateneo Patavino, una delle Università più antiche del mondo. Per celebrare questo anniversario, l’Università di Padova e la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo hanno allestito una grande mostra che analizza il confine tra arte e scienza, colore e movimento e pone l’accento sulle sottili differenze che esistono tra il vero e quello che potrebbe essere vero ma non lo è. Il nuovo modello espositivo si snoda in due percorsi paralleli centrati sul tema centrale L’occhio in gioco Percezione, impressioni e illusioni nell’arte dal Medioevo alla Contemporaneità.
Luca Massimo Barbero è il curatore della sezione dedicata alla percezione, al movimento e all’optical come caleidoscopio e l’altra sezione denominata La scuola patavina di psicologia della percezione, il Gruppo N e l’arte programmata è invece affidata al prof Guido Bartorelli e al prof. Giovanni Galfano dell’Università.
Se il Gruppo N, formato tra il 1960 e il 1964 da un nucleo di artisti come Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa o Manfredo Massironi, esponenti di spicco dell’arte ottico-cinetica, si presenta come un’eccellenza di cultura e di ricerca, legate alla psicologia della percezione e alla sua eredità, Luca Massimo Barbero indaga sulla raffigurazione del cosmo e, dalle miniature e dipinti del Quattrocento che anticipano paralleli con l’arte cinetica e optical, ripercorre le tematiche della pittura antica, post impressionista, futurista e dinamica orfica del Novecento fino ad arrivare alle opere più recenti.
“La parte storica che vogliamo celebrare con la mostra L’Occhio in gioco con la Fondazione, con Silvana (l’editore del Catalogo) e con l’Università sono gli 800 anni e quindi l’idea è quella di celebrare un’ossessione dell’essere umano e, per quanto riguarda la sezione storica, la percezione e l’occhio come una delle vittime preferite, come dire dell’arte, della scienza e degli artisti rispetto alla sollecitazione visiva” spiega il curatore Luca Massimo Barbero.
Nel titolo dell’evento è riassunto l’arco della storia dell’arte considerato e si parte dagli inizi dell’umanità. Per il curatore che ha scelto l’originalità di un viaggio alla scoperta della profondità di un ampio caleidoscopio legato alla visione: “il titolo è piuttosto ampio, parla di Medioevo perché per paradosso, questa disposizione circolare, l’idea del cosmo, l’idea dello zodiaco, l’idea di tutta una serie di simbologie legate all’altro spazio, ma anche alla percezione ma anche allo sconosciuto, hanno curiosamente, proprio nelle primissime stanze, un’origine padovana”. E con un salto a ritroso, fino agli inizi dell’uomo sulla terra, aggiunge: “La rappresentazione del movimento ha sempre affascinato l’umanità a partire dalla preistoria nelle immagini di animali dipinte, nelle grotte paleolitiche il cacciatore credeva in un certo senso di possedere magicamente ciò che rappresentava, di propiziarsene la cattura o l’uccisione”. Lo spazio espositivo si dilata nei diversi piani del Palazzo del Monte di Pietà e invade la città con cinque installazioni. E accoglie lo spettatore come protagonista e regista di un percorso che celebra questa ossessione dell’essere umano. Come precisa Luca Massimo Barbero : “ Io apro la possibilità allo spettatore di scegliere lui quanto tempo guardare certe cose introducendo una mia vecchia passione che sono le cassettiere, quasi un luogo del mistero, dove dentro ci saranno le uniche foto originali delle sculture di Boccioni, le cartoline dei futuristi e poi capolavori come Bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla ma ci sarà anche Calder, ci saranno dei Kandinskij, tre Klee che sono costruiti proprio sull’idea della trasparenza dei colori e poi anche delle grandi scoperte, dei meravigliosi ignoti e dei documenti che sembrano opere d’arte fino ad arrivare all’ultima stanza dove s’incontra l’ incrocio tra l’arte ottica e l’immaginario collettivo”.
Come un caleidoscopio magico, arte e scienza si fondono attraverso gli studi di Goethe, per esempio, accostandosi a maestri come Seurat, Boccioni o il già citato Kandinskij, interpreti a loro modo della percezione visiva. Si passa tra strumenti scientifico-tecnologici a oggetti d’arte per scoprire gli inizi del cinema. Dai Fratelli Lumière fino alla fotografia sperimentale con Muybridge o il fotodinamismo futurista dei Bragaglia. L’occhio in gioco si allena addentrandosi nei ritmi e nelle geometrie delle opere di artisti come Munari, Duchamp o Vasarely, si espande attraverso l’optical, tendenza dei mondi della moda e del design e viene attratta sempre più da vicino con Grey Scramble di Frank Stella o con Oggetto ottico, dinamico di Dadamaino. Un’esposizione originale e affascinante pensata soprattutto per le giovani generazioni. “Non ha un taglio sincronico, non ha un taglio diacronico perché le mie mostre più recenti non sono per la mia generazione, sono dedicate ai giovani, ai ragazzi e non al mio sapere e quindi l’idea è quella di spiegare attraverso 220 -230 oggetti, meccanismi visivi, questa ossessione che c’è da sempre e per me è un po’ l’inizio dell’ossessione del visivo ma è l’unico visivo in motion che i ragazzi conoscono, quindi è come dare una primogenitura all’ossessione. Parlo ai giovani perché alcune opere che ho trovato, le ho trovate tramite Instagram, dei provini interessanti che studiano la fotografia americana, tra il 1895 e il 1913 e quindi è come andare a fare una ricerca per immagini. Uno strumento in più”.