Da lungo tempo, ormai, nelle società occidentali abbiamo assistito ad una multiforme ascesa della centralità del corpo. Dalla chirurgia estetica al fitness, dai tattoo alle rivendicazioni politiche (“il corpo è mio e lo gestisco io”), la corporeità ha rappresentato l’ultima frontiera, l’estrema incarnazione materiale, dell’individualismo.
La cultura occidentale è largamente impregnata, infatti, da un sistema valoriale che nasce e si forma all’interno dell’ideologia liberale, e che ha contaminato anche quella parte di società che si rifà ai valori politici della social-democrazia - o ‘progressista’, come si usa dire adesso, con termine più generico e neutro. Che quindi è coerentemente più impegnata nella difesa dei “diritti civili” - tipicamente individuali - piuttosto che di quelli sociali - tipicamente collettivi; quegli stessi diritti che, per l’appunto, in altri paesi occidentali sono sostenuti anche dalle destre liberali.
Questa sorta di ‘ideologia del sé’ ha così fortemente impregnato la cultura occidentale, che poi si è reso possibile anche arrivare ad eccessi altrimenti impensabili - anche se fortunatamente limitati. Si pensi ad esempio al servizio sanitario pubblico britannico, che sino a poco tempo fa contemplava la possibilità di cambiare sesso (chirurgicamente) anche per i minori, e su loro scelta esclusiva, o a certe dichiarazioni di una ministra spagnola che adombrano il ‘diritto’ dei bambini ad avere relazioni sessuali consensuali...
Per quanto tutte queste questioni relative al genere sessuale siano un tema che in fondo riguarda direttamente una minoranza, in molti paesi occidentali si fa strada l’idea che sia invece una questione prioritaria per la società nel suo complesso, cosa che purtroppo si traduce invece in una polarizzazione sociale che, in fin dei conti, si ritorce proprio contro quei soggetti cui si vorrebbero garantire maggiori diritti. Ovviamente, non è in discussione il diritto di vivere liberamente la propria sessualità, quanto una deriva ideologica che ne fa una bandiera ‘generalista’.
In ogni caso, questa centralità del corpo, questa volontà di metterlo al centro della propria identità - ed al tempo stesso di sottrarlo a qualsivoglia ‘controllo sociale’ - si spinge sino al limite estremo della corporeità stessa, rivendicando il diritto all’eutanasia.
Naturalmente, nel porre al centro il corpo (piuttosto che la persona), emergono sia conflitti di tipo etico-politico, o semplicemente religioso, sia più banalmente atteggiamenti socio-culturali. Il corpo, per definizione, è individualmente unico, appartiene all’individuo. In questo, appunto, non si tratta di altro che di un riflesso di un mutamento culturale - tipico delle società ‘occidentali’ - che tende a fondare il contratto sociale su un insieme di individualità, ciascuna specifica ed autonoma, ed in cui ciascuno ‘contratta’ individualmente la propria posizione nella società. Inutile qui fare un riepilogo della celebrazione dell’individuo da parte degli ideologi del liberismo, vale per tutti la famosa frase di Margharet Thatcher “There is no such thing as society. There are individual men and women”.
Comunque sia, è certo che l’assoluta centralità dell’individuo, ed in questo quadro la grande rilevanza data alla piena ed assoluta autodeterminazione sul proprio corpo, sono un dato pienamente caratteristico delle società contemporanee di cultura ‘euro-americana’.
Se si assume questo come un dato oggettivamente reale, emerge una gigantesca contraddizione all’interno del medesimo ‘mondo’ occidentale. È assolutamente stupefacente, infatti, osservare come tutto ciò non abbia, se non in minima misura, generato una conflittualità con la gestione dei corpi - da parte di molti governi - durante la recente pandemia.
A rendere stupefacente il livello di accettazione supina con cui sono state accolte molte misure, è da un lato il fatto che siano state giustificate in quanto prese in nome di un (presunto) interesse collettivo, e dall’altro la natura assolutamente pervasiva del livello di controllo corporeo - e ciò comunque a prescindere dalla natura sfacciatamente pretestuosa di alcune di queste. Non è qui il caso di entrare nel merito motivazionale delle scelte operate in quella particolare congiuntura, ovvero se siano state frutto del panico che ha pervaso le classi dirigenti, della pura e semplice impreparazione, o di un disegno preordinato. Quello che appare indubitabile, ancor più ex-post, è che sia stato uno straordinario esperimento sociale, i cui esiti sono stati e saranno accuratamente studiati e valutati, e di cui verrà fatto tesoro.
La rapidità, la profondità e l’estensione con cui si è affermata una prassi che contraddiceva brutalmente i fondamenti stessi dell’ideologia dominante, rappresentano infatti un case study di immenso valore potenziale, sia ovviamente per la sociologia contemporanea, sia - ed in misura anche maggiore - per la politica.
Di là appunto dalle considerazioni possibili sulle ragioni reali per cui si è determinata questa stridente contraddizione, resta il fatto che essa ha avuto un impatto rilevantissimo sulle nostre vite (quasi sicuramente non ancora del tutto rilevato), e soprattutto che potrebbe averne di ben maggiore in futuro, qualora ‘qualcuno’ volesse mettere nuovamente a frutto quanto appreso da quella esperienza di controllo sociale totale.
Una questione su cui, come individui, ma ancor più come società, dovremmo interrogarci.